Anita Mancia, nata a Roma, ha lavorato 20 anni presso l'Istituto Storico della Compagnia di Gesù come assistente bibliotecaria ed Archivista. Ha collaborato con la rivista storica dell'Istituto con articoli sulla Ratio Studiorum, la pedagogia dei gesuiti, i gesuiti presi prigionieri dai pirati e recensioni. Presso l'editore Campanotto di Udine nel 2007 ha pubblicato un volumetto di poesie.

Monica Kristensen, glaciologa ed esploratrice polare norvegese, è nota al pubblico italiano per la serie di gialli ambientata alle isole Svalbard, “La leggenda del sesto uomo” (2013) e “Operazione Fritham” (2015). Questo libro, “L’ultimo viaggio di Amundsen” sempre ambientato alle isole Svalbard, è di tutt’altro genere: storico e documentario, con un finale immaginativo (Un mistero artico 399-419), sempre ambientato alle Isole Svalbard, è dedicato alla sfortunata spedizione polare di Umberto Nobile con il dirigibile Italia e alle spedizioni polari ufficiali e private, che furono allestite per salvarlo, fra le quali quella di Roald Amundsen, privata e dall’esito tragico, che dà il titolo al volume. 

Umberto Nobile (Foto da Wikipedia)

Nobile era partito con il dirigibile Italia da Kings Bay il 23 maggio 1928 ed aveva raggiunto il Polo Nord a mezzanotte e venti dove aveva sostato due ore, del 24 maggio. Radiogrammi erano stati inviati direttamente a Mussolini, al re d’Italia Vittorio Emanuele III ed al Papa Pio XI. Il capitano Romagna Manoja aveva ricevuto il permesso di divulgare la notizia anche ai giornalisti raccolti a Ny Ålesund.(33). Tuttavia le condizioni del tempo si erano ben presto fatte difficili e quindi non fu possibile fare scendere tre membri dell’equipaggio direttamente sul polo con l’aiuto di un ascensore congegnato proprio  da Nobile. Ufficialmente lo scopo della ricerca era quello di mappare territori sconosciuti oltre che di effettuare preziose misurazioni scientifiche (43), anche se raggiungere il Polo era certo importante per una spedizione diretta da italiani e quasi completamente italiana, fatta eccezione per František Běhounek, dell’Università di Praga e Finn Malmgren, dell’università di Uppsala (36). Rispetto alla spedizione del Norge di due anni prima guidata da Amundsen non c’erano rivalità interne come era accaduto per i contrasti fra Nobile ed Amundsen.

Amundsen (Foto da wikipedia)

Precisamente per l’alzarsi del vento Nobile decise che, per motivi di sicurezza l’atterraggio sul ghiaccio dovesse essere annullato, rinunciando alle misurazioni dell’elettricità dell’aria al livello del mare. Tuttavia Nobile non aveva ancora deciso la rotta da seguire: si poteva puntare alle coste dell’Alaska come aveva fatto Amundsen due anni prima, oppure scommettere che il dirigibile riuscisse a volare controvento e puntare verso Ny Ålesund. Richiesto di dare un’opinione, Malmgren insistette con Nobile per la decisione di puntare su Ny Ålesund invece che sul Kongsfjord, e questi accettò la proposta, che purtroppo si rivelò un errore.

