Giovanna Dal Bon è nata a Venezia. Vive da sempre la scrittura come ecoscandaglio per sondare diversi piani di realtà; ne insegue la crepa e l'erosione fino ad installarsi nella parola poca. Fulminanti gli incontri e definitivi i congedi.

Un popolo senza terra

Di Giovanna Dal Bon

Il ristretto di una striscia a stipare gli invisibili

tremanti bersagli in eterna punizione

secolari misfatti in mai deposto crimine

millenarie discendenze elette in estromessa santità

terre brutalizzate da rapace avidità d’occupazione

case usurpate- vite annichilite- strage d’innocenza

masticare quest’aria a tremare l’atroce

danno impunito da indifferenza e calcolo

umanità negata da smania d’annientamento

far pulizia eliminare gli indesiderati fino a soluzione finale

nessuno ad impedire nessuno di chi dovrebbe a condannare

per voi muovono fiumi d’occidente

per voi riempiono piazze e voci inascoltate

la notte paracaduta viveri prendendovi di mira come mosche

il buio garantisce crimini che la luce perpetua

l’acquamarina del mattino miete risvegli senza pietà

solo macerie unisone intonano il vostro lamento

le moschee giacciono trafitte senza più suono

su voi costruiscono muri serrano valichi a seppellirvi

il desiderio di vita negato dalla morsa di chi non vi vuole

voi popolo eletto a sofferenza estromesso a diritto d’esistere

stranieri in vostra stessa terra senza patria

scalzi nudi offesi su strade di fango a resistere inferno

armati fino ai denti con ghigno di ferocia i persecutori

occhi di sangue a sputare insulto su corpi vilipesi

il male dilaga e lacera il tessuto vivo dello stare in vita

rinfocola spenti i fanali nel lungo tragitto di pena

sono anni e giorni di un bombardare che non conosce tregua

le indifese voci di chi non conta nulla ai nostri occhi senza misericordia

l’usurpatore ha nome e tuoneggia nei secoli a venire

all’alba tra le macerie il grido di madri e infanzia amputata

nessuno a risorgere in questo millennio in croce

miserere non basterà al nostro dio liquefatto nell’odio

tradito per sempre negato in menti oscurate

occhi senza più pianto in piantagioni di ingiustizia

generazioni non basteranno a dimenticare

a smaltire il ciarpame di bibliche pretese

sguardi di fiele ali di pippistrello nel deserto

niente pane per gli affamati niente acqua per il Battista

 nemmeno un’ultima cena nel braccio della morte

il silenzio assorda le centraline del potere

vertigine di devastazione azzera le coscienze

l’orrore ha rubato il posto ad indignazione

scegliere se imprecare pregare o far di mente levigato sasso

cuori di pietra senza battito e cala il sipario

invalicabile tormento dei vinti ancora una volta

la storia rigetta le false promesse il peccato capitale dei forti

la bellezza che indiavola la speranza di riuscirvi

abbattuti e muti la transizione è sudario

cattività come colpa esistere la colpa suprema

osteggiare progetti d’espansione solo esistendo

la mano che arroga sradica e impone

 nemmeno strisciando si ha scampo e si beve acqua da lavatrici ruggini

nessuna pace tra gli ulivi nessuna pace

chi accadde per primo cadrà quasi un monito

tra le macerie vagiti e l’operosa mano di chi scava

tra sfacelo e morte il sorriso resistente di qualche bimbo

ci guarda dritto negli occhi  e ci interpella

noi non siamo gli ultimi.