Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

Neve, cane, piede. Un feroce isolamento

Di Geraldine Meyer

Neve, cane, piede di Claudio Morandini. Un libro che comprai anni fa quando, a Bolsena, non lontano da dove vivo, esisteva ancora la libreria Le Sorgenti. Nell’angolo di uno scaffale una serie di libri di Exorma, editore che allora non conoscevo. Quel libro venne a casa con me, d’stinto. Poi rimase sugli scaffali della mia libreria casalinga, sopraffatto da altre letture. Quest’anno Neve, cane, piede è stato ristampato da Bompiani ritornando a nuova vita. E quest’anno, anzi proprio in questi giorni, l’ho ripreso tra le mani e in un pomeriggio di fine agosto, con una luce che sembrava già settembrina, l’ho letto. E mi sono trovata tra le pagine di uno dei libri di montagna più emozionanti, poetici e spaventosamente crudeli. Come poetica e crudele è la vita tra cime e valloni. Come solo sa chi vive la montagna per ciò che è e non un gingillo turistico, arcadica e inesistente realtà per chi dice di apprezzarne la pace e il silenzio proprio mentre ne trasforma l’autentica impenetrabilità in una foto da condividere sui social.

Adelmo Farandola, il protagonista, mi ha ricordato per certi versi il meraviglioso Giuan di Randagio è l’eroe di Arpino. Forse per la tragica, dolcissima, rocciosa solitudine. Le similitudini sono, molto probabilmente, solo epidermiche e sentimentali. Eppure vi è qualcosa che mi piace pensare faccia tenere per mano le due figure.

Adelmo Farandola vive in un vallone isolato. La solitudine ha trasformato la sua mente in un campo di battaglia tra allucinazioni e dimenticanze. Con lui solo un cane, con cui Adelmo parla e instaura dialoghi immaginari, più veri del vero. Il tempo si intrufola in questa vita quasi senza ritmo, scandito solo dal lento mutare del paesaggio, tra neve e disgelo, neve e disgelo. Adelmo non trattiene i ricordi e così, quasi per contrappasso, trattiene sul corpo lo sporco di anni, trattiene le parole che non sa dire anche nelle rare occasioni in cui scende in paese per fare scorta di cibo. Adelmo non ricorda, si sta perdendo in una confusione che somiglia alle nuvole basse che, in alcuni giorni, avvolgono cime e valli.

I rari incontri con altri umani sono per lui fonte di paura, disorientamento, a cui reagisce con la scontrosità di chi si sa indifeso, di chi comprende vagamente che, da qualche parte, il desiderio di ciò che si sta evitando può essere una breccia pericolosa. Anche il guardiacaccia che, talvolta sale fino alla sua baita, è una minaccia a cui opporre mugugni e silenzi. Se non fosse che, talvolta, anche il silenzio comporta dei cambi improvvisi nella direzione delle cose.

 La solitudine, per lui, è continua dimenticanza in un tempo sempre uguale, tra deliri, ricordi confusi, immagini che si sovrappongono e si sbiadiscono. Adelmo si sente “scomparire” e si aggrappa alla montagna con cui parla e che gli parla attraverso i suoi rumori, gli alberi e gli animali. Adelmo sta diventando nulla e, proprio per questo, è tutto. È tutto ciò che lo circonda, mescolato con esso, né buono né cattivo, come la sua montagna. Fino a quando, durante il disgelo, uomo e cane vedono un piede umano che appare tra la neve. E allora qualcosa cambia. La discesa in una mente sempre più disorientata sembra diventare ancora più inevitabile, malinconica, terribile e dolcissima.

Questo è un libro, bellissimo, che ha sì per scenario la montagna (alla fine lo stesso autore spiega come e perché è nata questa storia. Ma è, prima di tutto, un libro sull’isolamento dell’uomo. Isolamento, non solitudine. La solitudine ha tante facce, compresa per esempio, la solitudine in comunità come quella dei monaci. O la solitudine di chi decide di vivere da solo in un contesto di umano buon vicinato. Qui è proprio l’isolamento di un uomo che si era nascosto, durante la guerra, sulle montagne per sfuggire alla ferocia dei tedeschi (gli uomini incappottati, come li chiama lui) e che, dopo di allora, non è più stato in grado di sopportare la crudeltà del mondo.  E, paradossalmente, si isola in un ambiente che sa essere ostile, come la montagna, circondandosi della ripetitività dei gesti e dell’ostinazione dei suoi pensieri. Adelmo sparisce dal mondo eppure, proprio per questo è immerso nel mondo. Tra fantasmi che tornano, ricordi vaghi, morti a cui si stringe perché, chissà, per lui vita e morte sono diventate la stessa cosa.

Se non lo avete ancora letto, fatelo. Davvero. Questo libro è materia di riflessioni, profonde, difficili, faticose, spietate e ostili. Ma inevitabili. Come le montagne.

Neve, cane, piede Book Cover Neve, cane, piede
Le finestre
Claudio Morandini
Letteratura
Bompiani
2021
160 p., brossura