Gianluca Garrapa, nato nel 1975, è laureato in Lettere Moderne; è poeta, scrittore, performer, è stato descrittore cromatico e cabarettista; conduce la trasmissione radiofonica RadioQuestaSera su Punto Radio Cascina; collabora per Satisfiction e Zona di Disagio; sue cose su Gammm, Compostx, Nazione Indiana, Critica Impura, Poetarum Silva, Verde Rivista, Fara poesia, Patrialetteratura, larosainpiu, Il fatto quotidiano, Zest letteraturasostenibile, Il sole24ore; nel 2017 ha pubblicato il libro di poesie “di fantasmi e stasi. transizioni” con la postfazione di Gabriele Frasca per Itaca edizioni. Per Eretica ed. uscirà il romanzo “Il 23 agosto. Un piattello di segreti”. Per Terra d’ulivi ed. il libro di racconti “Un ronzio devastante e altre cose blu”. Poesie e racconti in: Antologia dei Poeti Contemporanei, (Libro Italiano, Ragusa, 1995); Navigando nelle parole,Vol. 23, (edizioni Il Filo, 2006); Antologia dei racconti di Officina, (ETS, Pisa, 2005). Un suo poemetto è presente nell’antologia “La parola informe.” a cura di Sonia Caporossi, per Marco Saya Ed. Lavora come counselor a orientamento psiconalitico nel Liceo Pontormo, e in strutture residenziali di Empoli, città in cui vive.

In esergo è una frase di David Foster Wallace, che racchiude bene il ‘sugo della storia’, quell’evoluzione di una generazione omologata tutta presa dal godimento impossibile, dalla solitudine, dall’immaginario dei videogiochi, e la vita stessa finisce per essere un gioco di ruolo, alla ricerca ossessiva di soldi, alcool, il bere rendeva tutto mitologico, e sesso. Pur è vero che la scrittura di Magini ci trascina, nel vortice stesso del reale, con un periodare spesso dilatato e musicale. E ricorda proprio Wallace, quando si lascia andare al linguaggio informatico iperspecialistico, quasi un vezzo, sembrerebbe, di superiorità rispetto alla conoscenza media del lettore, ma in realtà un oculato ritratto del protagonista tutto preso dall’informatica, attorno al quale ruota, anche, tutta la trama del romanzo e gli sforzi dei protagonisti. Ce ne sono due, Raffaele e Fabio, fondamentali e diversi, e un terzo, Rødh, seppur “minore”, che chiude e raccoglie il finale così come ha raccolto tutte queste foto, tutte le donne, tutti gli amori, e li metto da parte.
Le parti in cui è diviso il romanzo, alternano la prima persona di Raffaele alla terza di Fabio (e ci si chiede se la terza persona sia narrazione dell’autore o di Raffaele), queste le parti Prima Parte – Pseudologia fantastica, Seconda Parte – Anelli di crescita, Terza Parte – Epidharmide, Quarta Parte – Storia di un corpo umano e il finale Entropussy, finale in cui ravviso il gesto del direttore di orchestra che conchiude l’ascesa stessa, la salita vera e propria, l’uscita dal romanzo (che non si può svelare per non smontare il colpo di scena, gustoso e intelligente, speriamo, punto di partenza per un possibile sequel).

