Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

La mano, di Simenon. Il piano inclinato degli eventi

Di Geraldine Meyer

Un altro libro che fa tremar le vene nei polsi. Pochi riescono, come Simenon, a buttarsi in apnea in quelle pericolose acque che sono l’animo umano. E a riemergere con una abbacinante lucidità a raccontarlo. Pare non esserci mai redenzione. Sembra sempre che la vita sia una cavalcata nella dissimulazione, in un campo minato di bugie che raccontiamo a noi stessi. Per sopportare. Fino a una esplosione. Ed è così anche con questo La mano, romanzo apparso prima a puntate su “Revue des Deux Mondes” e poi in volume. Un libro talmente difficile da avere turbato, per sua ammissione, lo stesso Simenon.

Al quale, anche questa volta, non interessa tanto portarci a scoprire cosa accadrà (che accadrà qualcosa di irreparabile lo sappiamo subito) quanto come. Quali saranno i meccanismi psicologici da cui i vari protagonisti resteranno avvolti, quali percorsi e quali svolte costelleranno la loro strada. E soprattutto, quali le relazioni tra loro e i giochi che stabiliranno reciprocamente. Quali le tensioni, i moventi. Spesso delusioni, frustrazioni e, altrettanto spesso, il sesso o ciò che noi, poveri umani (lui compreso) pensiamo che questo sia.

Qui, tra i meandri di una commedia umana amara e terribile, l’ambientazione è quella americana che perfettamente si adatta a storie di luci azzurre e fredde, nella ricchezza un po’ vuota di una agognata New York o il tranquillo benessere senza sorprese del Connecticut. Ed è qui che, dopo un party, Donald Dodd, la voce narrante, comincia il suo racconto di uomo che si è accontentato, che ha cercato la solidità di un matrimonio con una donna che “non fa pensare a un letto” che ha optato per una carriera forse al di sotto delle sue aspettative. Che, per altro, non ha concretamente coltivato. Una bufera di neve è ciò da cui tutto prende vita. Ray, il suo migliore amico, sparisce nella tempesta. Ad ucciderlo Donald con un atto di omissione di soccorso. Con lui, in queste scene che ci passano davanti agli occhi come fotogrammi cinematografici, Isabel e Mona, la moglie di Ray. Le due donne diventano il canto e il controcanto di qualcosa che altro non è che la proiezione stessa dei buchi neri dell’animo di Donald. La prima come sguardo che paralizza (come quello della madre dell’uomo), la seconda come simbolo di ciò che lui avrebbe voluto essere e avere. Ma cosa sono queste due donne se non l’immagine allucinata che il pensiero claustrofobico di Donald è andato a costruirsi nel tempo? Isabel è davvero quella donna devota, dolce e irreprensibile il cui sguardo, secondo il marito, è un continuo giudizio? E Mona è davvero quella donna bella e affascinante di cui, pur non essendo innamorato, brama il corpo per vedere in esso solo un’altra immagine di sé stesso? E non prestando soccorso a Ray cosa voleva portare a termine Donald? Eliminando l’uomo di successo, sposato con una donna che è l’opposto di Isabel quale era l’ostacolo che si illudeva di togliere di mezzo?

La mano è un romanzo perfetto e, viene da dire, perverso. Disturbante. Allucinato. Così gravido di tutti quei chiaroscuri, quei neri profondi di cui è fatto l’animo umano, i rapporti familiari e quelli di coppia. Un continuo gioco di specchi con cui si cerca di mantenere un ordine, di controllare ciò che controllabile non è, cioè l’altro. Donald ci appre come un uomo che fa tutto da solo in realtà. Costruisce e distrugge, immagina e strappa, si agita davanti agli occhi una fotografia di sé stesso che si convince sia una fotografia scattata da altri. Mentre è solo un’immagine uscita dalla camera oscura della sua mente. Fino a quando, ancora una volta, in una inevitabile dinamica, non troverà altro modo che eliminare, eliminare ancora. Se la parola capolavoro non fosse ormai talmente abusata da aver perso forza, è così che bisognerebbe definire questo La mano con il suo sublime equilibrio tra cinismo e comprensione. Con il colpo di genio del titolo la cui portata e forza si capisce solo alla fine, con la sua potenza di catalizzatore e abisso

La mano Book Cover La mano
Biblioteca Adelphi
Georges Simenon. Trad di Simona Mambrini
Letteratura
Adelphi
2021
172 p., brossura