Simone Chiani è nato a Viterbo. Ha studiato filologia moderna ed è giornalista. Autore di due libri: Impronte, con l'editore Ensemble e Evasione con l'editore Sette Città. Sempre con Sette Città ha pubblicato il saggio Tuscia in Pasolini. Innamorato della Tuscia, la sua terra

La componente naturale in “I dolori del giovane Werther” di Goethe

Di Simone Chiani

Alla base del romanticismo europeo, e non dunque solo tedesco, è quest’opera: I dolori del giovane Werther, di Goethe.

Tale testo, che narra, appunto, delle avventure, in un tempo circoscritto, del ragazzo, affronta un’immensa varietà di temi d’importanza collettiva tra i quali la Natura: su di esso ci piacerà soffermarci, poiché è una componente imprescindibile del libro ma allo stesso tempo, perlomeno nella nostra lingua, mai più di tanto considerata.

La storia, raccontata per lettere (è un romanzo epistolare – uno dei primi della storia a riscuotere tanto successo – dal quale prese certamente spunto Ugo Foscolo con le sue Lettere di Jacopo Ortis) all’amico Guglielmo, narra di un giovane, Werther appunto, che si innamora in modo quasi folle di una donna la quale, tuttavia, è promessa in sposa a un altro. Il luogo in cui tutto si svolge è un villaggio di campagna (Wahlheim), che con le sue componenti naturali si trasfigura in un mondo altro, quasi idilliaco, talvolta rappresentazione stessa dell’interiorità del protagonista. Potrebbe spesso decidere di andare via e volare verso le città in cerca di condizioni migliori, ma l’amore e la bellezza concatenata a esso del luogo, lo trattengono. La vicenda ha tuttavia un finale drammatico: il ragazzo deciderà di togliersi la vita con una pistola perché l’amore di Carlotta, e anzi una relazione vera e propria, sarebbe stata impossibile date le condizioni imposte.

Carlotta è una fanciulla tenera e incantevole, figlia del borgomastro del villaggio di campagna dov’egli s’è ritirato, e questo non può essere ritenuto un caso: la vicinanza protrattasi per gran parte del romanzo (soprattutto durante la fase del primo innamoramento) sembra condita da una fusione quasi divina dell’amata e la natura che fa da cornice alla loro storia. Anche nei momenti di solitudine, in cui essa non è presente, Werther sembra ricondurre il “panismo” sentito, la “comunione” con la natura vissuta, ai pensieri che grazie a lei divengono positivi.

Il ragazzo è un’esplosione di sentimento e passione, un vero e proprio eroe romantico che trova l’antieroe in sé stesso più che nel promesso sposo della sua amata. L’attaccamento alla Natura idillica, sempre contemplata, diviene talvolta esplicito nello scritto:

…La più innocente passeggiata costa la vita a mille poveri vermucci, e un passo del tuo piede basta a demolire le faticose costruzioni delle formiche e a schiacciare tutto un microcosmo in una misera tomba […] O Cielo, o Terra, o palpitanti forze intorno a me! Ormai non vedo nulla, tranne un mostro che eternamente ingoia, eternamente rumina

Ieri sera sono dovuto uscire. Era appunto cominciato il disgelo, e avevo sentito dire che il fiume era straripato, che tutti i ruscelli erano gonfi e che da Wahlheim la mia amata valle era inondata. Vi corsi tra le undici e mezzanotte. Era uno spaventoso spettacolo vedere dalla roccia le onde agitate che turbinavano al chiarore della luna sui campi, i prati e le siepi, e veder tutta la valle trasformata in un mare tempestoso al soffio del vento. Quando la luna di nuovo apparve posandosi sulle nuvole oscure e dinanzi a me e i flutti con un terribile, magnifico riflesso si svolsero e risonarono, ero preso da un fremito e poi da un desiderio: con le braccia aperte mi sporgevo sul baratro, e aspiravo all’abisso fondo e mi smarrivo nella gioia di sommergere in quella tempesta i miei tormenti, il mio dolore, di rotolare laggiù rumoreggiando come le onde. Eppure non potevo staccare il piede dal suolo e metter fine a tutti i tormenti! Compresi che la mia ora non era ancora venuta. Ah Guglielmo, come avrei dato volentieri la vita per attraversare le nubi e sollevare i flutti insieme con quel vento tempestoso! Ah, questa gioia, non sarà forse concessa un giorno al povero prigioniero?