Colpisce l’incipit che apre la rêverie della narrazione dei corpi: la prima immagine è quella dei genitori che scopano: io invece ricordo bene i miei primi mesi perché guardavo i miei genitori scopare ogni giorno, la scena madre, il trauma che genera tutto il resto della quête del personaggio che, se non fosse per la freddezza e il calcolo della voce narrante, ci aspetteremmo una sorta di brillante parodia del Male Oscuro, ché lì il male depressivo allontanava l’uomo dal suo corpo, e qui lo imbriglia nel più-di-godere, poco male: il godimento ossessivo che porta il bambino Raffaele al suo esplicito exploit nel mondo del sesso: via così finché non ho avuto il mio primo rapporto sessuale, da cui origina tutta la sua ricerca della ‘fica’: “Ciò che è importante per me (la fica) è importante per tutti, perché siamo tutti uguali.” e la deriva sociopatica, incoraggiato dalla misoginia del nonno che disprezzava il mondo, ma le donne le detestava proprio. E in effetti, questa deriva maschilista, ingenuamente maschilista, la si ritrova nell’elenco di donne che Raffaele ha diversamente approcciato: Allora riordinai gli appunti, mi sforzai di ripescare dalla memoria i punti lacunosi e compilai l’elenco definitivo, accanto a ogni nome c’è un simbolo che spiega l’interazione umana: * = pomiciata † = scopata ‡ = altro.
E questa prematura corruzione della ‘naturalezza’ umana la si può ravvisare in un passaggio come questo, quando tenta un approccio sessuale con la sua fidanzatina: mi sentii davvero sprofondare, perché al posto del prato dove volevo portare Vanessa a raccogliere i denti di leone, c’era un cantiere, nel mezzo una gru altissima e intorno, come tanti piccoli sudditi, </em>autocarri, ruspe e betoniere. Un disastro familiare e nazionale imbriglia il giovane adolescente che sta diventando adulto in una sorta di secca esistenziale che, però, è costruita su presupposti letterari e filosofici non da poco, nichilismo, lettura: e lessi Brizzi e Dostoevskij, iniziai a tenere un diario su cui scrivevo frasi come: l’umanità è l’aborto di un demiurgo demente; forse la verità è che le domande sono inutili?; non sono cinico: sono solo povero d’immaginazione; e quelle tre regole, che ricordano una sorta di Fight Club molto personale: i Tre Comandamenti dell’ebbrezza: I. Non lavorare. II. Non aspettare. III. Non invecchiare.
Questo, del godimento, può essere un primo livello di lettura, ma c’è un percorso che porta il giovane ad avvicinarsi alla politica nel periodo universitario: La politica dal basso, a cavallo del millennio, era divertente. La vita quotidiana, dopo la noia irriferibile del liceo, diventò improvvisamente festosa e significativa.
Momento difficile, quello della ricordanza politica universitaria, per un autore che ancora giovane potrebbe rischiare la retorica. Così non è. Nonostante la generazione sia tutta impelagata nel vuoto di desiderio e nell’ossessione dell’io, ai limiti del egotismo distopico, Magini elabora questa pratica, in linea con l’idea di un corpo o fatto pezzi o negletto: l’emancipazione non passava più attraverso la liberazione del corpo, come era stato per le nostre mamme (almeno idealmente, o almeno secondo la nostra idea di figl*), ma attraverso il suo abbandono e riesce a reiterare il clima disastroso e quasi tragicamente farsesco del momento politico del G8 di Genova, conclusosi con la ben nota aggressione vigliacca nella scuola “Diaz”, attraverso non un’adesione acritica e modaiola del fatto politico scaturito dalle assemblee universitarie, al contrario: Andai a Genova senza capire queste cose, proprio perché le volevo capire: per sapere se era per finta o sul serio, per vivere nella storia, e in questo, si diceva, è presente il desiderio, il corpo, declinato ora in variante bi-sessuale: era un giovane sulla ventina, di corporatura tozza ma dai lineamenti per niente sgraziati. […] gli occhi azzurri, gli zigomi pronunciati […] e soprattutto lo sguardo ingenuamente e teneramente severo, mi fecero subito innamorare di lui.
