Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

Nominare quel che non ha nome

Di Geraldine Meyer

Come dire l’indicibile? E cosa, per una madre, di più indicibile della morte di un figlio? Ancor più quando quella morte arriva da un figlio che ha “levato la mano su di sé” come avrebbe detto Amery. E dopo che, questa morte, è arrivata come epilogo di anni di lotta con la schizofrenia. Tra Didjon, Diario di un dolore di Lewis, e Livelli di vita di Barnes, questo Quel che non ha nome, di Piedad Bonnett è la restituzione di ciò che la scrittrice colombiana ha veramente attraversato. Daniel, il figlio, ha solo ventotto anni quando si butta dal tetto di un edificio di New York, città in cui frequentava un master alla Columbia University.

“Mamma, Daniel si è ucciso”. Queste le parole che la figlia al telefono le dirà. Da quel momento tutto cambia. Dopo i giorni dell’ottundimento, quel meraviglioso meccanismo con cui il cervello la difende, almeno per poco, dallo schiantarsi del cuore, Piedad comincia una ricerca. La ricerca stessa di suo figlio. Un tentativo di tenerlo in vita con le parole. Che Piedad sa essere insufficienti eppure uniche armi alleate su una strada a cui nessuno (tanto meno un genitore) è preparato.

Non lo era Piedad sebbene, come ci racconta, fosse consapevole che Daniel “sarebbe finito male”. Non poteva essere preparata nonostante il dolore e la paura si fossero insidiate nella sua vita insieme alla diagnosi. Un rosario di visite mediche, pareri, terapie. E quel figlio fragile e dolcissimo che lottava per essere normale pur consapevole che la sua mente stesse andando altrove.

Quello di Bonnett è un doloroso ma sobrio diario di ciò che è stato prima, durante e dopo. Un “ricostruire” suo figlio attraverso i ricordi e le parole di chi lo aveva conosciuto e amato. Attraverso i suoi tentativi di costruirsi un futuro anche quando già aveva iniziato a comprendere che non lo avrebbe avuto. Quel che non ha nome è un viaggio lancinante in una morte che, con la malattia mentale, inizia ad arrivare ben prima della fine. Cambiando tutto e tutti, chi ne soffre e chi attorno a chi ne soffre cerca di tessere una apparente normalità. Anche quando non c’è più normalità alcuna.

Piedad Bonnett, lo dice chiaramente, senza giri di parole: non è credente, non vi è senso, per lei, a questa morte e Daniel non è più da nessuna parte. Eppure con questo libro Bonnett non fa che mantenere la relazione con suo figlio. Non può farlo con la preghiera e con la fede ma lo fa. Con quello che, lei stessa, chiamerà un nuovo parto. Bonnett partorirà di nuovo suo figlio per “nominare” ciò che non ha nome, come la malattia, il suicidio, la morte stessa. Partorirà di nuovo, dando di nuovo vita a suo figlio.

Quel che non ha nome è un libro tagliente, mentre lo leggi senti qualcosa che ti prende le viscere e lo fa proprio per la pacatezza del tono. Un dolore non urlato e, quindi, ancora più detonante. Quasi un’arte del prendere congedo.

Quel che non ha nome Book Cover Quel che non ha nome
Memoir
Piedad Bonnett. Trad. di Alberto Bile Spadaccini
Memoir
Codice Edizioni
2024
127 p., brossura