Giuseppe Di Matteo è giornalista a Telenorba e collabora con la Gazzetta del Mezzogiorno. Il suo percorso di studi lo ha portato a frequentare l'Università La Sapienza di Roma dove si è laureato in storia. Ha studiato anche presso la Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia. Nel suo curriculum anche un'esperienza londinese presso Birkbeck Univerity London. Collabora con il blog letterario di Nicola Vacca Zonadidisagio.wordpress.com

Ha sempre il Novecento accanto a sé e il pensiero pugnace di Emil Cioran sottobraccio, convinto com’è che il secolo breve – come lo aveva ribattezzato il grande storico britannico di fede marxista Eric Hobsbawm – se ne sia andato troppo in fretta lasciando ai suoi eredi lunghi papiri di interrogativi irrisolti e un irrimediabile senso del vuoto.
Chi ha imparato a familiarizzare con Nicola Vacca, critico letterario refrattario per vocazione alle tonache del conformismo, sa bene che il suo mantra è il non allineamento all’ortodossia. Tanto da aver scelto di dedicare la sua vita di studioso agli irregolari di professione – siano essi poeti, scrittori o liberi pensatori con licenza di uccidere certezze invecchiate – e di naufragare dolcemente con la penna in un mare temporale che sembra appartenergli molto più dei lidi attuali. Di quel “secolo mondiale” (espressione assai efficace di Emilio Gentile) – che aveva improvvisamente rimpicciolito il globo con la sua modernità vorace ammantata di oscuri presagi e oscurato la sua alba trionfante consumandosi in due conflitti planetari catastrofici e nella guerra fredda per poi fingere di arrestarsi con la caduta del Muro – resta appiccicata sulla pelle la voglia sfrontata di sperimentare in ogni campo oltre i limiti conosciuti, fino a «mettere più volte in crisi la funzione della parola scritta e la sua tradizione per poi recuperarla» – come scrivono Marco Antonio Bazzocchi ed Ezio Raimondi nell’introduzione della monumentale enciclopedia sull’età moderna e contemporanea a cura di Umberto Eco – attraverso una dialettica di cadute e risalite contornata da un mutevole gioco di sguardi.
Gli stessi che Vacca ha disegnato nella sua antologia di trincea andando a ripescare una ventina di spiriti liberi mai proni di fronte al canto sirenico del compromesso, con l’obiettivo dichiarato di contrapporli alla calma piatta della società dei consumi. A quattro anni dalla pubblicazione Sguardi dal Novecento, edito da Galaad, reclama ancora il suo spazio perché esprime un amore autentico per la letteratura, oggi sempre più stritolata da logiche editoriali che spesso non esitano a barattare l’autonomia di pensiero con i desideri più turpi del mercato. E per farlo si affida alle parole acuminate di chi ha sempre rivendicato l’autenticità del proprio essere, anche al prezzo dell’emarginazione dai salotti buoni.
Non è un caso che i protagonisti scelti da Vacca, che per raccontarli si serve di una prosa accattivante, abbiano deciso di «smascherare il volto della verità», pur con linguaggi diversi, non di rado facendo a pugni con la propria epoca e vivendo l’esperienza catartica della sofferenza.