Ecco: qui, Magini, l’autore, lascia da parte l’io e ritrova la sicurezza di un noi: l’episodio del G8 di Genova risente in qualche modo della scrittura oggettiva-collettiva che richiama quell’esperimento di scrittura collettiva, In territorio nemico, in cui la storia più che passata, e comunque presente, resta godibile perché non scade nel resoconto giornalistico che nulla aggiunge di personale e nuovo, cronachismo in cui solo il tema si ripete senza rema alcuna. Nonostante tutto, il fatto che il protagonista, che vive col nonno, abbia perso i genitori, come dire: morti i padri, con le loro leggi contenitive, morte le madri con la capacità di modulare i desideri, il fatto che i personaggi delle azioni vivono nel mondo soli e senza regole né piacere, questo particolare qui, è pur di un’intera generazione. Sicché la psicosi è in agguato: sia nelle allucinazioni di Fabio – egli ha un amico immaginario: l’astronauta – che arricchì gradualmente il suo nuovo mondo, fino a renderlo comodamente abitabile. La sua casa era un’immensa astronave a forma di insetto che viaggiava per le galassie ed era abitata da miliardi di esseri umani, che nella descrizione di Raffaele del trip durante un festival di musica psytrance in Ungheria. Ecco: non siamo negli anni in cui stupefacente era un viaggio contro la tradizione alla ricerca del nuovo, ma nell’epoca nostra in cui lo stupefacente serve a tappare semplicemente il buco del reale, aggiustare tutto, vincere la partita. Si deduce questo, il vezzo di un’intera generazione: il narcisismo che vorrebbe le cose andassero per il verso giusto, a tutti i costi, e la narrazione fredda e distaccata, a volte sarcastica, della voce onnisciente, riesce a traghettare questo aspetto. Non è un giudizio di valore, è un dato di fatto. Mario Perniola, in un suo saggio, parlava di realismo psicotico per dire di certe tradizioni artistiche della body art, la trasmissione del concetto senza simbolo: in sostanza ci si taglia la carne viva e la si fa sanguinare, senza alcun velo, senza mediazione simbolica. Quel che succede nel romanzo è spesso un aprire, senza alcuna perifrasi, uno svelare freddamente e con piglio da telecamera, l’osceno: masturbazione, avevo appena ottenuto il mio primo portatile e mettevo a frutto la rivoluzione senza fili raddoppiando il ritmo della masturbazione, sperma, fica, cazzo. La lezione di American Psycho non è aliena a questo magistrale ritratto di una generazione e di un individuo.
Anche il dare a vedere tutto e subito, e senza intermediazione simbolica, lo si ravvisa nel costante polo attrattivo del ‘video’, del ‘cinema’, della perfomance, nel debutto artistico di Raffaele: Il mio debutto artistico sarebbe stato 60% videoart e 40% performance, una delle scene del romanzo più esilaranti e perfettamente scritte, dove l’egocentrismo del personaggio esplode nella condivisione davanti a sbigottiti e\o infastiditi astanti: Accesi la TV col telecomando. Apparve un uomo nudo a cazzo ritto (ero io). Il Fallo lacaniano serpeggia in tutta la scrittura, e anche, sullo stesso piano e opposto al corpo del reale, quel vuoto generatore di desiderio che spinge i riferimenti e anche il pensiero, verso l’astratto, l’idea: Ci voleva qualcosa di concettuale, alla Lars von Trier, ma cinema no, non mi sentivo pronto. E anche la lezione paradossale e surrealista di certo cinema americano non manca di riferimento, Mulholland Drive, in cui il sesso tra due donne è quasi hitchcockiano: […] questo regista di avanguardia americano, David Lynch […]
E come Raffaele è tutto preso dal corpo di carne del godimento, Fabio trasmigra nell’astronave della sua personale psicosi, nell’immaginario senza carne, e pure qui, tra le righe, ma non tanto, è ravvisabile il riferimento letterario: l’astronave stessa, che era un essere vivente di età incalcolabile dedito all’esplorazione dell’Universo e alla catalogazione dei più strani dei suoi fenomeni e abitanti, ricorda l’astronave Malpertuis del romanzo fantastico di Valerio Evangelisti e, d’altra parte, pure la scansione della trama in sezioni, che hanno comune conclusione nel capitolo finale, non è lontana dall’architettura della serie di Eymerich, inquisitore, arguto e freddo ‘matematico’. E oltretutto, a Fabio, gli davano estremo fastidio, invece, gli specchi e la palestra: gli specchi perché gli ricordavano che aveva anche della carne e delle ossa: oscilla, il romanzo, tra la negazione e la esagerazione del corpo, e in questo modo i due personaggi, Fabio e Raffaele, diventano quasi topoi di un’epoca bipolare e confusa, ma a suo modo ordinata, ordinaria.
