Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

La ricerca sull’identità di alcuni scrittori è cosa che, da sempre, si ripresenta regolarmente nella storia della letteratura. Il bisogno di dare dati anagrafici e biografici certi sembra essere un’indispensabile indagine parallela a quella filologia o semiologica. E, spesso, lo è, per ricostruire un palinsesto certo di elementi di veridicità storica.
Uno scrittore su cui tanto si è dibattuto per stabilirne l’identità è sicuramente William Shakespeare, il Bardo. La questione non è così oziosa come potrebbe sembrare. Dare un nome, attribuire un’identità sono, in letteratura, qualcosa di più di meri “esercizi di stile” o palcoscenici per egotiche ricerche accademiche.
Talvolta diventano pretesto per scrivere romanzi che sono declinazioni sapienti e gustose dell’arte di scrivere e di fare letteratura come in un gioco di specchi. Come accade con questo Il Manoscritto di Shakespeare, di Domenico Seminerio, romanzo, saggio, spy story, mix di barocca eleganza siciliana e ricerca filologica. Un intreccio di intrecci per far viaggiare una domanda, un dubbio: e se Shakespeare fosse, in realtà, italiano, anzi di più, siciliano?
Due elementi vorrei chiarire di questa mia frase. Ho scritto “fosse” e non “fosse stato” e ho scritto “italiano, anzi di più, siciliano” e non a caso. Ma per mettere in luce due chiavi di lettura di questo libro ovverosia la “contemporaneità” della questione del nome (che nel caso di Shakespeare mai avrà un punto di arrivo) e la sicilianità non tanto di stile di questo testo ma di generale attitudine, magnificamente resa dall’espediente di presentarci il protagonista narrante (scrittore anch’egli) impegnato in una ricerca su sull’uroboro e la circolarità del tempo.
Quella che è una seria ipotesi diviene in questo Manoscritto di Shakespeare una storia nella storia. Un maestro elementare, in un immaginario paese siciliano, è certo di avere le prove del fatto che Shakespeare fosse italiano. Ma il maestro, l’anziano Perdepane, è persona dalla vita difficile, ridicolizzato da una moglie troppo ignorante per comprendere la sua passione e più impegnata a mettere in cattiva luce il marito che non a sostenerlo nelle sue ricerche. Perdepane ha bisogno di qualcuno che si faccia custode, testimone e narratore di questa storia. Chi? L’affermato scrittore protagonista del libro. E in un mirabolante passaggio di consegne metaforico (e non solo) i dubbi sull’identità di uno scrittore diventano materia (e non solo) della missione di un altro scrittore.
Nel corso di una serie di incontri tra i due, veniamo piano piano immersi nella vita di Perdepane e negli episodi che lo hanno portato ad entrare in possesso del libricino di aforismi da cui tutto ha origine. Seminerio inizia così a raccontarci una storia a sua volta basata sullo studio di Martino Iuvara intitolato Shakespeare era italiano. C’era una volta un tale Michelangelo Florio, nato a Messina. L’inquisizione lo costrinse a scappare e a trovar rifugio in Veneto, dove compì i suoi studi. Un rosario di nomi, di incontri fanno da cornice alla vita di questo “sconosciuto”: Giordano Bruno, Rosengrantz e Guildestern. Ma non voglio raccontarvi oltre perché davvero è gustoso assai immergersi nella lettura di questo libro.
E, in sottofondo arrivano echi di altra “sicilianità” letteraria con sentori di Verga, di Sciascia e, forte e chiaro, Pirandello. Ma arrivano anche discreti colpi d’ascia sulla mafia e su una mentalità mafiosa che ammanta di sé tantissimi meandri della vita dell’isola. Non a caso, Seminerio, in un breve frammento di descrizione di un piccolo boss locale, sottolinea come quel tipo di potere abbia bisogno di “un’isolata autarchia”.
E qui, attraverso il racconto della sparizione degli stessi manoscritti originali di Shakespeare, e del comportamento ambiguo delle autorità britanniche, è giocoforza trovarsi a pensare ad qualcosa che oltre che “isolata autarchia” è anche “isolana autarchia”; Sicilia e Inghilterra due isole sono ed è divertente rintracciare elementi di minuscola somiglianza in una abissale differenza.
Un libro che gioca anche in maniera sapiente con tutta una pletora di stereotipi sulla Sicilia e sui siciliani, introducendo anche qui ciò che, in fondo, è un po’ il filo rosso di tutto il libro e cioè il valore del dubbio. E della sua ancella più preziosa: la letteratura e i suoi infiniti giochi di specchi. Se ve lo siete perso quando è uscito il consiglio è quello di leggerlo ora.

Il Manoscritto di Shakespeare Book Cover Il Manoscritto di Shakespeare
Domenico Seminerio
Letteratura
Sellerio
2008
339