Nato a Como, di origine salentina, Alessandro Vergari vive da diversi anni a Bari dopo essersi laureato in Filosofia all'Università Statale di Milano, con una tesi sul rapporto tra guerra e giustizia. Una geografia complicata? Forse. Alessandro scrive recensioni e articoli su diversi blog. Cinema, letteratura, musica e cucina (in qualità di consumatore finale) le sue principali passioni. Ama il sole e il mare. Sulla politica attualmente non si pronuncia. "Ho dato abbastanza", queste le sue dichiarazioni in materia.

L’invenzione della natura. Salviamo Humboldt dall’oblio.

Il giovane Alexander von Humboldt “sognava tropici e avventure. Desiderava ardentemente lasciare la Germania. Da ragazzo aveva letto i diari del capitano James Cook e Louis Antoine de Bougainville: entrambi avevano circumnavigato il globo e lui s’immaginava via, lontano. Quando vide le palme tropicali al giardino botanico di Berlino, desiderò soltanto poterle vedere nel loro ambiente naturale”. La storica inglese Andrea Wulf, nel suo poderoso e pluripremiato libro L’invenzione della natura, ricostruisce la vita avventurosa di un eroe della scienza moderna, un uomo che denunciò i pericoli derivanti dallo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali molto in anticipo sui tempi. Humboldt, amico di Goethe e di Simón Bolívar, esploratore coraggioso, viaggiò in Sudamerica, Messico, Russia ed Asia, nel tentativo di rintracciare i collegamenti tra i fenomeni naturali, puntando sempre ad ottenere una visione onnicomprensiva del sistema-mondo.

Celebrato in vita come un idolo delle masse, osannato al pari di un’odierna rockstar, inseguito, anche per un semplice consulto, dai più eminenti pensatori, filosofi, naturalisti e scienziati dell’Ottocento, tutti affascinati dalla sua sbalorditiva erudizione e ancor di più dalle straordinarie nozioni ricavate sul campo, Humboldt è stato progressivamente dimenticato dalla letteratura ufficiale dei paesi di lingua inglese, e non solo. “Fu uno degli ultimi intellettuali eclettici e morì in un’epoca in cui le discipline scientifiche si andavano consolidando in campi strettamente delimitati e più specialistici”. L’invenzione della natura è una biografia che va oltre la biografia. Al centro non c’è solo l’uomo. Andrea Wulf esamina la vasta impronta culturale lasciata dal suo pensiero: gli ecologisti lo considerano uno dei padri del movimento ambientalista. Ora che la parola ‘antropocene’ è entrata nella vulgata comune per designare il devastante, probabilmente irreversibile, impatto sull’ecosistema causato dall’uomo in epoca moderna, le intuizioni geniali del naturalista tedesco somigliano a sinistri presagi. L’autrice sottolinea l’influenza di Humboldt sulla formazione di grandi personaggi, basti pensare a Charles Darwin, riservando ai più importanti un’attenzione specifica. Pensato e scritto con taglio divulgativo, L’invenzione della natura è un libro accessibile a tutti, frutto di un lavoro di ricerca imponente e rigoroso.

Il fascino di Humboldt sta anche nel suo rifiuto delle convenzioni sociali e nell’aver sempre anteposto l’amore per la materia, anzi, per le numerose materie oggetto dei suoi studi, a una vita da accademico e agli agi garantiti dal suo elevato status sociale. Ricchissimo di famiglia, fratello del noto Wilhelm, antesignano della linguistica moderna, Alexander avrebbe potuto trascorrere una tranquilla esistenza nei ranghi dell’alta amministrazione dello Stato prussiano o girare il mondo nella veste di diplomatico (una scelta abbracciata dal più mite fratello). Alexander, dopo una parentesi professionale giovanile, un incarico di ispettore delle miniere, che già delineava un interesse concreto per la terra, si dedicò con sempre maggiore veemenza allo studio disinteressato della natura, sfidando, nel corso delle sue indagini, sia la furia cieca degli elementi che le condizioni geopolitiche non ottimali. Le guerre napoleoniche e i moti indipendentisti del Sudamerica provocavano fratture geografiche quasi invalicabili, eppure Humboldt, forte del messaggio universalistico della scienza e del crescente prestigio, riuscì spesso a farsi benvolere anche dai governanti di quelle nazioni ostili alla Prussia, tanto da eleggere Parigi, città nemica dello spirito tedesco, a suo rifugio privilegiato in età matura. Le attraversate oceaniche, il rinnovo periodico di strumentazioni all’avanguardia e i trasferimenti interni ai continenti, spazi immensi pressochè inesplorati, costarono al naturalista una fortuna, tanto da dilapidare in pochi anni l’ingente patrimonio ereditato alla morte della gelida madre.

