Classe 1989, vive a Solofra (Av). Ha studiato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Salerno. Ama la compagnia di un buon libro, viaggiare per imparare, vagabondare per mostre e musei. Sostiene il Teatro di qualità, quello che pone degli interrogativi e contribuisce a formare la coscienza individuale e sociale, riuscendo ad emozionare e stupire allo stesso tempo.

Una folle corsa verso il futuro. Macbettu di Alessandro Serra

Di Alessandra Durighiello

Dal 22 luglio al 5 agosto si terrà il 47° Festival Internazionale del Teatro diretto da Antonio Latella e organizzato dalla Biennale di Venezia, presieduta da Paolo Baratta. Dopo aver acceso i riflettori sulle registe europee e avviato un’indagine sul rapporto Attore-Performer, quest’anno, il Festival si è dato come tema le drammaturgie, con l’intento di indagare le tendenze contemporanee nel modo di operare degli attuali protagonisti del teatro, con particolare attenzione alla drammaturgia destinata al teatro-ragazzi, nata per creare un nuovo pubblico giovane e molto giovane, crescerlo e proteggerlo dall’ovvietà: si fa riferimento, in particolare, a quella dell’olandese Jetse Batelaanche proponeWar e The Story of the Story, affrontando miti e temi di oggi con stile visionario. Tra gli spettacoli segnalati anche Il Giardino dei ciliegi di Ĉechov, proposto da Alessandro Serra che lo definisce la più grande partitura sinfonica per anime mai scritta; un’opera priva di centro in cui i gesti e le parole dei personaggi che agiscono e parlano si nutrono degli altri. Un coro e una moltitudine, come nella vita (intervista rilasciata ad Enrico Pastore nel 2018). Serra è atteso in questa prova dopo il successo internazionale dello spettacolo Macbettu.

Siamo ormai abituati alla messinscena dei classici in abiti moderni, dettata a volte da esigenze drammaturgiche innovative e stimolanti, altre volte incomprensibili. L’intervento che Alessandro Serra e i suoi attori (Fulvio Accogli, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Andrea e Giovanni Carroni, Maurizio Giordo, Stefano Mereu, Felice Montervino) effettuano sul Macbeth è però qualcosa di profondamente diverso. Non si tratta infatti della trasposizione della tragedia shakespeariana in un contesto contemporaneo ma di un’operazione di scavo, che porta alla luce radici ataviche. Prodotto da Sardegna Teatro in collaborazione con Teatropersona, Macbettu ha debuttato nel febbraio del 2017 al Teatro Massimo di Cagliari e, con più di cento repliche, ha girato il mondo collezionando molti riconoscimenti: Premio UBU 2017 come spettacolo dell’anno, Premio della Critica Teatrale ANCT 2017 e 3 stelle ai MESS Awards di Sarajevo come migliore regia, The Golden Mask Award by Oslobodenje, The Luka Pavlovic Award by theatre critics. L’idea inizia a svilupparsi nel 2006, durante un reportage fotografico di Serra fra i carnevali della Barbagia, tradottosi anche in una piccola mostra. Pensa alla possibilità di tradurre il Macbeth di Shakespeare in sardo e di realizzarlo, come nel teatro elisabettiano, con soli uomini, quegli stessi che incarnano i Mamuthones di Mamoiada o la Sa Filonzana, la vecchietta gobba e zoppa che, come una moira, si aggira per le vie di Ottana minacciando con le forbici di tagliare un filo di lana, di spezzare il filo della vita.

Nell’oscurità imperante, gli archetipi e le forze primordiali della natura che compongono il Macbeth rivivono nella Sardegna dei carnevali barbaricini, contribuendo alla tessitura drammaturgica: terra, cenere, sughero, ferro, cortecce di alberi, l’incedere dei campanacci in un ritmo primordiale che incute terrore, pietre che si fanno arma ma anche suono. Anche attraverso il suono Serra racconta e incanta: si serve del sardo logudorese, una lingua aspra e tagliente, cruda ma molto musicale che permette di elevare la comunicazione ad alti livelli di fascinazione, mutando la parola in un mantra. La parola agisce come una forza e non come un significato. Un’operazione che, secondo Serra, sarebbe stata impossibile usando l’italiano, specie quello delle traduzioni letterarie caratterizzate dall’assenza di vita scenica, di azione, in cui la voce declama ma il corpo tace. In Macbettu c’è stato un lungo periodo di lavoro realizzato sull’immagine intesa come “simbolo che emana” e sulla figura, cercando di veicolare i significati e le emozioni attraverso di esse, senza ricorrere ad artifici concettuali. All’inizio del processo creativo, il Macbeth di Shakespeare viene “distrutto” completamente e riscritto in scena dagli attori senza parole con l’intento di arrivare al testo con il corpo attivo, pronto ad accogliere e a trasformare la parola scritta in immagini, danza, canto; con l’obiettivo di raccontare senza recitare, evocando un’immagine che sta oltre e dietro il testo. Non usando scenografie ma elementi scenici, oggetti dismessi dalla società, è fondamentale anche il lavoro sullo spazio: gli attori in quanto enti creativi e materia di cui si compone il teatro, sono chiamati a generare lo spazio e ad essere consapevoli di generarlo per non svilirlo. Nella visione di Serra, Macbeth incarna l’uomo moderno proiettato in una corsa folle verso il futuro, al punto che impazzisce non riuscendo a vivere il presente; è l’emblema della nostra società accelerata, consumata nell’anima dalla tecnologia, incapace di riconoscere il sovrannaturale: le streghe, foriere di prosperità, predicono a Macbeth un futuro glorioso ma, non sapendo aspettare, senza che ci sia un motivo per cui debba compiere un atto così orrendo, uccide il re.

Nel 2019 la tournée di Macbettu continua sia in Italia – dal 29 al 31 marzo al Teatro Gustavo Modena di Genova, il 3 aprile al Teatro Comunale di Piacenza, il 13 e 14 aprile al Teatro Eliseo di Nuoro, dal 2 al 6 maggio al Teatro Argentina di Roma – sia all’estero, in Francia, Portogallo, Perù e Giappone.