Con quanto dolore abbassai lo sguardo verso un posticino dove mi ero riposato con Carlotta, all’ombra di un salice, durante una calda passeggiata estiva! Il posto era anche sommerso e riconobbi appena il salice, Guglielmo! E pensavo ai suoi prati, alla campagna che circondava la casa di caccia, al nostro pergolato distrutto dal torrente devastatore. E il raggio di sole del passato brillò al mio pensiero, come un sogno di pascoli e prati o di onori e di gloria sorride al prigioniero! Ero lì… e non mi accuso perché‚ ho il coraggio di morire… Io avrei… Ora siedo qui come una vecchia che raccoglie la sua legna fusto a fusto per prolungare e alleviare ancora un istante la sua vita languente e priva di gioie.

Come da qui appare, il rapporto con la Natura, seppur Goethe mantenga attraverso il linguaggio uno stile contenuto e semplice in un registro sublime, non sempre viene travisato in passioni positive: a volte, soprattutto nelle battute finali, lo stesso elemento che al principio era matrice di gioie e illusioni, diviene un anti-elemento di sé stesso, travolgente e, pare, utile a chiarire i sentimenti stessi di rabbia e dolore.

E l’oggetto naturale non è solo tema (e anti-tema) ma anche linguaggio stesso: anche quando non si tratta di valli e prati, il testo viene comunque pervaso da riferimenti alla natura e figure retoriche in merito:

Come mi perseguita quell’immagine! Che io vegli o sogni, essa riempie tutta la mia anima! Qui, se io chiudo gli occhi, qui nella mia fronte dove si concentra l’interiore forza visiva, stanno i suoi occhi neri. Qui! io non posso esprimerti questo. Se chiudo gli occhi essi sono là, come un mare, come un abisso essi stanno davanti a me, dentro di me, dominano i miei pensieri.

Che cos’è mai l’uomo, questo semidìo tanto apprezzato? Non gli mancano le forze proprio quando gli sarebbero più necessarie? E che egli prenda lo slancio nella gioia o si sprofondi nel dolore, non è forse in entrambi i casi arrestato, ricondotto al cupo, freddo sentimento di se stesso, mentre aspirava a perdersi nell’oceano dell’infinito?

Goethe riprende probabilmente il discorso sull’elemento che trattiamo dal filosofo Spinoza, riprendendone il panteismo, concezione filosofica per la quale Dio è l’universo nella sua totalità, pur non essendo nessuna delle cose in quanto tutte le trascende, ed è al tempo stesso in tutte le cose in quanto ragione d’essere di ciascuna; possiamo parlare, in qualche modo, di una “religiosità naturale”. La natura quindi è vivente, animata, considerata come una forza primordiale, conoscibile attraverso mille aspetti, ma è anche il luogo in cui l’anima può esprimersi liberamente.

[…] e dopo un’ora scoprì di aver fatto un disegno ben composto e interessante, senza avervi aggiunto nulla di mio. Ciò ha confermato il mio proposito di attenermi, per l’avvenire, unicamente alla natura. Solo essa è infinitamente ricca, solo essa forma il grande artista.

Ma cos’è, dunque, la Natura per Werther e per Goethe? Semplicemente, tutto e niente: è quell’elemento che pervade ogni cosa e dal quale ogni cosa prende vita (anche il linguaggio stesso), ma allo stesso tempo è causa di illusioni e, in conseguenza ultima, morte.
Per lo scrittore, dipingere la Natura è stato come raccontare la vita stessa, in tutte le sue sfumature, contraddittorie ed esplosive.

L’immagine di copertina è uno scorcio di Wahleilm