Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

Acciaierie. Una storia operaia

Di Geraldine Meyer

Sono belle queste pagine di Stefano Pelloni. Lo sono a tal punto che, opinione personale, meriterebbero di trovare un editore che se ne assuma la responsabilità economica e di cura. Un editing generale, una risistemata al “dialogato” e ad alcune scene che richiederebbero una sorta di “ruvidezza” maggiore e poi via, alla conquista del posto che merita. Nulla, ma proprio nulla da ridire rispetto a iniziative come quella di bookabook (di cui potete trovare i riferimenti a cliccando QUI) che, se non altro, hanno avuto il merito di far leggere testi come questo Acciaierie. Ma davvero credo che un testo come questo avrebbe bisogno di un editore, diciamo così, tradizionale.

Acciaierie è un libro di letteratura del lavoro, di letteratura operaia, un libro che ci ricorda il dovere del ricordo e della memoria (che non sono la stessa cosa), un libro di formazione in cui le vite individuali sono il puntello su cui si basano quelle sociali e quelle di una intera classe lavoratrice. Ed è il libro di un figlio che si fa testimone dell’eredità, etica e morale, di due genitori operai.

Le acciaierie a cui fa riferimento il titolo sono quelle di Modena. Ed è da loro che tutto comincia. Quando Stefano, la voce narrante, viene a sapere che quell’enorme complesso industriale (già chiuso da tempo) verrà abbattuto per far posto all’ennesimo centro residenzial-commerciale, si sente chiamato in causa. Sente che deve “recuperare” un passato e una storia che sono intimi e pubblici allo stesso tempo. Sente che la storia di suo padre deve essere raccontata perché, spesso, le storie sono tutto ciò che resta quando le “vestigia” di mattoni e acciaio stanno per essere cancellate.

E così Stefano Pelloni accompagna il lettore in un viaggio tra passato e presente che è un viaggio in una certa Italia di lavoro e fatica, di riti familiari, di autovetture usate solo quando davvero non se ne poteva fare a meno e al lavoro si andava in bicicletta. E ore di lavoro duro in fabbrica. Per Stefano l’entrata nella vita adulta sarà una visita che il padre gli farà fare proprio all’interno dell’acciaieria. Una sorta di germe di educazione alla vita e l’inizio di quella eredità di cui si parlava all’inizio. Per Stefano vedere quell’inferno di calore, polvere e rumore, sarà la presa di coscienza di tutta una condizione, lavorativa, umana, politica e economica. E quando il padre tornerà a casa sconvolto e fatto a pezzi dalla morte di un collega, Stefano scoprirà anche che di lavoro si muore perché la vita degli operai vale meno del profitto.

E allora seguiamo Stefano che va a vedere la fabbrica prima che venga distrutta, lo seguiamo mentre entra nei luoghi che aveva visto con suo padre, siamo con lui mentre ne sente i vecchi rumori e mentre ne avverte i fantasmi. Che sono lì, ancora tutti, perché sono nella sua testa e nei suoi ricordi. Fino alla bellissima scena finale, disincantata, lucida e malinconica. Eppure, forse proprio per questo, molto forte. Non c’è un altrove fuori dalla memoria. Ecco perché è fondamentale coltivarla.

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