Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

Una folla di locuste

Di Geraldine Meyer

Leggere oggi un libro come Il giorno della locusta, di Nathanael West, induce a chiedersi se la sua attualità (è un libro del 1938) sia dovuta in massima parte alla capacità che i grandi scrittori hanno di essere talmente attenti al loro presente da scorgerne tracce di futuro perenne, oppure dalla sostanziale immobilità e immutabiltà della società americana. Incapace di una reale evoluzione e messa in discussione di molti dei suoi miti fondanti. E leggere ora, alla luce di quanto sta accadendo a Kabul, questo Il giorno della locusta, rende questa domanda ancora più urgente. Perché questo libro è un altro, lucidissimo e surreale al contempo, smascheramento dell’ottimismo americano e del suo sogno. Che, in fondo, altro sembra non essere che la mistificazione del più prosaico mantra capitalistico “lavora, consuma, crepa”. Poco importa che a essere consumate sia cose, illusioni o persone.

In questo testo West prende la California quasi a paradigma di tutta l’America, pur consapevole di come vi sia qualcosa di arbitrario in questo. Ma è innegabile che questo stato fosse, all’epoca in cui il libro fu scritto, una sorta di cartina di tornasole, o quantomeno uno spicchio ben rappresentativo, di molte delle bugie e distorsioni ottiche su cui si è sempre retto il sogno americano.

Qui la California è una specie di specchio per le allodole, una sorta di cimitero in cui vanno a morire i pensionati e tutti coloro i quali hanno creduto che bastasse lavorare tutta una vita, risparmiare qualcosa, per garantirsi un pezzo di paradiso in terra. Mare, sole Hollywood, cinema, attori. Tutto un mondo di cartapesta così simile, spaventosamente simile, ai set cinematografici costruiti per poter raccontare una favola. In cui tutto si mescola, epoche, fondali storici, eventi. Forse non a caso West fa fare un giro tra questi fondali finti a uno dei protagonisti del libro che si trova così a passare, senza soluzione di continuità, da una Roma antica, a una strada di Parigi a uno scenario western.

E, forse sempre non a caso, il protagonista principale è proprio un uomo bruttino, senza particolari doti che trova lavoro come disegnatore a Hollywood. Il suo unico talento, oltre a una indiscutibile bontà, è proprio il disegno, uno in particolare, che ritrae una Hollywood in fiamme, incendiata da una folla, magmatica e incontrollabile, pericolosa come tutte le folle per questo motivo. Disegno e realtà? Visione e profezia? Non sappiamo, ma la scena finale, così surreale, esasperata eppure estremamente realistica, riconduce proprio a quel rapporto tra realtà e finzione che da sempre attraversa la società americana.

Tod, questo il nome del protagonista, incontrerà tipi umani che sembrano tanto archetipici da essere amaramente veri. L’ex amministrativo di un hotel arrivato in California proprio per trovare l’eden, che si innamora di una aspirante attrice a caccia di uomini ricchi, nani, clown sulla via del tramonto, madri accecate dall’ambizione di far diventare star i loro figli, costi quel che costi, messicani, cowboy che passano il tempo tra donne e combattimenti di galli, noiosi aperitivi a bordo piscina di qualche ancor più annoiato ricco.

Ecco, è proprio questo che colpisce di questo libro, la sua capacità di mettere in scena una rappresentazione che tale è anche se, chi la vive, non ha modo di comprenderlo. Non ha modo di rendersi conto di come esso stesso sia una marionetta chiamata a recitare un ruolo, una parte, in un meccanismo, in una sceneggiatura già scritta.

Vittorini, che fu colui che fece conoscere in Italia Nathanael, di questo libro: “Uno crede che si tratti di lavorar sodo e di risparmiare. E lavora forte per anni e anni, risparmia sognando il sole […] ma il piccolo benessere materiale che può riuscirgli di avere non basta a cambiare il corso avvilente della sua vita.” Da qui nasce la frustrazione quando non la vera cattiveria. Che trasforma le persone in locuste, una folla di locuste pronta a travolgere ogni cosa.

Uno straordinario libro questo Il giorno della locusta, che andrebbe letto e riletto ora, proprio in questa nostra epoca. Perché la ferocia della critica in esso contenuto non è solo verso l’America e le sue bugie ma anche verso tutto il mondo occidentale.

Il giorno della locusta Book Cover Il giorno della locusta
Nuovi Coralli
Nathanael West nella traduzione di Carlo Fruttero
Letteratura americana
Einaudi
1973 in questa copia
205 p., brossura