Cristina M. D. Belloni nasce in Lunigiana e si trasferisce in tenera età in Liguria. Dopo aver seguito studi artistici si interessa appassionatamente ad approfondire i meccanismi e l’evolversi della storia dell’arte contemporanea. Proprio in qualità di critico d’arte e corrispondente, durante tutti gli anni ’90, ha firmato saggi e recensioni per alcuni dei maggiori periodici del settore, tra i quali: Terzoocchio delle edizioni Bora di Bologna, Flash Art di Milano Julier di Trieste . Inoltre affiancherà attivamente la famosa galleria d’Arte avanguardistica Fluxia durante tutto il periodo della sua esistenza. Nel 2010 pubblica il suo primo romanzo: “La strana faccenda di via Beatrice D’Este”, un giallo fantasioso e “intimista”.

Da Marcerl Duchamp a Jeff Koons
Ovvero: dal genio alla banalità

Nel secondo decennio del ‘900 un visionario, quanto eccentrico (per la sua epoca) artista francese di nome Marcel Duchamp, fece scalpore con i suoi oggetti “Ready-made”. Oggetti comuni, cioè (una ruota di bicicletta, un orinatoio, uno scolabottiglie, ecc.), che estrapolati dalla loro condizione ordinaria e presentati come forme in un contesto culturale-artistico, potevano assurgere allo status di “opera d’Arte” proprio perché così pensate, volute e proposte da chi in quello specifico ambito si riconosceva ed era riconosciuto come un “creatore”.
Naturalmente nel 1917, quando il gusto della collettività per l’espressività figurativa, anche negli ambienti più colti, faticava molto ad accettare sia le tematiche che le tecniche impressioniste, i forti inestetismi dell’Espressionismo o le visioni astratte futuriste, cubiste e del Fouvismo, l’operato di Duchamp venne visto come un atto di ulteriore “blasfemia” e di sfrontata provocazione.
La “pittura” nel senso accademico ottocentesco era ancora ampiamente in auge. Ma un gruppetto di i “pazzi” asserisce che l’Arte non debba più essere legata e costretta da schemi, che è la libertà espressiva assoluta, senza limiti ad essere il vero motore del fare artistico.
Così prese vita un bizzarro movimento: il Dada, che già nel suo nome senza senso, attribuito dagli stessi partecipanti, prelude alle intenzioni del gruppo.
Duchamp, Hans Arp con i suoi equilibri evanescenti appesi a fili, le costruzioni infinite fatte di carta, cartone e oggetti riciclati di Kurt Schwitters (arriveranno ad estendersi per tre piani della sua casa),mettono in atto una geniale quanto rivoluzionaria affermazione ideologicache ha introdotto in arte, la nozione della supremazia del “concettuale” rispetto al fattuale. Assunto che verrà poi sviluppato ampiamente solo molto dopo, negli anni sessanta e settanta del secolo scorso, da movimenti quali il “Fluxus”, l“Arte Povera” o l’Inespressionismo americano.
Cosa di più scandaloso, innovativo ed avanguardistico (e non solo nella loro epoca) che porre all’attenzione dell’erudito pubblico delle gallerie d’arte, un manufatto a quei tempi di uso ordinario come un semplice scolabottiglie di metallo? Un vero e proprio “scacco matto” dal punto di vista filosofico, anche a tutta la produzione artistica che sarebbe venuta dopo!
Se i tempi non erano allora ancora maturi, l’evoluzione del pensiero artistico ha dato largamenteragione a questi folli pionieri che giocavano con le emozioni e con il senso della vita stessa.
E mentre l’Europa proseguirà nell’approfondimento storicamente coerente, di tutti i rivoli dei linguaggi artistici e del pensiero astratto, la giovane America che soffre per così dire, di un certo complesso di inferiorità, rispetto al patrimonio culturale del vecchio continente, cercherà nei propri valori e nelle proprie consapevolezze, un suo nuovo modo d’esprimersi, attingendo alla vita di ogni giorno (il realismo metafisico di Hopper), alle moderne icone (i ritratti ed i “contesti” seriali di Worhol e le coloratissime gigantografie fumettistiche di Roy Lichtenstein), alle situazioni minimali e nonsense dell’Inespressionismo sino all’affermazione: “tutto è arte” ( che si rivela un proseguo naturale dell’assunto duchampiano) del Fluxus.
Ma se tutto questo si ascrive alla logica dello sviluppo filosofico del pensiero artistico e si riallaccia alla concezione sbocciata proprio con l’antesignano Duchamp, nel frattempo un altro soggetto entra prepotentemente a far parte del mondo dell’Arte: il mercato.
I meccanismi del mercato dell’arte, sviluppatosi appieno a partire dagli ultimi decenni dell’ottocento, contrariamente a quanto possa sembrare, non hanno considerazione per il valere intrinseco delle opere e nemmeno per la pregnanza delle idee.
L’intrinseco cinismo del mercato fa leva (e non solo nello specifico dell’Arte) sulle innate tendenze umane a “mito” ed al possesso per confezionare “feticci” che inducano gli appassionati ad investire somme di denaro anche ingenti per ottenere gli oggetti simbolo di uno status o di una moda corrente.
Worhol scriveva che: “..la capacità di far soldi con l’arte è un gradino sopra il fare Arte” . E in questo paradossale assunto si riassume, insieme ad un crescente disorientamento per la concezione stessa di “Arte”, la superficialità che ha contrassegnato in modo sempre più dilagante la produzione artistica contemporanea di cui Jeff Koons con i suoi banalissimi quanto leziosi oggetti è un perfetto esponente.
La crisi del significato e della “funzione” della creazione artistica in quest’epoca multimediale, ha certamente contribuito alla banalizzazione del prodotto, il quale non sembra (per ora) aver più la capacità di veicolare nessun messaggio.
Sprazzi di spontanea e vera creatività rimangono nei graffiti e nei murales della “street art” non apparentemente commercializzabili.
A tale proposito diventa emblematica la recente performance di Banksy, valido e provocatorio esponente della suddetta corrente espressiva. Una piccola versione su tela della sua “Bambina con palloncino rosso” (apparsa come murales a Londra nel 2002 e divenuta simbolo iconico della protesta per il conflitto in Siria), recentemente venduta ad un’asta di Sotheby’s per un prezzo di circa un milione di sterline, si è autodistrutto subito dopo l’acquisto per volere dell’artista stesso.
Questo “scherzo” e irrisione alle “operazioni commerciali” alle quali si vuole assoggettare la creatività, è forse indicativo di una inversione di tendenza ideologica che piano, piano si va delineando.
Resta da vedere se il “mercato” considererà i resti del dipinto di Banksy come ulteriore feticcio da poter vendere.

Cristina M.D. Belloni

L’immagine di copertina riporta l’opera SColabottiglie di Marcel Duchamp 1914

Da Marcel Duchamp a Jeff Koons. Ovvero dal genio alla banalità Book Cover Da Marcel Duchamp a Jeff Koons. Ovvero dal genio alla banalità
Cristina Belloni
Critica d'arte
2018