Il ritorno dal Polo iniziò per il Dirigibile Italia alle 2.20  del 24 maggio 1928. Kristensen descrive con precisione, momento per momento il ritorno del dirigibile. Dopo due ore dall’inizio del ritorno, il dirigibile scese di quota, con il rischio di schiantarsi sul pack. Nobile diede ordine di spegnere immediatamente tutti i motori. Il dirigibile risalì di quota, tuttavia per breve tempo. Nobile ordinò di portare più in alto il dirigibile grazie ai tre potenti Maybach. Il mare ghiacciato – erano quasi sulle Svalbard –  si avvicinava a una velocità sempre maggiore. L’ordine di liberare duecento chili di zavorra non  potè essere eseguito perché l’imbracatura di corda che le teneva insieme era ghiacciata. Biagi, il telegrafista, mandò l’ultimo messaggio dall’Italia alla nave di supporto Città di Milano alle 10.27 di venerdì 25 maggio. Lascio la parola a Kristensen perché il momento dell’impatto sul ghiaccio è narrato in modo memorabile e mirabile: “La catastrofe era inevitabile, il dirigibile si sarebbe schiantato sul ghiaccio. Nella gondola tutti tesero i muscoli e si prepararono all’impatto, eppure quando arrivò fu uno choc improvviso e brutale. Gli uomini vennero catapultati da una parte all’altra; la gondola, trascinata sul ghiaccio, andò a sbattere con enorme violenza contro un masso di ghiaccio e riprese la corsa coricata su un fianco, finchè, sottoposta alla tensione della struttura che la legava al pallone, si spaccò in mille pezzi. Il frastuono dell’impatto fu colossale, un inferno di metallo e legno che si abbattevano sul ghiaccio, rumori stridenti, grida. Era intollerabile. Gli uomini, con il mal di mare dopo la corsa sul ghiaccio, furono scaraventati qua e là schiacciati da quel mondo in miniatura che fino a pochi istanti prima avevano considerato un rifugio sicuro. Sul fondo della gondola si aprirono grosse crepe. Accecati dalla paura, alcuni uomini decisero di saltare giù. Nessuno capì chi, nessuno contò quanti furono a sparpagliarsi sul ghiaccio come semi neri usciti da un baccello. La gondola fu strappata dal pallone e andò a spaccarsi contro il pack” (49 nota 9 p. 459). Ho citato questo lungo brano per la drammaticità della narrazione e per il suo carattere ben documentato. Infatti a pagina 49 il testo contiene una nota che rimanda al libro di Alexander McKee, Drama i ishavet, Dreyer Forlag Oslo 1979, p. 141. [Dramma sul mare di ghiaccio]. Il libro di Kristensen, per altro, si era aperto sul protagonista del testo, Amundsen a Tromsø, il 18 giugno 1918 dove l’eroe norvegese si era rifugiato con il pilota norvegese Dietrichson prima della partenza di soccorso a Nobile con l’idrovolante francese Latham 47 II che gli era stato accordato per la spedizione di soccorso a Nobile ed ai 6 membri dei 9 dell’equipaggio rimasti con lui ferito, dopo l’allontanamento volontario di Filippo Zappi, Adalberto Mariano, Finn Malmgren che si erano messi in marcia sul pack ufficialmente per cercare soccorso, in un tentativo peraltro disperato, da cui erano usciti vivi, non Finn Malmgren che aveva voluto essere lasciato morire  (167-170, 255-256).

La tecnica di Kristensen è molto abile ed articolata: se da un lato mostra la solitudine di Amundsen, eroe polare di una generazione precedente a quella di Nobile e dei piloti di aerei ed idrovolanti, che nessuno voleva salvasse per primo l’ex compagno di spedizione del Norge, ora a capo del dirigibile’Italia’ né Mussolini capo del governo italiano, né i suoi ex collaboratori norvegesi, a causa del suo carattere ruvido e autoritario, dall’altro segue su piani diversi le spedizioni norvegese, svedese, finlandese, italiana e russa che operarono per salvare Nobile ed i membri dell’equipaggio dell’Italia rimasti con lui.

L’abilità di Kristensen nel seguire i piani diversi diacronicamente, delle spedizioni, è stata rappresentata dall’editore italiano alla fine del volume (le spedizioni: i nomi principali 475-483).  La narrazione è fortemente drammatica come si è visto, oggettiva per il più possibile e particolarmente precisa per le descrizioni tecniche così dettagliate da risultate ammirevoli. La spedizione italiana dopo l’impatto sul pack, riuscì a stabilire un contatto radio attraverso il radio telegrafista Biagi, fortunatamente si era salvata la radio, con un radioamatore siberiano e poi con radio San Paolo  (l’otto giugno, valse a Biagi mezzo chilo di cioccolata che divise con i compagni) che permise di localizzare approssimativamente e poi in modo preciso la posizione degli italiani. Nobile fu salvato per primo e da solo dal pilota svedese Einar Lundborg al comando della missione svedese, anche se Nobile avrebbe voluto far salvare per primo Cecioni che aveva entrambe le gambe rotte. L’operazione completa non potè essere portata a termine da Lundborg e dagli svedesi perché quando questi tornò con il Fokker l’aereo si ribaltò e precipitò contro il ghiaccio lasciando il pilota fortunatamente illeso. Pertanto Lundborg riferì che un altro aereo doveva venire a prendere lui per primo e gli altri, fra i quali Cecioni, avrebbero dovuto attendere ancora. Di fatto la liberazione dallo sporco accampamento e dal pack si compì il 12 luglio 1928, al mattino per il gruppo di Malmegren formato da Zappi e Mariano, il quale se i soccorsi avessero tardato solo dodici ore sarebbe morto (326), alla sera per il gruppo degli italiani nell’accampamento. Come si è detto Amundsen non era stato messo al corrente di contenuti e dettagli delle spedizioni decise dai governi norvegesi, svedesi e italiane e si sentiva umiliato anche perchè non aveva denaro sufficiente per pagare una spedizione privata con un aereo Superwal. L’unica  persona che avrebbe potuto aiutarlo economicamente era il pilota Lincoln Ellsworth. Le speranze di Amundsen e del pilota norvegese Dietrichson si erano riaccese e anche il governo norvegese si era mostrato interessato ai suoi piani. Sennonchè Lincoln Ellsworth aveva altri piani. Aveva detto ad Amundsen che avrebbe dato la somma se avesse partecipato alla spedizione. Invece anticipò soltanto duemila dollari per l’anticipo dell’acquisto di un Dornier. L’aereo sarebbe stato prenotato al suo arrivo in Norvegia. Praticamente il progetto di Amundsen era fallito. L’aereo in soccorso degli italiani avrebbe dovuto partire subito, ma questo non era il caso. Amundsen si sentiva tradito e umiliato. Il 14 giugno però si presentò una possible soluzione, quella della messa a disposizione per la sua spedizione di un idrovolante potenzialmente compatibile con l’Artico che era in dotazione alla marina francese. Amundsen accettò anche per non offendere i francesi. Fu quindi predisposto un Latham 47-II “secondo prototipo di un nuovo modello delle officine Latham di Caudebec-en-Caux, che si trova sulla Senna tra Rouen e Le Havre.” (199).

