Classe 1989, vive a Solofra (Av). Ha studiato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Salerno. Ama la compagnia di un buon libro, viaggiare per imparare, vagabondare per mostre e musei. Sostiene il Teatro di qualità, quello che pone degli interrogativi e contribuisce a formare la coscienza individuale e sociale, riuscendo ad emozionare e stupire allo stesso tempo.

Per un’estetica della decadenza: la fotografia di Nicola Bertellotti

Il tempo è crudele. Il tempo corrode, lascia segni profondi del suo trascorrere insegnando ad apprezzare il valore dell’autentico e della veridicità che esso racconta, restituendo il senso della storia e della memoria. Il non autentico non può supplire la verità del passato. Le moderne tecnologie applicate ai campi della preservazione ambientale, paesaggistica, dei beni culturali devono intervenire per conservare e non per stravolgere. È intorno a Le sette lampade dell’architettura dello scrittore, pittore, poeta e critico d’arte britannico John Ruskin (1819-1900) che può innervarsi il dibattito contemporaneo attorno alla conservazione del costruito così da poter continuare a tramandare il suo trascorso; infatti scrisse: Il restauro è la più totale distruzione che un edificio possa subire, una distruzione alla fine della quale non rimane neppure un resto autentico da raccogliere, una distruzione accompagnata dalla falsa descrizione della cosa che abbiamo distrutto. Bisogna evitare che l’anima pulsante del nostro patrimonio culturale, ambientale e paesaggistico, venga compromessa da interventi restaurativi selvaggi e da una società tendente alla disumanizzazione. Piuttosto che un salvataggio tardivo viene prescritto un intervento preventivo: Presta ai monumenti l’attenzione che meritano e non avrai bisogno di restaurarli … Riserva a un vecchio edificio una cura premurosa; preservalo nel miglior modo possibile, a ogni costo, rispetto a qualsiasi influsso della decadenza.
Sul sentiero tracciato da Ruskin si dirige il lavoro fotografico di Nicola Bertellotti (Pietrasanta 1976), un lavoro che nasce dalla sua passione per i viaggi e che finisce per far vibrare e consumare la sua esistenza. Determinante è la lettura di La polvere del mondo di Nicolas Bouvier: l’usura del mondo è usura di sé, voler scoprire fin dove possa giungere perché arrivare fino al termine della strada e giungere fino al termine di sé è tutto. Ritornare a sé, denudato, restituito al senso delle proporzioni insito nella condizione umana che i sedentari perdono troppo spesso. Bouvier parte per il bisogno di non intorpidirsi, per l’impazienza di uscire dalla sonnolenza a cui conduce la comodità. Partire significa stare allerta, iniziare un rapporto costante e aperto con il giorno e la notte, gli umori del cielo, della strada.
Bertellotti osserva la nuda realtà di un luogo e ne mette in risalto la caducità, le rughe che il tempo e la storia gli hanno impresso. La sua ricerca si proietta verso l’estetica della decadenza, senza richiami sociali né di denuncia, sviluppando una poetica che esalta il fascino lirico dell’abbandono, una Fenomenologia della fine (dal titolo della prima mostra personale dedicata al Bertellotti nel 2013, nonché del primo libro che compendia otto anni di fotografia, pubblicato da Petrartedizioni) di luoghi talmente dimenticati da essere divenuti sconosciuti e che vengono restituiti alla luce, immortalati e tramandati ai posteri attraverso l’obiettivo fotografico; luoghi impregnati dell’anima di chi li ha vissuti nello splendore quotidiano e che lasciano immaginare la vita prima dell’abbandono. Sono luoghi in declino, silenziosi, dominati da un tempo eterno e sereno … luoghi la cui purezza non è scalfita da vandalismi o graffiti. Non crea un set, una scena, quello che è mostrato è esattamente ciò che Bertellotti vede. La fotografia non ferma il tempo, racconta l’abbandono in quanto trasfigurazione di un passato ricco ancora tangibile, rappresenta la verità scaturente da un rapporto simbiotico, rispettoso delle rovine, simbolo di un tempo perduto che si vorrebbe ritrovare. Il ricordo e la memoria di ciò che non è più non consola, ma costituisce un passaggio necessario per intraprendere un nuovo racconto. Ogni opera porta il titolo di una suggestione, un evento, un ricordo personale dell’artista che rivive nel momento dello scatto.
Il percorso artistico di Bertellotti è segnato negli ultimi anni da importanti traguardi: nel 2014 espone Damnatio Memoriae al Festival Fotografico Europeo di Busto Arsizio e nel 2015 Il lungo addio a Palermo, partecipando anche a SetUp Contemporary Art Fair e Art Riga Fair. Nel 2016 realizza con il Comune di Napoli Hic sunt Dracones, un progetto su luoghi inaspettati a Castel dell’Ovo e partecipa con Codice MIA al MIA Photo Fair di Milano. Nel 2017 viene inaugurata la mostra personale Heimat alla Galleria Panzetta di Pietrasanta e Aftermath all’iSculpture Gallery di San Gimignano, mentre il suo lavoro Blue Eye viene inserito nella collezione permanente del Museo d’Arte Contemporanea LIMEN di Vibo Valentia; è finalista al premio Arteam Cup. Nel settembre 2018 partecipa alla quinta edizione di Semplicemente Fotografare Live a Novafeltria (Rn), inaugurando la nuova mostra personale Mnemosine.

Foto di copertina di Nicola Bertellotti

Per un'estetica della decadenza: la fotografia di Nicola Bertellotti Book Cover Per un'estetica della decadenza: la fotografia di Nicola Bertellotti
Alessandra Durighiello
2018