Vladimir D’Amora è nato a Napoli nel 1974. In poesia ha pubblicato Pornogrammia , Edizioni Galleria Mazzoli, 2015 (finalista Premio Fiumicino 2015), Neapolitana Membra , Arcipelago Itaca, 2016 (Premio Itaca 2016) Anima giocattolo (finalista Premio Trivio 2016)

LA SERA DI QUEL TEMPO

Di Vladimir D’Amora. Pezzo scelto e selezionato dal saggista, traduttore e poeta Piero Dal Bon

Discendere le curve, nelle sorti domenicali, i festanti e inacidite e appena quando è sera. Le vite. Un urlo inoffensivo; tra quelle luci di riserva della chiesa della piazza con le piante sempre vive da una fede precaria e servizievole potate, oramai poco si appartano. E i passi. Certi respiri. Degli uomini faticano a sfilare. Ed è come buono, il dimonio scordatosi di aggrapparsi, perduta la iattanza, perso nelle sue stanze. Tutto è tornato a valle, i sogni dei più lesti, le facce che straripano e ancora i suoi sorrisi come spesi proprio nel sorriso. Rigido. E era una Giulietta, verde di pistacchio, con i suoi profumi magici. E indorata con la festa. E portava alla casa dei gelati, collo specchio operaio con i gusti strabordanti e con le panne fredde e con molta lateralità, quasi tutti prima delle vetrine i bimbi esitavano finalmente smanati perché la parola si chiudeva nell’ascolto subito e senza una sbavatura acuta. Si incollavano agli occhi. In questi paradisi della corrispondenza come se congelata e indecostruibile, ci si destina più facilmente al magma caldo e ignaro di misure, al caso anche bello e astruso e irripetibile e tutte le volte che prende i corpi. Che finisce. E il suo passò avanti lieve, con i piedi di leprotto che, spinto nella notte e ancora da venire, sa l’ingiusto e il vergognoso. Sa la trappola, la girandola. E si smontò intera, questa danza fredda e rispettosa, questo calvario dell’incuranza. Senza cercare scuse, senza avanzata ritrosia. Voleva la sua coppetta piena e tracotante, pura e monocolore nei bordi spessi e per un fuori e l’ebbe. E uscì. Ma ora andiamo a vedere anche noi, è musica di ieri, la musica vista dalla morte calda e improvvisa, indeterminata ai più, a chi rispetta i turni, file, la grigia carnalità del servizio offerto e ripagato. Fu preso dalla gola, dalla Giulietta, non ebbe più voce, questa gola recisagli di netto, senza vocati schizzi e tanto era denso, deciso, definito in tutto il suo spargersi: il suo sangue di un suo colore che nessuna vaschetta avrebbe contenuto. E gestibile e impreparato.