Giuseppe Di Matteo è giornalista a Telenorba e collabora con la Gazzetta del Mezzogiorno. Il suo percorso di studi lo ha portato a frequentare l'Università La Sapienza di Roma dove si è laureato in storia. Ha studiato anche presso la Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia. Nel suo curriculum anche un'esperienza londinese presso Birkbeck Univerity London. Collabora con il blog letterario di Nicola Vacca Zonadidisagio.wordpress.com

«E nel momento in cui gli italiani, questi mostri della geometria che si ispirano agli studi di Leonardo o all’architettura neoclassica, si rendono contro che l’intrusione, tutta arabeschi, del Pibe de oro crea spazio ai suoi compagni di squadra, Maradona fa ancora un passo, colpisce la palla e scivolando a terra la caccia nella rete di Galli, uno che di solito non ha bisogno di spostarsi perché gioca con righello e compasso». In questo scorcio mozzafiato – che descrive il gran gol di Diego Armando Maradona all’Italia durante i campionati del Mondo di Messico ’86 – è racchiusa la fine arte del ricamo di Vladimir Dimitrijević (1934-2011), scrittore serbo refrattario alle giocate letterarie troppo facili. Forse perché, conscio del suo straordinario talento, amava catturare i lettori con i suoi numeri mirabolanti su carta, che, ancora oggi, rimangono unici nel loro genere. Come capitava a Diego, «capace di sollevare la palla con un leggero movimento della punta del piede che nessuno, fino ad ora, è riuscito ad imitare alla perfezione».

Di calcio si parla costantemente e da anni fioccano pile di volumi che pretendono di raccontarlo e radiografarlo. Ma pochi scrittori sono riusciti a esplorarne il mistero con l’ardore poetico di Dimitrijević, che negli anni Cinquanta aveva abbandonato la Jugoslavia per cercare fortuna in Svizzera, portando con sé i ricordi più remoti di un’infanzia passata con la krpenjaća (la palla di tela e stracci) tra i piedi e di un calcio in cui la televisione fa spesso la parte dell’intruso.
A quasi vent’anni dalla prima edizione, La vita è un pallone rotondo (proposto in Italia da Adelphi) si conferma un classico che resiste all’interno degli scaffali perché propone una scrittura che raggiunge vette vertiginose e riflessioni di sconcertante attualità. A partire da quella che, più di ogni altra, costituisce la struttura portante dell’intera narrazione: il calcio è uno sport imprevedibile ed estremamente essenziale; può essere praticato ovunque, sopportare gli strumenti più rudimentali, vivere di surrogati che non ne alterano la magia. Ma, soprattutto, è l’unico gioco in grado di restituire alla gamba la sua nobiltà, preso com’è a incensare le opere più raffinate del «piede pensante». Quello dei calciatori veri, dotati di un talento innato che li distingue dai semplici giocolieri e che fa rima con l’eleganza dei grandi scrittori. Perché per Dimitrijević calcio e letteratura sono strettamente connessi: «Il modo in cui uno scrittore colloca una virgola o un aggettivo, il modo in cui percepisce la propria musica, il respiro della frase, tutto ciò si ritrova in questo magico gioco».

È a partire da queste considerazioni preliminari che la chiacchierata coltissima di Dimitrijević si dipana trattando gli argomenti più disparati (dalla nascita del calcio totale in Olanda alle gesta della sua Jugoslavia; dal primo catenaccio di Helenio Herrera, alla solitudine filosofica del portiere, senza trascurare l’esegesi del calcio danzato di Garrincha, che aveva fatto del suo difetto fisico un’arma formidabile) e intrecciandosi ad alcune istantanee del suo vissuto, arrampicato a un solidissimo corpus di storie ereditato da un’antichissima tradizione orale che poteva annoverare i suoi aedi. Come Mate, «muratore e lettore vorace», che si ergeva ad archivio vivente dello Hajduk Spalato, squadra della quale era tifosissimo, e che dopo ogni partita regalava alla sua folla improvvisata e plaudente «i sospiri che sono alla base della creazione del mito». Un mito che la televisione, schiava della simultaneità e dell’immagine, ha contribuito ad appiattire: «Ci hanno portato via la creazione e per ciò stesso un parte della creazione. Il racconto è stato ucciso, sostituito da una fibrillazione di fatti salienti e rimarchevoli, ed è come se avessimo sostituito il cuore con il tracciato dell’elettrocardiogramma», annota amaramente Dimitrijević ripercorrendo la scia fangosa dei ricordi della sua Belgrado e aggrappandosi all’impertinenza artistica di Maradona, che è superiore a tutti gli altri perché, rifiutando le buone maniere, non si accontenta di essere un epigono di Paul Valéry.

Giuseppe Di Matteo

La vita è un pallone rotondo Book Cover La vita è un pallone rotondo
Piccola Biblioteca Adelphi
Vladimir Dimitrijevic. Trad di Marco Bevilacqua
Saggistica, calcio
Adelphi
2000
146