Kristensen descrive dettagliatamente la preparazione della missione, che parte verso Nord per Ny Ålesund il 18 giugno dopo un volo iniziato alle sei di sera da Tromsø. C’è un’ultima foto di Amundsen vivo alle 16 che viene pubblicata nel libro. Richiesto di una sua opinione circa la strategia migliore per la ricerca del pallone Amundsen, il 17 giugno aveva dichiarato che “secondo lui la strategia migliore per procedere alle ricerche del pallone fosse l’utilizzo di una nave rompighiaccio, l’unica imbarcazione capace di raggiungere la parte orientale a nord delle Svalbard aprendosi la strada nel ghiaccio durissimo. L’ideale sarebbe stato un rompighiaccio con un aereo a bordo.” (213), il che fu proprio quello che avvenne. Gli ultimi contatti con il Latham prima di un black out energetico all’Istituto di geofisica, avvennero prima delle 19 del 18 giugno. Dopo tre giorni dalla partenza il Latham non dava ancora sue notizie, ma era ancora presto per disperare. Amundsen aveva sempre avuto in serbo qualche cosa di spettacolare. Ma il 20 giugno c’era preoccupazione lo stesso a Kings Bay perchè il Latham non aveva dato più comunicazione di sè dalle 18.45 del 18 giugno all’istituto di Geofisica ecosì a Ny-Ålesund. La ricerca ufficiale da parte francese e altre ricerche da parte norvegese della sorte del Latham si aggiunsero a quelle del dirigibile Italia, senza risultati apprezzabili, tranne il ritrovamento di relitti, variamente interpretato.

Direi che il libro su questa complessa ed articolata ricerca di due spedizioni, quella di Nobile e quella di Amundsen, mette in evidenza quattro elementi almeno:1) la capacità per la Norvegia, stato giovane e non ricco, di operare autonomamente e con notevoli capacità di guida, la ricerca di una spedizione internazionale, italiana, che aveva naufragato nel territorio delle Svalbard ((Artico) appena dal 1920 sotto amministrazione norvegese. Lo stesso, da diverse angolazioni, vale per Urss, Svezia, e marginalmente per la Finlandia; 2) l’interesse delle nazioni europee vincitrici della prima guerra mondiale, ad arrivare per prime a salvare Nobile ed il grande successo della Svezia; 3) la mancata esperienza dell’Italia e gli errori di Nobile: la rotta scelta, il carico e la mancata unità del gruppo. Senza contare che il relitto del pallone ed eventuali superstiti in esso non furono cercati; 4) il passaggio da una tipologia di eroe polare individuale e autoritario, ma teso a esprimere valori norvegesi e umani quali l’azione, il senso dell’avventura, la tenacia e l’esperienza, ad una diversa tipologia di eroi ricercatori scientifici e piloti di aereo, che pure Amundsen aveva incoraggiati.

Fridtjof Nansen, che aveva sostenuto le idee che avrebbero portato alla collabirazione internazionale nella ricerca polare moderna (427) pur avendo 11 anni più di Amundsen, nel discorso in memoria di Roald Amundsen aveva affermato fra l’altro “… in quell’immenso, bianco silenzio il suo nome brillerà ancora nell’aurora boreale per i giovani norvegesi dei secoli a venire. Sapere che esistono uomini con il suo coraggio, la sua volontà e la sua forza infonde fiducia nell’uomo e nel futuro. È ancora giovane un mondo capace di generare simili figli” (428 nota 171).Conclude questo pregevole libro valido per narrazione e acribia scientifica, che ha una sua teoria circa quello che può essere accaduto ad Amundsen disperso, un ricco apparato di note e una bibliografia di 5 pagine.

L'ultimo viaggio di Amundsen Book Cover L'ultimo viaggio di Amundsen
Monica Kristensen. Trad. di Sara Culeddu
Storia, documentario
Iperborea
2019
483