Demetrio Paolin è tra i più interessanti scrittori italiani. Vive a Torino e, tra le sue attività, vi è anche quella di insegnante di scrittura creativa. Autore di poesie, saggi, racconti e romanzi, ha pubblicato articoli anche su Il Corriere della Sera, Il Manifesto e Il Foglio tra gli altri e su numerosi siti letterari. E’ autore dei libri Il pasto grigio, 2005; Una tragedia negata – il racconto degli anni di piombo nella narrativa italiana, 2008, Il maestrale edizioni; Il mio nome è legione, 2009, Transeuropa edizioni; La seconda persona, 2011, Transeuropa edizioni; Non fate troppi pettegolezzi, 2014, LiberAria; Conforme alla gloria, 2016, Voland edizioni

In questi mesi ho letto due libri molto belli, di cui per un motivo o per un altro non sono riuscito a parlare come volevo sui giornali o sui siti e, ora, trovo ospitalità su L’Ottavo. I libri in questione sono “Malacarne” di Annacarla Valeriano e “Antigone e la filosofia” con la curatela di Pietro Montani, entrambi i testi editi da Donzelli editore. Io penso che siano due testi, non facili non immediati, ma da dover leggere. Ci sono due temi di fondo che li accomunano: il tema della pietas e il tema del rapporto tra corpo e politica. In realtà questi due temi si intrecciano in modo così stretto che è difficile districarlo. Mi ha colpito molto in Malacarne la descrizione del metodo con cui il fascismo costruisce intorno a un certo tipo di figura femminile la marginalità e la follia, e dico costruito perché ovviamente è un atto voluto, cercato, che non ha nessun supporto medico o clinico, ma che si basa su un assunto semplice: ciò che è altro da me deve essere messo in un luogo che io non posso vedere. Questa prigionia del corpo delle donne, la loro segregazione è per me molto simile, non identica né uguale, ma simile, perché ne condivide il retaggio, a ciò che sarà la concentrazione dei lager nazifascisti. La privazione della libertà, dell’esistenza, parte dalla lenta e continua di distruzione del corpo, perché niente è più scandalosamente politico che un corpo, niente più del semplice esistere del corpo produce in un regime totalitario una reazione violenta. Essere corpo significa rivendicare la propria singolarità e questo è forse il più grave degli atti di ribellione: affermare la propria esistenza biologica e fisiologica. Se poi a dichiarare questo è una donna, in una società maschile e patriarcale, ecco che si capisce la profonda portata di questo atto; la maggior parte delle storie raccontate in Malacarne riguarda appunto donne che semplicemente dichiarano di essere tali e per questo motivo, per lo spavento che destano, vengono chiuse e private della libertà e della loro fisicità.

Il corpo quindi è uno dei luoghi dove l’azione politica è più evidente, in questo senso la riflessione che negli anni i grandi filosofi hanno riservato al mito di Antigone penso che sia dovuta a questo. Antigone, proprio perché donna, va contro le leggi, perché appunto sa che il corpo non sepolto è scandalo, perché sa che occuparsi di quel corpo è un atto di ribellione in cui si afferma la possibilità di essere se stessi; seppellire un corpo morto non è solo un atto di civiltà, che è la base del mito di Antigone, ma rappresenta anche un modo di affermare che prima di tutto siamo il corpo che esiste su questa terra, che ogni politica deve tenere conto che noi siamo esseri dotati di corpo, che le offese al corpo – siano esse le molestie, gli atti di bullismo, le segregazioni – producono una diminuzione della qualità del nostro vivere civile.

Non voglio dire che il corpo è un santuario o cose di questo genere, ma semplicemente affermare che dimenticare che siamo corpo significa dimenticarsi che siamo esseri umani, significa dimenticare che “l’Io penso” cartesiano ha come suo fondamento il fatto di essere due braccia, due gambe, un certo numero di metri quadri di pelle, terminazioni nervose, intestini e vene.
Infine, quindi, sono questi due libri importanti perché la politica dovrebbe incominciare a tenere conto che i cittadini sono prima di tutto un corpo.