Sono nato a Orvieto il 21 agosto 1985. Laureato in filologia moderna all'università della Tuscia. Sono giornalista pubblicista. Le mie passioni sono musica, letteratura e cinema. Amo le contaminazioni e la ricerca di nuovi stili da adattare a questa assurda modernità. Ho scritto anche un libro: Inverni. La città che muore, Sette Città editore

Ho descritto la Los Angeles del 1947 come un centro di passioni incarnato da Elizabeth Short. Ogni esistenza tocca la Dalia Nera. L’oscurità ha definito la vita di Betty. La celebrità definisce la sua morte. La sua breve esistenza e la sua visuale limitata si espandono ed eclissano gli eventi pubblici. La sua fine agghiacciante ci dice che non c’è tregua dall’orrore umano. Impone agli artisti di fondere verità e menzogna.
James Ellroy, dalla post fazione dell’edizione 2006 di “Dalia nera”

Los Angeles, la città degli angeli, la città oggetto della più lunga e pervasiva campagna pubblicitaria della storia. La terra del tramonto è entrata prepotentemente nei sogni dell’immaginario collettivo. Il sole, l’oceano, le spiagge sterminate e l’impressione che la vita nella metropoli californiana abbia qualcosa in più rispetto alle altre anonime vite lontane dall’insegna “Hollywood”. Los Angeles è stata costruita, come gran parte delle città statunitensi, secondo un rigido impianto a griglia di Street ed Avenue che si incrociano tra loro.
Un foglio a quadretti su cui James Ellroy ha dipinto la sua Dalia Nera. L’autore ha prepotentemente rotto gli schemi che solo nell’apparenza rendono razionalista l’emergente città americana. Un viaggio narrativo che parte dall’asfalto delle strade e arriva al sangue della gente che le percorre. Nel 1947, anno in cui è ambientata gran parte della storia scritta da James Ellroy, la città sta affrontando un periodo particolare. La società vive il difficile passaggio da economia di guerra ad economia di pace. Periodo di grandi mutamenti per Los Angeles. Il boom economico avrebbe cambiato radicalmente la fisionomia della città.
Crenshaw Boulevard, la strada principale del distretto, era molto ampia e si spingeva a nord verso Wilshire e a sud in direzione di Baldwin hills. La zona era in pieno boom postbellico. In tutti gli isolati da Jefferson e Leimert si notavano edifici in demolizione, anche grandi, con le facciate sostituite da enormi cartelloni pubblicitari che annunciavano la costruzione di supermercati, centri commerciali, parchi di divertimento e cinematografi. Le date di completamento spaziavano dal Natale ’47 ai primi del ’49. Negli anni Cinquanta, questa parte di Los Angeles sarebbe divenuta irriconoscibile. Svoltando verso est superammo una dopo l’altra una quantità di aree edificabili dove le case sarebbero spuntate come funghi. Ci addentrammo poi in una serie di casette di legno a un piano, tutte uguali. Si distinguevano solo per il colore e la condizione dei giardinetti. Verso sud si facevano sempre più malconce.
Il dopoguerra di Los Angeles è inoltre descritto da Ellroy come un periodo in cui più forte di prima covano le tensioni sociali ed etniche. Bianchi e neri che hanno combattuto sotto la stessa bandiera nella parte opposta del pianeta non riescono a convivere pacificamente nei quartieri della stessa città. Sembra impossibile diminuire l’acredine che serpeggia nella popolazione dove la disperazione spinge a vedere nell’altro, nel diverso – negri, ebrei e mex – un elemento di disturbo. Lo spazio della città si divide in ghetti, dove esistono spazi buoni e spazi cattivi. Giusti e sbagliati. Sicuri e pericolosi. Spazi contraddittori che nessuno in una città può conoscere meglio di chi vi lavora per la sicurezza. Un poliziotto. Il protagonista Dwight Bleichert.