Andrea Wulf nel suo saggio biografico coglie i nessi tra teoria e pratica, tra produzione di idee ed empiria. Il rapporto tra Goethe e Humboldt, segnato da vera amicizia e da un costante arricchimento intellettuale reciproco, è un incrocio fondamentale nella storia del pensiero moderno. L’autrice ricorda la passione di Goethe per la botanica e per i minerali (ne possedeva una collezione di 18.000 esemplari) e soprattutto il suo concetto di Urform, “l’esistenza di una forma archetipa, o primordiale, sottostante al mondo vegetale”, una forza interna alla materia, all’origine delle piante e, in generale, di tutti gli organismi viventi, contrapposta all’esterno e alle pressioni dell’ambiente circostante. Immerso mentalmente in conversazioni appassionate con il sommo poeta, frequentatore dei cenacoli politico-letterari fioriti attorno a Friedrich Schiller in quegli anni rivoluzionari, lettore di Immanuel Kant e più tardi affascinato dal romanticismo schellinghiano, Humboldt sviluppò una concezione post-cartesiana della realtà, sostanzialmente monista, ove mondo esterno, idee e sensibilità, anziché confliggere e divaricarsi, si fondono l’una nell’altra. Sospettoso verso la tendenza settecentesca a classificare le specie in rigide categorie, Humboldt tentò sempre di rintracciare l’unità nei fenomeni, sotto forma di analogie e corrispondenze tra i dati raccolti in esperienze di rilevazione differenti, lontane tra loro nello spazio e nel tempo. Per nulla religioso, sarcastico verso le verità imposte dalle varie Chiese e amministrate dal clero, la sua curiosità si appellava al qui-ed-ora, all’immanenza di tutto ciò che accade. Il suo interesse si estendeva a ogni elemento della natura, animali, alberi, vulcani, venti, montagne, stelle… “Era arrivato a credere che l’immaginazione era altrettanto necessaria al pensiero razionale per comprendere il mondo naturale”. Goethe, da par suo, incalzato dagli scambi con Humboldt, nel poema Metamorfosi delle piante tentò di conciliare, sul piano letterario, scienza e poesia e, anni più tardi, mutuò il termine ‘affinità’, per il titolo del celebre romanzo Affinità elettive, dagli sviluppi della chimica. Era un’epoca, appunto, di compenetrazione tra le discipline e non di rigida separazione epistemica.

Nel febbraio del 1800 Alexander von Humboldt, il giovane botanico Aimé Bonpland e l’inserviente José, partiti da Caracas in direzione dell’Orinoco, si trovavano nelle vallate di Aragua, quando sul loro cammino si imbatterono nel lago di Valencia. Un luogo paradisiaco, sul quale però gravava un’ombra. “Al tramonto migliaia di aironi, fenicotteri e anatre selvatiche rendevano vivo il cielo, volando sul lago per appollaiarsi sulle isole. Tutto sembrava idillico. Ma, come disse a Humboldt la gente del posto, i livelli dell’acqua stavano rapidamente scendendo. Ampie aree di terreno che solo vent’anni prima erano sott’acqua ora erano campi densamente coltivati. Quelle che una volta erano state isole ora erano montagnole che si ergevano sulla terra arida, mentre la linea costiera continuava ad arretrare”. Humboldt comprese, per primo, che le cause del prosciugamento erano da attribuirsi in via esclusiva all’attività umana. Fatale fu la decisione di deviare il corso di alcuni affluenti del lago allo scopo di irrigare i campi. Non solo. L’abbattimento massivo di alberi aveva decimato il sottobosco e peggiorato la ritenzione idrica, esponendo il suolo alla furia della pioggia, con conseguente pericolo di alluvioni. La rivoluzione industriale e l’ottimismo positivistico non favorirono la diffusione delle sue idee sulla fragilità dell’ambiente e sull’interconnessione tra uomo e natura. Eppure Humboldt vedeva lontano, intuendo le crisi globali del Ventunesimo secolo. La desertificazione inarrestabile, la penuria idrica in vaste zone del pianeta, il dissesto idrogeologico, la fosca previsione dei politologi odierni riguardo alle future guerre dell’acqua… Se i sovietici avessero letto e compreso Humboldt il lago di Aral esisterebbe ancora.

