Luca Morettini Paracucchi, nato il 24 febbraio 1988. Lucchese da tutta la vita, Viterbese da qualche tempo. Ho una passione molto forte per ciò che riguarda il cinema, la letteratura, la musica, il mondo dei fumetti e dell'arte in generale. Tra le mie passioni hanno un posto di rilievo il mondo del punk e certi aspetti della cultura cosidetta nerd. Scrivo da quando avevo otto anni, recentemente ho ripreso dopo un periodo di stop. Spero sia la volta buona

Tra librerie di usato: Diario di un naziskin

Di Luca Morettini

E’ la solita vecchia storia. Una città mai visitata, un giro nel centro, una libreria e, se hai culo, un angolo con delle occasioni, una pila di libri a poco prezzo, uno scaffale che contiene delle rarità.

Anche stavolta succede proprio così. La città è Macerata, la libreria è specializzata in libri nuovi e usati di non immediata reperibilità (per la cronaca si chiama Giometti & Antonello e vale la pena visitarla) e sotto un piccolo tavolino vi sono tre file verticali di libri che, più o meno tutti, costano tre euro. E come una calamita vengo attratto proprio lì.

Quando esco fuori ho tra le mani due acquisti contrassegnati da tre caratteristiche invitanti: costano poco, sono brevi e, non dovrei neanche specificarlo, sono interessanti, almeno per me. Il primo è un volume di poesie di Garcia Lorca, il secondo ha un titolo che lascia intendere un argomento meno simpatico ed è Diario di un naziskin di Ingo Hasselbach. Lo ammetterà anche lui da qualche parte in quel libro: certi argomenti, quelli che entrano con prepotenza nel lato sinistro del genere umano, attirano sempre. Il cosiddetto fascino del male.

Nata come una lunga lettera ad un padre mai veramente conosciuto e soprattutto capito, quello che fa più paura in Diario di un naziskin non sono i racconti dell’organizzazione che contraddistingue i gruppi di estrema destra, la descrizione dei rappresentanti di spicco, il resoconto delle manifestazioni spesso finite a suon di botte e violenza. Fa molta più paura la facilità, ai limiti dell’inconsapevolezza, con cui Ingo Hasselbach aderì alla scelta di seguire il movimento neonazista. Succede tutto all’improvviso: c’è l’infanzia passata principalmente con i nonni, l’adolescenza problematica, le frequentazioni prima di hippy e poi di punk, il primo approccio ad una realtà di strada cruda, i periodi trascorsi in carcere…e proprio attraverso quest’esperienza e all’incontro di alcuni detenuti ex nazisti Ingo si ritrova essere un naziskin. Quasi come fosse una scelta obbligatoria, l’unico modo per sfuggire alla solitudine e trovare una compagnia che lo accetti. Ma è un passaggio, nel libro, così veloce e indolore che fa riflettere con quanta facilità questo ideale contorto e violento s’insinui nella mente di certe frange di persone sole e disperate. Per quanto protagonista di molti eventi e, per un certo periodo, anche a capo della National Alternative, non si riesce veramente a capire quanta convinzione ci sia in quella che racconta. Anche quando spende parole di stima per Michael Fuhnen, ideologo neonazista e figura molto celebre in quel periodo. Non si avverte mai una reale convinzione. C’è l’odio che scivola giù per la mente di Hasselbach e dei suoi amici come se fosse acqua fresca. Incolore, semplice da mandar giù. E riesce perfettamente a far capire quanto sia pericoloso tutto ciò.

Quando il libro venne pubblicato nel 1994, Ingo Hasselbach già da tempo avevo chiuso tutti i ponti con il suo passato. Aveva capito che tutto ciò che per sei anni, dal 1987 al 1993, aveva contraddistinto il suo modo d’essere e d’agire era errato e non aveva più senso. Ad eccezione di un tatuaggio raffigurante l’aquila hitleriana coperto da un motivo floreale, le cicatrici degli altri tatuaggi asportati (svastiche e simbologie varie) non le ha mai volute coprire. Perché sapeva che non poteva dimenticare e le diverse, prevedibili minacce dei suoi ex camerati, tra cui un pacco bomba, d’altronde non avrebbero potuto permetterlo.

Ma la verità è che non avrebbe mai voluto farlo. Ha viaggiato molto all’estero ed è diventato il testimone di sé stesso e della sua esperienza umana, inoltre ha fondato un’associazione con la quale aiuta le persone a lasciare il mondo del neonazismo.

Quando ho finito di leggere il libro (che termina con un’appendice su quale sarà il futuro di Hasselbach una volta finito di scrivere la sua opera) di tutto ciò non ne avevo idea. Immaginavo invece chissà quale sorte fosse toccata a quello che una volta era un ragazzo che sposò l’odio e l’intolleranza e ne fece sua compagna di vita, macchiandosi di attentati e pestaggi. Ho scoperto che è vivo, risiede a Berlino, convive e lavora come giornalista.

Sono stato contento di sapere che sta bene.