Il distretto di Newton Street, nel sudest di Los Angeles, era per il novantacinque per cento un ghetto abitato da neri turbolenti. A ogni angolo di strada bande di ubriachi e spacciatori; in ogni isolato negozi di alcolici e bische; chiamate d’emergenza per la stazione di polizia ventiquattrore su ventiquattro. I bianchi di pattuglia a piedi portavano manganelli con l’anima di metallo; quelli della squadra Investigativa caricavano la calibro 45 a pallottole dum-dum. Gli alcolizzati locali bevevano “Green Lizard”, cioè acqua di colonia mescolata con porto bianco Old Monterey, la tariffa di una puttana era un dollaro, un dollaro e un quarto se si andava “da lei”, nel cimitero di auto fra la Cinquantesima e la Centrale. I ragazzi di strada erano pelle e ossa ma gonfi, i cani randagi avevano la rogna e ringhiavano senza tregua, i negozianti tenevano la pistola sotto il registratore di cassa. La stazione di Newton Street era zona di guerra.
L’immagine dell’inferno cittadino. Un luogo distante anni luce dalle tanto pubblicizzate colline di Los Angeles. E mentre i poliziotti cercano di tenere a bada le “zone di guerra” della città, in altre parti si cominciano ad intravedere i cambiamenti. I nuovi spazi urbani destinati a cambiare le abitudini della popolazione.
La nuova zona era una noia. Residenze di bianchi e di neri mescolate, piccole aziende e casette pulite. I reati più gravi erano la guida in stato di ubriachezza e certe storie di ragazzi che facevano l’autostop e spillavano qualche soldo per procurarsi un po’ di droga dai negri […] Sulla Hoover e la Vermont crescevano come funghi i ristoranti drive-in, l’ultima novità. Si poteva mangiare in automobile e ascoltare la musica dagli altoparlanti. Passai lunghe ore parcheggiato in luoghi del genere, con la radio che suonava del be-bop.
La Los Angeles di Ellroy offre anche luoghi caldi e confortanti ma molto spesso lo sono solo all’apparenza e non accessibili a tutti. L’unica alternativa sembra essere il sogno che si materializza sotto le insegne luccicanti di Hollywood. La collina con la grande scritta è un richiamo per migliaia di giovani americani che arrivano da ogni parte degli states alla ricerca del successo, o di una briciola di esso. Questo è quello che cercava Betty Short, dall’Est all’Ovest, dalla provincia ad uno squallido appartamento nei sobborghi di Los Angeles.
«Mi spiegò che era un’aspirante attrice e aveva bisogno di prendere in affitto una stanza poco costosa in attesa di sfondare. Le risposi che quella storia l’avevo già sentita altre volte e le dissi che in ogni caso avrebbe dovuto dissimulare l’accento di Boston».
Hollywood. Un luogo deserto e senza storia costruito appositamente per creare sogni. Per lo show business. Nel 1949 appare per la prima volta l’insegna “Hollywood” (precedentemente “Hollywoodland”). L’anno che ha inaugurato la vera Hollywood, quella che oggi conosciamo attraverso i mass media. Via le vecchie baracche e largo ai nuovi edifici progettati appositamente per il cinema. Per le nuove illusioni.
Tenevo la radio accesa per non cascare nel sonno. I notiziari insistevano sul “grande evento” della ristrutturazione dell’enorme insegna di Hollywoodland. Pareva che l’abbattimento delle quattro lettere L-A-N-D fosse l’avvenimento più importante dopo la nascita di Gesù. Mack Sennett e la sua insegna erano sulla bocca di tutti e in un cinema di Hollywood erano programmati i suoi vecchi film con i Keystone Kops.
L’insegna era ormai ridotta a Hollywood e la banda del liceo suonava There’s No Business Like Show Business.
Dietro i riflettori di Hollywood c’è una grande zona d’ombra. Il lato oscuro che rimane nascosto. Prostituzione per ottenere ruoli nei film, prostituzione per continuare a pagare l’affitto di casa. Droga, false promesse e fumi che inebriano e saturano allo stesso tempo.
Majorie mi sorrise e in cuor mio le augurai di prendere un biglietto di sola andata che la portasse via per sempre dalla città del cinema.
