Sono una sconosciuta che dipinge e racconta. Laureata alla Accademia di Belle Arti a Bologna con una tesi su Klimt e scelto restauro. Nata tra Bologna e Ferrara dove vivo, quattro mostre personali con dipinti di animali i soggetti preferiti, cinque restauri importanti, arrotondo lavorando di sera in un pub. Disegno le facce dei clienti e scrivo in racconti le loro vite, racconti pubblicati in VersoDove, rivista letteraria bolognese. Ferraraitalia quotidiano online

Storie di pub dentro la filosofia di un cocktail

Di Stefania Bergamini

Jacek

Jacek è un polacco di Varsavia che dorme spesso sui gradini bianchi in S. Petronio a Bologna, oppure se fortunato, ha una camera nel dormitorio in S.Donato, che divide con Julian, alcolizzato. Jacek accetta lavoretti, se hai una faccenda pignola chiama Jacek lui è in grado di mettere a posto qualsiasi cosa, conosce il legno e il ferro, il marmo, la ceramica, non ha cellulare, viaggia camminando con scarpe grosse con le quali misura il mondo, giacche con cappuccio e un ombrello blu che qualcuno gli ha regalato un giorno che diluviava. Ha uno zaino con la roba estiva, quando arriva l’inverno la restituisce al Baraccano per quella invernale perché dice, mica posso girare con due zaini. Ex alcolizzato ogni mattina passa tre ore in ospedale Maggiore e chiacchiera con dottori e infermieri, fa scorta di Alcover (serve a assopire la voglia di alcool), pranza e fa pennichella sui lettini del pronto, poi ritorna in piazza Maggiore, dice, tanto posso dormire lì, “mi si è pure il cinema all’aperto” e ride. Jacek vive la vita che vuole, ha bevuto tanto, è stato un violento rissoso, che poi racconta episodi di lui bimbo con i cugini e già il nonno faceva loro assaggiare il vino o la vodka, una sorellina che proteggeva, chissà dove è finita mi dice e guarda ho ancora tre foto. Ha girato il mondo con le sue gambe forti, una purezza che nemmeno un diamante tagliato perfetto, scavalcato carceri e comunità, parla e ti guarda fissamente, faccia slavata piena di spigoli, capelli corti color paglia e quell’accento forte di zinco e rame che ti ricorda un papa guerriero. Mi dice, sai hanno ricoverato Julian il mio compagno di dormitorio, starà via un mese, e sai lui voleva vedere in tv solo cartoni animati e io dovevo uscire, non sopporto lui che beve, vomita è sporco, non sopporto la sporcizia e la debolezza, e ora questa è la mia vacanza, un mese!!!!, entro in camera, tutte lenzuola pulite, accendo ventilatore, mi tolgo i vestiti mi spaparazzo a letto con panini e bibite e guardo fino a notte i film che voglio, ho visto due volte Arma letale!! e faccio il caffè Lavazza, mica quello delle macchinette che è schifoso, mmmmmmhhhhhh, tu devi sentire il profumo!!! e chiude gli occhi. Tutto questo detto con un tale godimento estasiato, come una esatta, piccola, immensa libertà, che nemmeno i vacanzieri alle Maldive o gli ospiti di hotel a dieci stelle o i compratori di gioielli stratosferici, una felicità così precisa e invadente che pure io gli ho invidiato, un godimento gigante, totale e bambino. Quando entra in pub viene al banco, appoggia lo zaino, mi chiede una aranciata perché no, niente vodka vero? mi sorride e col suo accento tagliente come vetro rotto mi racconta meraviglie. Mi insegni a vivere. Ti voglio bene Jacek

Le scarpe

Il signor “una guinnes e un chivas baby” ha sempre scarpe bellissime e tutti gliele guardano, stasera ne aveva un paio azzurre e blu stringate, domenica bianche e viola di pelle morbidissima, ne ha pure un paio oro e argento che nemmeno Luigi 16 e sembra una cazzata ma sono personalissime, raffinate. Lui entra, si siede e io gli guardo subito le scarpe, ma dove le trova? gli ho chiesto e lui mi racconta una storia bella che nel cuore di Bologna suoni a una porta e ti apre il Cavalier Cesare Boschi scarpe dal 1929 che prima lui aveva un laboratorio di foto e le ritoccava a matita, a tavolino sotto lampade rotonde e antiche, anche le foto dei morti, cioè, su richiesta cancellava giacche e disegnava camicia e cravatta e sfondi con alberi e cappelli che non c’erano, aveva, lo studio del Cavaliere, un grande mobile di legno con mille cassettini pieni di foto da ritoccare e tre dipendenti tutti a ridisegnare accessori ai morti, ad alcuni cambiavano pure espressione e ora il Cavaliere inventa scarpe favolose, uniche. Il signor “una guinnes e un chivas baby” mi dice appena entri in negozio ti offre un bicchierino di rosolio ti ci porto e io andrei solo per vederlo il Cavaliere che ritoccava a matita chi più non esisteva e chissà che mano leggera e il rosolio che è gentilezza antica.

Desideri

Il signor Negroni doppio gin entra alle undici e se ne va all’una. Parla con nessuno, scrive fitto sui tovagliolini di carta, spegne il cellulare, la sigaretta sul tavolo, vicino al bicchiere, così, forse per avere sotto agli occhi un desiderio realizzabile, infatti una volta mi ha detto: “sto scrivendo qui tutti i desideri realizzati e quelli non.” Una specie di lista, certo ossessione, un modo per tenere sotto controllo la sua vita, illusoria sicurezza. In bella fila i desideri realizzati e numerati e a fianco quelli che dovrà realizzare, come se ci fosse un modo sicuro per raggiungere una felicità. E poi? quando la lista sarà completa? Gliel’ho chiesto, mi ha risposto che mai quella lista sarà completata. Lui non ha una identità precisa. Per me è il signor Negroni doppio gin, il suo cocktail preferito.

Valentina

Che poi ti ho sempre vista qui da quando ci lavoro, con i tuoi amici, i drink, le risate, le tue magliette bianche, i jeans larghi e i tacchi smisurati col tuo metro e cinquanta i capelli corti e gli occhi trasparenti, sembri una bambina. Bimba Valentina, volevi fare il medico e avanti indietro all’università fermarti poi a bere il tuo daiquiri e raccontarmi di esami e progetti. E io ti immaginavo col camice bianco lunghissimo in mezzo a medici alti due metri e tu a guardarli da sotto in su, la faccetta arguta, sapiente. Una sera ti sei arrampicata sullo sgabello al bar, hai appoggiato le braccia al banco, ho preparato il tuo daiquiri, sai mi hanno trovato la sclerosi multipla. Non ho saputo che dire, solo guardarti con una faccia da deficiente, ma tu hai continuato sorridente, e sai, ci sono le cure, tante, troverò il modo, e io sì, vedrai ci sarà il modo sì ci sarà il modo il modo sì il modo. Non ti ho vista quasi più, so che hai interrotto gli studi e deciso di fare un bambino e hai fatto bene perché il tuo bambino è bellissimo. Sei arrivata ieri sera con lui, tuo marito e il tuo sorriso, ciao! quanto tempo! c’è un posto? Certo! sedetevi dove volete. Poi ti ho vista camminare e mi si è sfracellato il cuore. Stanotte corro per te bimba Valentina bimba coraggiosa bimba illuminata correrò ancora più forte perché tu possa superare tutto questo. Anche se è una frase del cazzo. Lo so. Lo sai.

L’immagine di copertina è I nottambuli, di Edward Hopper