Alexander von Humboldt conobbe il presidente americano Thomas Jefferson, molto interessato alle osservazioni del naturalista reduce da una tappa in Messico, allora colonia spagnola. La controversia tra Stati Uniti e Messico riguardava un confine conteso, quello del Texas. Erano spazi geografici di dimensioni immani, ignoti ai più, selvaggi e ancora non addomesticati. Ogni notizia portata da esploratori o viaggiatori era oro colato per politici e governanti, che sulla base di tali informazioni orientavano il proprio operato. Jefferson credeva che l’agricoltura avrebbe fatto della sua nazione una superpotenza rurale, posata sulle spalle di piccoli produttori indipendenti. Humboldt, forte delle sue osservazioni in Venezuela, Colombia, Perù, Messico e Cuba, ammoniva su alcuni pericoli, oggi al centro della preoccupazioni di economisti, politologi e teorici dei sistemi. “Monocultura e produzioni agricole destinate al commercio non creavano una società felice… Humboldt fu il primo a mettere in relazione colonialismo e devastazione dell’ambiente. I suoi pensieri tornavano sempre alla natura come rete vitale complessa, ma anche al posto dell’uomo al suo interno. Al Rio Apure aveva visto la devastazione causata dagli spagnoli che avevano cercato di mettere sotto controllo le annuali inondazioni costruendo una diga… Criticava l’iniqua distribuzione della terra, la violenza contro i gruppi tribali e le condizioni di lavoro degli indigeni… Contestava le colture e le estrazioni minerarie del Messico perché questo legava il paese alle fluttuazioni dei prezzi e del mercato internazionale”. Quando leggiamo di rischiosissime crisi diplomatiche tra India, Pakistan e Cina dovute alla decisione unilaterale di costruire una diga a monte di un fiume o dell’ascesa e del subitaneo crollo di una nazione (vedi il Venezuela di Maduro) a seguito delle variazioni del prezzo del petrolio o ancora delle lotte delle popolazioni native del Canada contro il gasdotto per trasportare le sabbie bituminose estratte nell’Alberta, dobbiamo tornare al pensiero luminoso di Alexander von Humboldt.

Da Quadri della natura a Personal Narrative, da Saggio politico sull’isola di Cuba all’ambizioso Cosmos, i suoi scritti furono fonte di ispirazione per una vasta platea trasversale, un’influenza diretta e indiretta che, a Ottocento inoltrato, divenne una vena carsica per filoni culturali alternativi al mainstream dominante. Poeti cardine della letteratura occidentale come Samuel Taylor Coleridge e William Wordsworth, uomini politici che hanno fatto la storia dell’umanità, come i già citati Thomas Jefferson e Simón Bolívar, pensatori e intellettuali atipici come Henry David Thoureau e John Muir devono molto a Humboldt. Ernst Haeckel, personaggio eclettico, ricevette una spinta decisiva verso la scoperta, lo studio e la conseguente riproduzione in forme artistiche dei protozoi marini, detti radiolari, grazie alla lettura delle opere del naturalista tedesco. I disegni di Haeckel influenzarono profondamente l’Art Nouveau di inizio Novecento. Lo stesso Humboldt amava corredare i suoi libri con disegni illustrativi stesi di suo pugno, funzionali all’illustrazione di specifiche teorie. Dopo la scalata del maestoso vulcano Chimborazo, centocinquanta chilometri a sud di Quito, trasfigurò il profilo della montagna nella cosiddetta Naturgemälde, ove “raffigurava in maniera efficace la natura come una rete nella quale tutto era connesso. La mano di Humboldt aveva distribuito le piante secondo le altitudini… a sinistra e a destra della montagna dispose colonne contenenti dettagli e informazioni relativi a quanto raffigurato… questa massa di informazioni poteva essere poi collegata alle altre grandi montagne del mondo, elencate in base alla loro altezza accanto alla sagoma del Chimborazo… Nessuno prima di Humboldt aveva mai presentato visivamente quei dati”. Chi ha inventato la ‘realtà aumentata’ non sa di aver introdotto il supporto tecnologico ad un’innovazione metodologica che lo scienziato berlinese, duecento anni fa, aveva prefigurato nella sua mente.