Nel romanzo “Dalia Nera” sono i dialoghi e gli interrogatori del detective Dwight Bleichert a smascherare il mondo illusorio di Hollywood. Anche l’assassinio di Elizaberth Short e le conseguenti indagini diventano una messa in scena degna di un grande spettacolo. Una spettacolarizzazione nella narrazione di Ellroy ma anche nella realtà dove giornali di ogni tipo hanno completamente sviscerato la vita di una ragazza morta troppo giovane.
C’era il corpo nudo e mutilato di una giovane donna, tagliato in due all’altezza dei fianchi.
Dal fondo della strada cresceva il baccano insieme al numero dei giornalisti.
Una bella ragazza bianca è stata fatta fuori e il Dipartimento si butterà a capofitto nella caccia dell’assassino per mostrare agli elettori che la legge appena approvata ha dato vigore alla polizia.
Passando fra la Trentanovesima e la Norton vidi una quantità di curiosi attorno all’area abbandonata. Carretti di gelati e venditori di hot dog fornivano generi di conforto. Una vecchietta vendeva foto della vittima davanti a un bar.

E’ dunque solo dopo la morte che la Dalia Nera trova popolarità. L’oscurità ha definito la vita di Betty. La celebrità definisce la sua morte. La celebrità diventa contagiosa. Questa Los Angeles non ha riservato niente per una giovane ragazza in difficoltà ma fa di tutto per beatificarla solo dopo il suo brutale omicidio.
Le loro storie si intrecciavano con le vicende di una Dalia Nera immaginata come un’ammaliante sirena destinata al firmamento di Hollywood. A sentire i loro discorsi si sarebbe detto che erano pronti a scambiare tutta la loro esistenza con una morte da prima pagina.
James Ellroy racconta attraverso riferimenti dettagliati questa Los Angeles. La L.A. violenta che lui ha conosciuto dormendo nei cartoni, nei letti scomodi dei carceri, nei quartieri malfamati e rubando nelle librerie. Ellroy ci offre, attraverso il caso Dalia Nera (caso che nella realtà è stato al centro di un dibattito lungo oltre mezzo secolo) una visione ruvida e disincanta di un città dove scorrono fiumi di droga, dove esistono gli intoccabili, dove la speculazione edilizia e l’odio razziale non sono virus ma flusso ematico della città. Elementi caratterizzanti del suo stesso essere. La Los Angeles di James Ellroy, di un autore inestricabilmente legato a due donne massacrate a undici anni di distanza l’una dall’altra. Donne che formano il mito centrale della sua vita: la madre, Geneva Hilliker e la Dalia Nera, Elizaberth Short.
Quello di Ellroy è un noir affilato e brutale che non si fa scrupolo di rimuovere quella maschera di illusione che nasconde il marcio nascosto sotto agli aranceti della città degli angeli. Los Angeles è l’unica vera protagonista pronta ad ingoiare le proprie creature che troppo spesso fluttuano tra disperazione, paura e orrore. La città dipinta da Ellroy è fatta ad angoli. Tagliente e spietata come le lame che tagliano il corpo di Betty. Un logoro borgo dove resta una scintilla di umanità e vive la speranza che agisce attraverso le azioni di poliziotti, eroi giornalieri che la storia non ricorda. Gli unici alla ricerca della Verità.
“Trentanovesima e Norton” è il nome del capitolo che annuncia il ritrovamento del cadavere di Elizabert Short, solo uno degli sterminati angoli di L.A. ma un punto in cui l’autore accoglie i lettori e si appresta a condurli in un percorso che ha come obiettivo la verità, indifferentemente dalle sfumature del caso.
Addio Betty, Betsy, Liz. Eravamo tutti e due dei balordi, le nostre strade avrebbero dovuto incontrarsi prima di quell’incrocio fra la Trentanovesima e la Norton. Forse ci saremmo intesi. Forse insieme ce l’avremmo fatta.
Nel romanzo di James Ellroy il carattere irrazionale si fonde a quello razionale, l’elemento fantastico si scioglie in quello reale, quello che ne esce è Los Angeles.

Dalia Nera Book Cover Dalia Nera
Oscar Contemporanea
James Ellroy
Noir
Mondadori
2011
350