Nicola Vacca è nato a Gioia del Colle, nel 1963, laureato in giurisprudenza. È scrittore, opinionista e critico letterario. È redattore di Satisfction e collabora con Senzaudio e Liberi di scrivere. Svolge, inoltre, un’intensa attività di operatore culturale, organizzando presentazioni ed eventi legati al mondo della poesia contemporanea. Ha pubblicato: Nel bene e nel male (Schena,1994), Frutto della passione (Manni 2000), La grazia di un pensiero (prefazione di Paolo Ruffilli, Pellicani, 2002), Serena musica segreta (Manni, 2003), Civiltà delle anime (Book editore, 2004), Incursioni nell’apparenza (prefazione di Sergio Zavoli Manni 2006), Ti ho dato tutte le stagioni (prefazione di Antonio Debenedetti, Manni 2007) Frecce e pugnali (prefazione di Giordano Bruno Guerri, Edizioni Il Foglio 2008) Esperienza degli affanni (Edizioni il Foglio 2009), con Carlo Gambescia il pamphlet A destra per caso (Edizioni Il Foglio 2010), Serena felicità nell’istante (prefazione di Paolo Ruffilli, Edizioni Il Foglio 2010), Almeno un grammo di salvezza (Edizioni Il Foglio, 2011), Mattanza dell’incanto ( prefazione di Gian Ruggero Manzoni Marco Saya edizioni 2013), Sguardi dal Novecento (Galaad edizioni 2014) Luce nera (Marco Saya edizioni 2015, Premio Camaiore 2016), Vite colme di versi (Galaad edizioni 2016), Commedia Ubriaca (Marco Saya 2017), Lettere a Cioran (Galaad edizioni 2017)

Gli opinionisti alle vongole

Di Nicola Vacca

«Non avere neanche un pensiero ed essere in grado di esprimerlo: ecco cosa seve per diventare giornalisti»; «I giornalisti scrivono perché non hanno nulla da dire e hanno qualcosa da dire perché scrivono». Questo scriveva molto tempo fa quel grande genio di Karl Kraus, che profeticamente aveva già descritto e individuato la categoria degli opinionisti alle vongole, oggi una realtà nel mondo del giornalismo.

Vongole a colazione, vongole a pranzo, vongole a cena per i sedicenti opinionisti sempre in equilibrio, sempre concavi e convessi. L’importante è essere cerchiobottisti e accontentare tutti.

Gli opinionisti alle vongole hanno sempre un’opinione per tutti: per i guelfi per i ghibellini, per i rossi e per i neri.

Ovviamente fanno opinione soprattutto per se stessi. Quello che conta è non esporsi mai ma essere camaleonti nel grande mare del qualunquismo.

Il loro motto è né aderire né sabotare. Ma galleggiare sempre.

Il giornalismo oggi è davvero inguardabile e per riflesso lo sono anche i giornali sui quali spadroneggiano opinionisti e editorialisti alle vongole che all’analisi scelgono il sensazionalismo per mettere al centro dei loro scritti se stessi nel nome della visibilità.

«Dove non è arrivata la sifilide, arriva la stampa a far danni. In futuro non sarà più impossibile identificare con certezza la causa dei rammollimenti cerebrali» così scrive ancora il sulfureo Kraus e questo suo aforisma sembra dedicato ai contemporanei opinionisti alle vongole, che ormai sono dappertutto: sul web, sui giornali, in televisioni. In ogni dove alzano la voce, soprattutto nei talk show, dove chi urla di più vince, senza mai avere un’opinione.

Quando si esprime il proprio pensiero bisogna esporlo chiaramente, avere il coraggio delle proprie idee.

Ma l’opinionista alle vongole non ha un pensiero e se ce l’ha non ha nessuna intenzione di esprimerlo.

L’opinionista alle vongole è un grande attore che va sempre in scena, non vive pensando, esiste recitando, fa finta di avere un’opinione e la esprime assecondando gli umori e la pancia del suo pubblico, quella opinione pubblica che pende dalle sue mistificazioni e lo cita a profusione nei chiacchiericci al bar dello sport. Parafrasando Ennio Flaiano, possiamo dire che l’opinionista è un critico rovinato dalle cattive compagnie teatrali.

«C’è innegabilmente un elemento di felicità in ogni voltafaccia; vi si attinge perfino un supplemento di vigore: rinnegare ringiovanisce» con una ironia crudele Cioran nelle pagine finali di La caduta nel tempo (come sa fare soltanto lui) mette la penna nella piaga.

Davanti a questo tempo amorale gli opinionisti alle vongole ringiovaniscono ogni volta che rinnegano i loro pensieri.

Indossano talmente bene la maschera al loro finto pensiero e sono consapevoli di scrivere quello che non pensano.

Sulla pagina o davanti a una telecamera mostrano il loro retropensiero, quello che realmente pensano lo nascondono con l’affabulazione perché non hanno mai il coraggio di avere un’opinione.

L’immagine di copertina è Natura morta con teschio, di Philippe de Champaigne, 1671