Durante tutto il viaggio sul Beagle, Darwin fu impegnato in un dialogo intimo con Humboldt – matita in mano, evidenziava i paragrafi della Personal Narrative. Le sue descrizioni erano quasi come un modello per le esperienze di Darwin. Quando, per la prima volta, Darwin vide le costellazioni dell’emisfero meridionale, si ricordò delle descrizioni di Humboldt. Oppure, in seguito, quando vide le pianure del Cile, dopo aver esplorato per giorni la foresta incontaminata, la reazione di Darwin ripetè esattamente quella di Humboldt quando era entrato negli Llanos del Venezuela dopo la spedizione sull’Orinoco”. Andrea Wulf racconta queste correlazioni intellettuali tra uomo e uomo, tra studioso e studioso, soffermandosi su preziosi dettagli. Sono passaggi coinvolgenti, che ci fanno intuire la potenza irresistibile, dionisiaca, del sapere naturalistico in espansione ed il suo impatto sull’architettura reazionaria del potere, sia politico che religioso, incarnata nella Restaurazione (basti ricordare lo ‘scandalo’ suscitato dal darwinismo nella ‘buona’ società). Splendide sono le descrizioni delle avventure di Humboldt sui fiumi, nel folto della foresta tropicale, a contatto con belve mai viste prima, indigeni misteriosi e, costante da non sottovalutare, sotto una cappa di zanzare fameliche. O ancora i suoi pellegrinaggi laici nel cuore dei ghiacciai, nei deserti assolati, nella steppa infinita, con equipaggiamenti ampiamente inferiori, per qualità e tenuta, a quelli attuali. Andrea Wulf, particolare gustoso, non ha solo scartabellato una quantità incredibile di volumi d’epoca in varie biblioteche, ma si è cimentata nelle medesime esplorazioni humboldtiane, per rivivere in prima persona le esperienze estreme del suo mito.

Alexander von Humboldt, definito, all’epoca, “l’uomo più famoso sulla Terra”, morì a ottantanove anni. Non si sposò mai, nonostante le numerose proposte di matrimonio, e non ebbe figli. La sua timida omosessualità pare provata da indizi, come l’indifferenza alle donne e le relazioni ‘sospette’ con alcuni uomini, a volte compartecipi delle sue imprese. Ritiratosi nell’appartamento di Berlino, in compagnia di un camaleonte, di un pappagallo e di un fedele servitore, riceveva, da parte degli estimatori, fans sfegatati, e di giovani speranzosi in una ‘raccomandazione’, circa quattromila lettere all’anno (!). Ai funerali dello “Shakespeare delle scienze” parteciparono migliaia di persone. Monumenti, parchi, montagne, fiumi, cascate, città, contee, trecento piante e cento animali portano il suo nome. Lo Stato del Nevada fu sul punto di chiamarsi Humboldt… A lettura terminata, sorge quella che qualcuno ha definito “nostalgia del non accaduto”: il sogno di trovarci in attesa, davanti alla porta del suo studio, per scambiare una breve conversazione con lui, sicuri che la sua lingua tagliente e la sua superba parlantina, adeguata ad una velocità di ragionamento sbalorditiva, non ci avrebbero in alcun modo risparmiati.

L'invenzione della natura Book Cover L'invenzione della natura
Andrea Wulf. Trad. di Lapo Berti
Saggistica
Luiss
2017
516