Anita Mancia, nata a Roma, ha lavorato 20 anni presso l'Istituto Storico della Compagnia di Gesù come assistente bibliotecaria ed Archivista. Ha collaborato con la rivista storica dell'Istituto con articoli sulla Ratio Studiorum, la pedagogia dei gesuiti, i gesuiti presi prigionieri dai pirati e recensioni. Presso l'editore Campanotto di Udine nel 2007 ha pubblicato un volumetto di poesie.

“Muoviti. Beato è colui che parte”. così leggiamo ne I vagabondi p 244.
Ritengo che questo possa essere il motto e anche il centro del libro di Olga Tokarczuk (1962), premio Nobel per la letteratura del 2018, anche se, a rigore, questo libro non ha un solo centro ma più centri da cui partire. E tuttavia un tema c’è, il trionfo dell’insolito, del mostruoso, dell’anomalo fisico e psichico. Il trionfo della morte.

Olga Tokarczuk (Foto da wikipedia)

Tokarczuk è una scrittrice barocca, in un certo senso, che accumula storie di movimenti diversi la cui ricorrenza contemporanea è quella dell’areoporto (pp. 54-55). “È tutto ben organizzato: tappeti mobili aiutano lo spostamento dei viaggiatori da un terminal all’altro in modo che poi possano andare da un aeroporto all’altro (alcuni distano fra loro decine di ore di volo)… Sono qualcosa in più di un aeroporto: sono già una categoria speciale di città-nazioni, con una posizione fissa mentre i loro abitanti cambiano continuamente. Sono repubbliche aeroportuali, membri dell’unione aeroporti mondiali, ancora senza un rappresentante all’ONU, ma è solo questione di tempo” . Non c’è scrittrice più anticonvenzionale per i contenuti che idea e che rappresenta.

Per fare un solo esempio la scrittrice aborre descrizioni individuabili e dettagliate di luoghi particolari. Esse infatti decretano la morte del luogo in se stesso nella sua originalità. Perciò la scrittrice, dopo i primi tentativi giovanili di descrizioni, abbandona il genere o, meglio, lo trasforma senza che nella presentazione di esso, si possa riconoscere il luogo, e nel libro si mantiene fedele a questo principio antidescrittivo.

La descrizione, sostiene, ingenera nel lettore che è anche visitatore dei luoghi descritti una forte delusione. Per questo le guide sono quanto di peggiore si possa offrire al viaggiatore. Originale ed anticonvenzionale è la sua idea del tempo: “Il tempo di tutti i viaggiatori è l’insieme di molti tempi in un’unica, grande molteplicità. È il tempo dell’isola, arcipelago dell’ordine in un oceano di caos; è il tempo generato dagli orologi diversi ovunque. È il tempo convenzionale, quello medio che quindi nessuno deve prendere troppo sul serio. Le ore scompaiono in un aereo che vola, l’alba arriva veloce con il pomeriggio e la sera alle calcagna.” (p. 54)

Pur privo di un racconto organico dall’inizio alla fine, questo libro contiene molte storie esemplari fra le quali la “Storia di Philip Verheyen, scritta dal suo allievo e assistente, Willem van Horssen”, che contiene “Le lettere ad una gamba amputata” (pp. 178-199),  “Vagabondi” e “Cosa diceva la fuggiasca intabarrata” (213-243), “La mappa della Grecia e Kairos” (340-366). Queste storie sono tutte segnali dell’abilità narrativa della scrittrice, benchè questa non consideri la narrazione come lo scopo dell’opera che è più filosofico in sè.

Concluderei questa breve presentazione con il paragrafetto “Cose non create da mano umana” che presenta così una statuetta di Buddha: “Si dice anche che una certa statuetta di Buddha sia comparsa da sola, perfetta, realizzata con il metallo migliore. Si è dovuto soltanto ripulirla dalla terra. Rappresenta un Buddha seduto con la testa appoggiata sulle mani. Questo Buddha se la ride fra sè e sè, un po’ ironico, come uno che ha appena sentito una barzelletta. Una barzelletta in cui la battuta finale non si trova nell’ultima frase ma nel respiro di chi la racconta” (248). Un libro molto godibile e denso di pathos molto ben tradotto da Barbara Delfino

I vagabondi Book Cover I vagabondi
Olga Tokarczuk. Trad. di Barbara Delfino
Letteratura
Bompiani
2019
384 p., brossura