Classe 1989, vive a Solofra (Av). Ha studiato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Salerno. Ama la compagnia di un buon libro, viaggiare per imparare, vagabondare per mostre e musei. Sostiene il Teatro di qualità, quello che pone degli interrogativi e contribuisce a formare la coscienza individuale e sociale, riuscendo ad emozionare e stupire allo stesso tempo.

Elvira. Dopo Strehler rivive la passione teatrale di Louis Jouvet con Toni Servillo

Louis Jouvet, Medellin ore 3 del mattino, aprile 1943.
Ma come “fare il teatro” senza pensarlo, senza porsi delle domande? Come stare in mezzo alla gente e non guardarla e non chiedersi, non interrogarsi sul teatro e sul mestiere dell’attore? Su quello che il teatro è? Perché è? Perché lo si fa? Dopo trent’anni di pratica, il teatro mi appare ancora in tutti i suoi aspetti soltanto come un mistero. Provoca in me dei turbamenti profondi, dei disordini interiori difficili da spiegare. So soltanto che ci sono due modi di fare o considerare il teatro: alla superfice o in profondità, o meglio in altezza, voglio dire proiettato nella verticale dell’infinito. Per me, il teatro è questo: una cosa dello spirito, un culto dello spirito. O degli spiriti.

Nel 1951 muore a Parigi Louis Jouvet, uno dei più grandi attori e registi francesi del Novecento, un intellettuale capace di coniugare momenti di riflessione profonda con la pratica teatrale più semplice.
Nel 1986 per inaugurare il Teatro Studio, Giorgio Strehler mette in scena Elvira o La passione teatrale, affermando: “È questo per noi uno spettacolo emblematico, un’indagine sulla moralità del gesto teatrale, un atto d’amore per uno dei nostri maestri ma, allo stesso tempo, testimonianza di un legame profondo con il lavoro che stiamo svolgendo per la nostra Scuola. Del tutto coerente, del tutto inserito quindi nel discorso sul teatro e sull’uomo che andiamo facendo dal 1947 ad oggi”. Strehler e Giulia Lazzarini, davanti agli allievi in scena in rappresentanza degli allievi di ogni tempo e di fronte al pubblico, sviscerano in due ore di assoluto impegno performativo, le lezioni, le meditazioni e il severo rigore di un maestro di teatro. L’obiettivo è quello di svelare la verità sulla fatica, sul dolore, sulla tensione degli interpreti, sulla segreta realtà delle prove, negate per abitudine ai non addetti ai lavori. Sì, proprio le prove divengono drammaturgia, colta sintassi, palesando la bravura degli attori.

La concezione della messa in scena di Strehler, ricca di retorica, cui si aggiungono anche delle sue considerazioni e lettere di Jouvet, viene ribaltata in Elvira (Elvire Jouvet 40) di Toni Servillo che debutta al Piccolo Teatro Grassi di Milano nel 2016: un’analisi realistica del confronto intergenerazionale che caratterizza e condiziona ogni processo formativo. Elvire Jouvet 40, il diario di lavoro in cui Brigitte Jaques ha trascritto le sette lezioni sulla seconda scena di Elvira nel quarto atto del Don Giovanni di Molière impartite da Jouvet alla sua giovane allieva Claudia, presso il Conservatoire d’Art Dramatique di Parigi tra febbraio e settembre del 1940, nella traduzione di Giuseppe Montesano, è la trama su cui Servillo costruisce il suo spettacolo, prodotto dal Piccolo Teatro e da Teatri Uniti. Il testo della Jacques non presenta semplicemente un’arida e fredda antologia di tecniche teatrali per la resa di un personaggio ma l’operazione drammaturgica che contiene, racconta l’avventura di un maestro e un’allieva che, animati dalla stessa passione e determinazione, si incamminano nella creazione del personaggio. Il teatro è un’avventura introspettiva alla scoperta di noi stessi e degli “altri” che vivono in noi. Soprattutto il personaggio di Elvira offre all’attrice l’occasione di comprendere che il suo mestiere non è esercizio di uno sterile talento bensì un viaggio estremamente affascinante nella propria interiorità: sentire, trovare, capire. Non deve essere la recitazione a produrre il sentimento. È il sentimento in cui si trova l’attrice in quel momento a farle vivere le frasi che ha a disposizione.

Il pubblico non assiste alle prove dello spettacolo, spia anime che lavorano attorno ad un capolavoro del teatro classico francese, osserva come il teatro può lavorare sulle coscienze, sui pensieri degli attori e trasformarli, rinnovarli, migliorarli, mettendoli anche in rapporto con la loro parte peggiore. Non secondario il fatto che Servillo consideri il testo centrale, rivendicandone la sacralità, non lasciando spazio ad elucubrazioni personali: come afferma in diverse interviste, oggi ci si pone in rapporto con i classici con eccessiva disinvoltura, li si sfrutta per imporre le proprie opinioni, mentre Jouvet sosteneva la necessità di lasciar perdere le proprie idee e lavorare sul testo.

Un percorso scandito dal successo del tutto esaurito quello di Elvira realizzato da Servillo, non solo in Italia (Milano, Napoli, Ancona, Firenze, Venezia) ma anche all’estero, a Madrid e al Théâtre de l’Athénée di Parigi, intitolato proprio a Louis Jouvet. Per la stagione teatrale 2018/2019 Elvira (Elvire Jouvet 40) diretto da Toni Servillo e da lui interpretato insieme a Petra Valentini, Francesco Marino e Davide Cirri, sarà dal 30 novembre al 22 dicembre al Piccolo Teatro Grassi di Milano, dall’8 al 20 gennaio al Teatro Bellini di Napoli e dal 21 maggio al 2 giugno al Teatro Argentina di Roma.

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Alessandra Durighiello
Teatro