Mi chiamo Francesco Simoncini. Sono nato il 4/10/66. Sono un ragioniere diplomato e pentito: infatti poi mi iscrissi a Lettere, a Pisa. Non mi sono mai laureato. Credo di aver sostenuto una quindicina di esami. Ho sempre lavorato, anche durante gli studi: come cameriere, come cuoco, come giardiniere e come manovale. Ho letto due milioni di romanzi. Anche un po' di poesia e storia. Sono quindi un semicolto. Scrivo perché mi diverte farlo.

Racconti brevissimi

Di Francesco Simoncini

Io e questo branco di cani randagi – saranno quattro o cinque – ci guardiamo in silenzio. Cerco di pensare ad altro, ad una mattina di mare nel luglio dell’ottantadue, che l’acqua mi sembrava ghiaccia come un gin tonic. Che invece te, fresca come una pesca nostrale, ti tuffavi e nuotavi rapida come una tinca, o un cavedano. E io lì con le mani aggrappate alle ascelle: non entro, no, nemmeno se mi pagano. Il momento esatto in cui scelsi di tuffarmi – perchè alla fine mi tuffai – coincide con quello nel quale tutti i cani decidono coram populo di attaccarmi alla gola. E il mare si colora di sangue.


L’anziana signora mi chiede come va il lavoro, se ho poi spedito le mie cose alla tal casa editrice, cosa aspetto, dio mio, a trovarmi una compagna. Io le domando notizie del gatto Necche – e tutte le volte ho il terrore che mi risponda che è morto, finalmente, quello strappacazzi. Nel buio del vicolino le nostre parole volano verdi ed esplodono in una nebulosa lattescente che ci protegge dagli sguardi malevoli del vicinato. Si, e poi passa questo cane che mi annusa una gamba e poi alza la sua, di zampe, e mi piscia su una scarpa, figlio di troia.


Quasi mi addormentavo dimenticando la questua e le abluzioni. Quasi tralasciavo, ti rendi conto, le preghiere. roba da matti. adesso ci bevo un montenegro per dimenticare. oppure un amaro del capo, o una china martini, o un’averna -un fernettone. una pasticca per dormire sei giorni di seguito. una fetta di pane magica che la mangi e poi voli per tre quarti d’ora. una. striscia. di. sabbia. felice. Ecco, si. Una striscia di sabbia felice.


Vedo il ragazzo che si allontana spingendo il monopattino. E’ distratto, si allarga sulla strada che a mezzanotte sembra deserta. Fischietta, almeno finché ancora riesco a sentire. Quando sbuca la Maserati – perché era una Maserati targata Nuernberg – e sfiora il manubrio del monopattino e tutto si gira su sé stesso e il bimbo – Fernando, si chiama così – finisce per aria con la leva del freno sinistro conficcata nella gola. Comincio a correre con la speranza che non aver sentito niente possa anche significare che non è successo niente. Non ho sentito alcun rumore, e come mi fido poco del mio udito mi fido ancor meno della mia vista,Il fatto è che per terra si sta allargando un lago di sangue scuro, arterioso. Che Fernando gorgoglia in gola gli ultimi schizzi di vita. E io, come al solito, che corro di qui e di là senza costrutto alcuno, impreco, smadonno, prendo a pedate i bidoni dell’immondizia. Quando arrivano i carabinieri mi trovano a sedere sul muretto con un foglio e una penna. A precisa domanda risponde serissimo stavo cercando di ricordare un numero di targa.

L’immagine di copertina è Amore e dolore di Edvard Munch