Giuseppe Del Core. Sono nato a Bari nel 1995, il 27 maggio. Ho conseguito la maturità classica nel 2014 e la laurea triennale in Lettere Moderne nel febbraio 2018. Studio Filologia Moderna a La Sapienza di Roma. Sono un lettore costante condannato alla scrittura - come strumento rievocativo e di analisi.

“Non c’è espiazione per Dio, né per il romanziere, nemmeno se fossero atei. È sempre stato un compito impossibile, ed è proprio questo il punto. Si risolve tutto nel tentativo”.

C’è una scena, sul finire della prima parte, che sarà poi rievocata più volte lungo tutto il romanzo. Il lettore non può saperlo, ma ne intuisce l’importanza, perché McEwan la costruisce con una certa classe che mira a fondere la vita alla letteratura, il passato al presente, in un varco che resta di fatto sospeso nel tempo. È una scena molto significativa, ma ha anche il pregio di essere autonoma, e riesce laddove molti scrittori, cedendo al lirismo o alla fantasia o alle svenevolezze, hanno fallito. “Quando udirono un bottone cadere a terra tintinnando, entrambi dovettero trattenere un sorriso e distogliere lo sguardo. Il senso del comico li avrebbe distrutti.”

Il libro si apre con un’epigrafe di Jane Austen che rimanda ai costumi cristiani degli inglesi – ed entrambi gli elementi si rivelano presto decisivi: la Austen per l’influsso evidente nella scrittura di McEwan e i costumi cristiani per quel puritanesimo più o meno velato che aleggia nella prima parte del romanzo – per poi partire a rilento con una lunga e polifonica descrizione di un ambiente apparentemente idilliaco. In questa armonia così ostentata, tra l’eleganza dei completi degli uomini e il lussureggiare dei giardini, si intuisce presto un velo di ipocrisia che carica le scene di tensione e sembra voler profetizzare una catastrofe imminente. La penna di McEwan ha una tenuta quasi cinematografica, presta voce a tutti i personaggi, ripassa e rivisita le stesse situazioni, fa uso dei riquadri delle finestre, della luce e del buio. Ogni pagina ci offre una bella immagine, ma tra le righe l’equilibrio sembra incrinarsi, anche se l’esplosione viene ritardata (e ci sembra, a quel punto, che sarà tanto forte da riecheggiare per l’eternità).

Briony ha tredici anni e l’immaginazione di una scrittrice mista alla supponenza e all’ambizione che sono di quell’età. Il romanzo non ha un protagonista assoluto, ma è chiaro fin da subito che tutto passa da lei. E così, dopo aver impiegato oltre un centinaio di pagine nel disegno di un ingannevole paradiso che contiene in sé più di un soffocamento, McEwan inizia definitivamente a rompere gli indugi. Briony viene colta dall’illuminazione di essere cresciuta, di aver lasciato l’infanzia e con questa i suoi limiti: diventerà romanziere e le sue opere avranno priorità su tutto il resto, a qualsiasi costo. Ma quello che Briony ignora è che il “transito” tra un’età e l’altra si sfuma in una serie di passaggi che al momento può soltanto immaginare. In questo senso, il sesso, presentato nella sua mistura di dolcezza e goffaggine, rappresenta una sorta di iniziazione a una vita nuova. Briony, che naturalmente può guardare al sesso solo come all’atto violento che sporca le coscienze, da questa vita è ancora distante, ma non lo sa. E per convincersi del contrario, con un gesto che voleva essere per lei quella iniziazione di cui aveva bisogno, non si cura – proprio perché non può saperlo – di trascinare le vite degli altri in un vortice di rammarico, condannandosi, più tardi, a scontare una colpa che non potrà mai espiare. Ed è questo il messaggio che sta sul fondo di questo romanzo, e che tradisce le aspettative del titolo: le colpe non si possono espiare. Non sempre, almeno.

La bambina cresce, arriva a comprendere la gravità del suo errore e il peso di questo la schiaccia, e quando agisce per poter rimediare, si accorge che la vita non ha le potenzialità del romanzo, che è guerra e morte e malattia, e che lei, che gioca a riordinarla con la penna, deve sottostare alla sua potenza come tutti gli altri. E allora, poiché la vita è soltanto la vita, s’inventa il lieto fine che non c’è stato, speranzosa di trovare in esso quell’espiazione che non si è compiuta nel mondo reale.

Un bel romanzo, un po’ prolisso – è bella l’idea di contrappore l’armonia della prima parte al disordine della guerra nella seconda, ma alcuni passaggi appaiono gratuiti – , con una trovata finale, quella delle memorie ricapitolative, un po’ facile e quasi frettolosa ; probabilmente anche sopravvalutato nel complesso, ma senz’altro riuscito, elegante, mai lezioso e valevole di attenzione.

Espiazione Book Cover Espiazione
Tascabili Einaudi
Ian McEwan. Trad. di S. Basso
Letteratura
Einaudi
2005
388