Eppure, tutti i riferimenti letterari o cinematografici, non sono mero citazionismo, così come i dialoghi non rasentano mai l’improbabile del cliché. Cometa è davvero un romanzo ‘maturo’. Anche quando si lascia andare a periodi semi-incomprensibili e quasi barocchi, lo sforzo immenso fatto dalle vetuste ruote del tempo per riprendere la velocità di crociera usuale, in un secondo della quale si sfracellano 9 × 109 periodi della radiazione che corrisponde alla transizione tra i due livelli iperfini dello stato fondamentale di un atomo di cesio 133, ma non gratuiti perché in queste parole c’è la ‘psicologia’ del personaggio, la sua vita, la sua credibilità.
Fabio dice: sono cresciuto come un androide, non mi posso resettare, e non vi pare di scorgere quella giovane umanità ipnotizzata e plagiata dai pixel, alla deriva, senza desideri e sola, del millennio questo dove tutto è dissolto, nella cruda, cristallina, intensità del presente?
In questa vorace vertigine del gorgo materialistico e psicotico del godimento o dell’abbandono del corpo, l’autore fa trapelare la potente immagine dei lavoratori extracomunitari: li invidio tutti, per l’umiltà che hanno conservato grazie alla vasta prospettiva della loro esperienza, a quei viaggi infiniti, ai vivi e i morti che hanno dovuto lasciarsi alle spalle per sopravvivere: potente perché sono considerazioni messe in bocca a Raffaele, il che non lo rende semplicemente più buono o più umano, ma lo fa ‘credibile’ come personaggio, e sfaccettato, pure, profondo, personaggio dotato di tempo e non macchietta.
Ecco: in questo romanzo, nei suoi luoghi e nelle sue azioni, non si rischia mai la monotonia, c’è una crescita: là dove fino a un attimo prima regnava incontrastato “il problema della fica”, come ormai chiamavo il tema principale della mia vita, spuntavano adesso questioni metafisiche come la natura illusionistica del tempo, i paradossi della coscienza.

Raccontare è tempo. Riflettere immagini è spazio.

Il finale racchiude un po’ tutta la poetica ‘ascensionale’ del romanzo: l’ossessione delle donne, del sesso, dell’amore e dell’incapacità di trovare un posto in cui stare, per quanto non sia mai chiaramente esplicitato, fa ruotare, a mio parere, Cometa intorno al vuoto di questa Cosa materna epocale, l’iperpresenza di un figura femminile che il padre non riesce a controbilanciare: dovevo essermi convinto che da qualche parte nella mia mente sopravvivevano intrappolate le anime di mia madre e mia sorella, intorno a una ricerca di un godimento primario che non può essere più sperimentato e che la promiscuità sessuale, l’alcool e la droga illusoriamente sublimano. Laddove nulla possono le regole precise, le carnalità ossessive, la paranoia della scienza informatica, la soluzione pare diventare l’ascesa, di uno dei protagonisti, al divino, un divino alieno.
Una perfezione, questa della scrittura, tale quando riesce a farci percepire un mondo sui generis, direbbe Adorno, che senza infarcirsi di distopia intellettualistica, riesce a umanizzare un oltre la terra, oltre madre-terra, dalla quale si vorrebbe staccare il cordone ombelicale, rapiti da… una luce, forse.

Buona lettura!

Cometa Book Cover Cometa
Gregorio Magini
Narrativa italiana
Neo Edizioni
2018
248