Come era capitato ad Alda Merini (1931-2009), la poetessa dei Navigli riscoperta solo negli ultimi anni, che grazie alla forza straordinaria della sua poesia aveva ripreso la sua vita per i capelli dopo l’esperienza dolorosa del manicomio. E poi c’è la solitudine cocciuta di Ignazio Silone (1900-78), «il socialista senza partito» che non esitò a evidenziare con la sua critica corrosiva i limiti del marxismo e denunciò senza sconti gli orrori dello stalinismo, ricevendo in cambio un ostracismo letterario durato decenni. Sorte medesima era toccata anche a Giorgio Bassani (1916-2000) universalmente conosciuto per via del suo romanzo più celebre, Il giardino dei Finzi Contini, che fu esiliato dall’ideologia militante del Gruppo 63 a causa delle sue critiche corrosive a certi canoni prestabiliti. Ma tra gli invitati illustri al banchetto letterario allestito da Vacca un posto d’onore spetta certamente a Emil Cioran (1911-95), il compositore degli squartamenti che a suon di frammenti affilati come pugnali ha preso a sberleffi i dogmi ammuffiti del suo tempo. La sua vis polemica va a braccetto con il moralismo irriverente di Ennio Flaiano (1910-72), scrittore scomodissimo e assai allergico agli intellettuali da salotto, che non si stancò di rimproverare agli italiani i loro vizi, il peggiore dei quali – diceva – era quello di parlare dei propri difetti. Impossibile poi non rendere omaggio all’intelligenza eretica di Leonardo Sciascia (1921-89), cultore del garantismo e acerrimo nemico dei cosiddetti “professionisti dell’antimafia”, da lui stesso battezzati linguisticamente in un celebre articolo apparso sul Corriere della Sera e che gli attirò le antipatie dei progressisti. Non manca una menzione d’onore alle trame straordinarie di Carlo Cassola (1917-87), che antepose i sentimenti dei suoi scritti alle critiche della cultura ufficiale; alla poesia universale di Rocco Scotellaro (1923-53), ribattezzata da Montale «un’insolita felicità d’accento»; al mondo favolistico e fantastico di Italo Calvino (1923-85), «viaggiatore visionario che gira gira e non ha che dubbi”»; alla solitudine contemplata (e tragica) del poeta Edgardo Marani (1892-1945); alla satira feroce di Karl Kraus (1874-1936), che ne Gli ultimi giorni dell’umanità si erge a novello Cristo per prendere sulle sue spalle i peccati del mondo e che, direbbe Cioran, è il solo antidoto possibile ai veleni delle epoche torbide.
Ma l’autore non disdegna anche di varcare i confini nazionali, pennellando un ringraziamento sentito a veri e propri giganti come Fernando Pessoa (1888-1935), maestro delle identità immaginarie; Roland Barthes (1915-80), teorico sentimentale dell’amore che con i suoi Frammenti lottò tutta la vita per conferirgli dignità negli ambienti intellettuali più alla moda; al genio labirintico di Jorge Luis Borges (1899-1986); e alla scorrettezza fulminante di Nicolas Gomez Davila (1913-94), fiero nemico della sua epoca («Alla fine il progresso sottrae all’uomo ciò che lo rende nobile barattando con ciò che lo immiserisce».)
Chiudono la raccolta la breve biografia della poesia errante di Ezra Pound (1882-1975), che con il suo poema esistenziale The Cantos viene paragonato a un novello Omero in cerca del mondo e del divino; il sentito omaggio al coraggio di Ernst Jünger (1895-98) e un riconoscimento speciale alla lotta intellettuale di Albert Camus (1913-60) «che scelse la rivolta invece della rivoluzione» ribellandosi a ogni forma di schiavitù, e fu emarginato dall’intellighenzia francese perché aveva decostruito il mito del totalitarismo sovietico in nome della libertà.
Ne vien fuori una carrellata piacevolissima di anime inquiete che sono frammenti vividi non solo di un secolo laborioso, ma anche della vita stessa di chi scrive. Quella di Vacca in fondo è una preghiera sincera rivolta ai maestri in cui ha sempre creduto, e il suo pregio sta nell’averlo dichiarato senza finzioni. «Il critico letterario di una volta recensiva libri non per procurarsi potere. Parlava di libri perché li amava» – sottolinea lo scrittore al tramonto del volume prendendo per mano gli spiriti raccontati. Il suo impasto preparatorio è lì: il lettore non ha che da maneggiarlo con cura per modellare la pietanza a suo piacere perdendosi nel piacere del viaggio.
Giuseppe Di Matteo

Sguardi dal Novecento Book Cover Sguardi dal Novecento
Nicola Vacca
Critica letteraria
Gaalad Edizioni
2014
133