Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

Questo “Io sono vivo, voi siete morti” è sicuramente qualcosa di più di una biografia. Con questo libro, che Adelphi pubblica con una bellissima traduzione di Federica e Lorenza Di Lella (bisognerebbe sempre citare i traduttori) Carrère non ci consegna solo la storia Phili K. Dick ma ci porta per mano in mezzo a pagine di pura letteratura. Come fosse una sorta di metatesto, Carrère sembra scolpire con il cesello le varie fasi della vita del grande scrittore di fantascienza, disegnando una figura di uomo, oltre che di artista, che non ci lascia neanche a libro concluso.
Un libro “colosso”, nato dalla passione stessa di Carrère per Dick e dalla attenta lettura della sua sterminata produzione letteraria fatta di circa un centinaio di racconti e quarantaquattro romanzi, ma anche dalla analisi delle sue lettere, diari, conferenze. Materiale attraverso il quale ci viene restituita la figura di un uomo tanto straordinario quanto fragile, divorato dalle sue ossessioni ma spaventosamente lucido nel riflettere sulle sue stesse visioni.
“Non più tutti sono all’oscuro tranne io ma, tutti sanno tranne io” sono parole pronunciate da Dick durante una conferenza a Metz e che, in un certo senso, possono essere considerate la chiave di lettura di tutta la sua opera e di tutta la sua vita. Perché, come in pochi altri casi, vita e opere di Dick paiono davvero come un unico, ininterrotto palinsesto di parole e immagini. Una vita e una produzione letteraria vissute entrambe non sull’orlo dell’abisso ma in pieno abisso. A partire dalla nascita per passare attraverso ricoveri psichiatrici, allucinazioni, ossessioni religiose, seduzioni e abbandoni.
Come non restare segnato da una madre che, dopo averlo partorito insieme ad una sorella gemella, lascia morire quest’ultima di fame, per poi rimproverargli di non essere morto lui invece della bambina. Al di fuori da ogni più spicciola e semplicistica psicologia tutto pare partire da lì. E dal suo nascondersi dentro qualche scatolone, trascorrendo in quello spazio angusto molte ore delle sue giornate di bambino.
E così la sua vita diventa un ininterrotto susseguirsi di rivelazioni, svelamenti e ribaltamenti della realtà che Dick riverserà spasmodicamente nelle pagine dei suoi scritti, convinto di vivere in un mondo ingannatorio, dove tutto rappresenta il contrario di tutto, dove il mostro si nasconde dietro una maschera di normalità. Tanto normale da diventare quasi un anestetico. Quello che il mondo chiama paranoia per Dick diventa la base della sua cifra letteraria, senza soluzione di continuità con il dipanarsi dei suoi giorni.
“Molti sostengono di ricordare una vita passata, ma io sostengo di ricordare un’altra, diversissima vita presente”. In questa frase è contenuta forse tutta la poetica di Philip Dick, il suo muoversi in un mondo in cui niente è come sembra eppure tutto è latore di inganni proprio perché apparentemente logico. E quando Dick entrerà nel bagno di casa sua e cercherà di accendere la luce tirando una cordicella che, ne era sicuro, fino al giorno prima c’era e poi non c’è più, ecco che per lui tutto diventa chiaro. Qualcosa non va. Qualcuno ci ascolta, ci spia e ci manipola.
Da lì all’incontenibile interesse per robot e androidi il passo è più che breve. La scoperta di una figura come Alan Turing, padre dell’informatica moderna, lo porterà ad elaborare ulteriormente il concetto di cosa sia il contrario dell’uomo: forse l’animale? No. Ma esattamente il robot, l’androide capace di ingannare provando emozioni. Androide, figura centrale di quello che, forse, è diventato il suo libro più famoso “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” dopo la trasposizione cinematografica di “Blade runner” E Dick sa cosa vuol dire ingannare, in un certo senso, avendone fatto esperienza con i vari psichiatri con cui era venuto a che fare. Dick, un uomo a pezzi, se così si può dire, eppure lucidissimo nella sua “follia”. Da cui trae materia per i suoi libri ma da cui pare non lasciarsi totalmente schiacciare se si pensa alla precisione e lucidità con cui si interroga proprio su cosa voglia dire essere psicotici (riflessioni riversate nel libro “Noi marziani”.
“Io sono vivo, voi siete morti” è un libro nel libro, una irresistibile carrellata di immagini, di ritratti ma anche di storia di una certa America e, inevitabilmente, di una certa epoca: Nixon, LSD, controllo, droghe, musica, letteratura. Un caleidoscopio di parole con cui Carrère racconta senza mai giudicare, senza pretendere di emettere sentenze definitive. Cosa del resto impossibile con una figura come Philip Dick che del ribaltamento sembra aver fatto la sua seconda pelle.
Ma questo è anche un libro in cui, drammaticamente e tragicamente (nel senso quasi greco del termine) emerge tutta la spaventosa attualità di Dick e delle sue visioni. La sua psicosi, se ci si pensa bene, non è così lontana da quella che oggi sembra essere divenuta la tecnologia e la cosidetta realtà virtuale. Non si tratta tanto di profezie avverate ma di, possiamo chiamalo così, “modus vivendi” in cui le realtà (virtuali) sembrano avere preso il posto della realtà, trasformandoci tutti in ologrammi e rendendo sempre più sottile il confine che ci trattiene dal chiederci quale sia “l’altra vita” che stiamo vivendo.
Quello di Carrère non è solo un libro che ci fa rimpiangere di averlo portato a termine ma anche un testo che, tra molti altri, l’immenso merito di non apparire mai, mai, come una sorta di rivalutazione della figura di un uomo come Dick ma semmai come un viaggio in quelle ossessioni di cui può essere capace solo un uomo dalla sensibilità acutissima; che diventa apoteosi di una grande letteratura. E questo è l’altro versante di “Io sono vivo, voi siete morti”, quello cioè di una analisi lucida, di una lettura critica che spiega quanto possano essere fuorvianti le definizioni. Dopo avere letto questo testo e dopo avere letto i romanzi di Dick ci si chiede davvero che senso abbia parlare di fantascienza.

Io sono vivo, voi siete morti Book Cover Io sono vivo, voi siete morti
Fabula
Emmanuel Carrère
Adelphi
2016
351