Gianrico Gualtieri è nato a Napoli il 10 febbraio 1962. Dopo aver conseguito la maturità artistica (1979), ha frequentato la Facoltà di Architettura e l'Accademia di Belle Arti. A partire dagli anni '80 avvia una ricerca artistica sulle tecniche della pittura antica, formandosi dapprima alla scuola del '600 italiano e in seguito, alle scuole fiamminga e olandese. Esegue numerose copie e lavori personali, con una predilezione per i generi della natura morta e del paesaggio.

Scuola italiana e scuole del Nord : l’emergere del genere « natura morta » tra innovazioni e resistenze nella cultura europea.

Di Gianrico Gualtieri

Per trattare un tema così vasto nello spazio di un articolo ci atterremo alle grandi linee illustrando il nostro discorso con esempi di artisti e di opere.

Va notato innanzitutto che la cultura delle epoche storiche che sono un po’ come delle camere stagne, se ne chiude una per aprirne un’altra, caratterizza lo svolgimento della cultura e dell’arte in Italia ma non è necessariamente una chiave di lettura per gli altri paesi europei. Come notava Manfredo Tafuri nel suo « l’Architettura dell’Umanesimo », quella ripresa dei moduli classici che si suole indicare come « Rinascimento » assume un carattere unitario e programmatico solo in Italia, mentre in altri paesi è possibile riscontrare una persistenza di elementi gotici o della tradizione locale in qualunque epoca, addirittura fino al XIX secolo e dunque alle soglie del neogotico o gotico come recupero formale, stilistico.

E si sa, il Rinascimento fu ritorno della cultura classica non solo in arte, ma anche nelle lettere e nella filosofia ; paradossalmente, come abbiamo accennato altrove, tale operazione « filologica » avvenne attraverso il filtro della cultura e dei valori cristiani e di conseguenza fu, tutto sommato, assai poco rigorosa filologicamente parlando. Il platonismo della cultura del Rinascimento assomiglia più ad un neoplatonismo con relativo dualismo, come è stato fatto notare a proposito degli affreschi di Raffaello nelle Logge Vaticane : una serie di piccole scenette illustrano il Maestro che « partorisce l’idea » e poi gli allievi e i collaboratori che assicurano il « lavoro materiale » della sua realizzazione e messa in opera. In un simile quadro teorico e concettuale è inevitabile che la cultura cristiana e quella « classica ricostruita » convergano in una sostanziale svalutazione sia della materialità dell’immagine, dunque del suo statuto di manufatto, di bene frutto di una produzione, sia della materialità degli oggetti rappresentati e dunque della loro quotidianità, riguardata come un’imperfezione o una degradazione ontologica. Scriverà Guido Reni nel ‘600, a proposito della bellissima figura di un arcangelo da lui dipinta : « invano l’ho cercata in terra e non ho potuto montar tanto in alto (in cielo, ndr) ; così ho riguardato in quella forma che nell’idea mi ero stabilita ».

Raffaello, Logge Vaticane: un assistente di Giovanni da Udine al lavoro

L’antichità classica, non quella ricostruita ma quella reale, era invece molto attenta alla vita quotidiana, come ci è noto dai numerosi reperti pervenutici e anche dalle testimonianze che ci informano dell’esistenza di una pittura di natura morta, come diremmo noi oggi.

In un contesto come quello italiano, la pittura come mestiere soffre di una contraddizione insita nel modo di concepire l’arte e l’attività dell’artista : uscito dalla mera artigianalità e anonimato che lo contraddistinguevano nel medioevo, e alle soglie della formazione di una coscienza storica, l’artista italiano è da un lato funzionale all’illustrazione dei programmi iconografici delle classi dominanti, essenzialmente Chiesa e nobiltà, ma dall’altro stenta ad essere valutato adeguatamente a causa di tutta una serie di pregiudizi che aleggiano nella cultura generale : l’immaginazione e l’operare manualmente, materialmente, sono viste comunque come cose sospette e tendenzialmente poco ortodosse, non appena si esce dal campo molto ristretto della produzione di oggetti utilitari.

La natura morta italiana si forma molto lentamente e lo fa o in zone dalla forte impronta spirituale come la Lombardia, insistendo su una ricerca di verità morale come verità ottica (è quanto permetterà a Caravaggio di ottenere successo a Roma, applicando una logica da natura morta alla rappresentazione dell’evento sacro) ; oppure più avanti nel tempo, in contesti nei quali il fasto della nobiltà richiede opere decorative che attestino la sua condizione di prosperità, ma sempre senza rivalutazione del quotidiano, ciò che fece scrivere a Salvator Rosa che i nobili « quel che aborriscon vivo, aman dipinto ».

Per capire il tentativo dei pittori di « far passare » e diffondere questo genere di dipinti malgrado le resistenze, talvolta molto forti, degli ambienti culturali locali, possiamo fare l’esempio di un pittore « caravaggista » napoletano, Luca Forte (Napoli c. 1605- c. 1660) e di una sua natura morta :

Luca Forte, cesti di frutta e pesce

È noto che Forte costruì il suo robusto naturalismo basandosi sugli esempi romani del Caravaggio ma anche su pittori spagnoli che lavoravano per la committenza napoletana ; in questo dipinto il soggetto inusuale che presenta affiancati frutta e pesce trova la sua giustificazione nel carattere fortemente simbolico della rappresentazione. I frutti, come è stato notato, sono un’offerta, sono i frutti della grazia, hanno poi significati specifici, le mele alludono al peccato originale e sono affiancate all’uva che allude all’eucaristia, mentre i pesci sono sia i cristiani in generale, che non possono vivere senza l’acqua del battesimo, sia il Cristo secondo il noto acrostico « ichthús », « pesce » in greco, le cui lettere formavano le iniziali della frase « Gesù salvatore di tutti gli uomini ».

In altri termini, era molto difficile far accettare un dipinto di natura morta senza dotarlo di una solida giustificazione « simbolica » e spirituale.

La cosiddetta « gerarchia dei generi », che prevedeva una superiorità della pittura religiosa o di storia rispetto a « generi minori » come il paesaggio o la natura morta, è caratteristica dei paesi come l’Italia o la Francia nei quali prevale un atteggiamento « ideale » di considerazione dell’arte, cioè quel neoplatonismo del quale dicevamo più indietro ; Mentre le scuole del Nord fiamminga e olandese sono improntate ad una concezione molto diversa, in una certa misura in continuità col medioevo ; in tale concezione l’arte produce beni e il manufatto artistico è un bene come un altro coi suoi parametri di valutazione qualitativa e quantitativa. Proprio la mancanza di quell’aura di prestigio e di magnificenza che il Rinascimento sembra (sembra appunto) conferire all’attività artistica, permette una valutazione molto più obiettiva del « lavoro arte » e soprattutto più equa e remunerativa per gli artisti, che nei paesi « neoplatonici » se la sono sempre passata piuttosto male, se si eccettuano casi come quello di Leonardo che svolgeva però anche altre ricerche nei campi più svariati.

Ma veniamo alle scuole fiamminga e olandese : sono organizzate in corporazioni sul modello medievale ; anche se la concorrenza è dura l’aspetto associativo è molto presente, anche i fiamminghi in Italia ad esempio si organizzano in specie di confraternite, organizzano riunioni ; gli artisti italiani sono in perenne rivalità tra loro e se vanno all’estero, sotto la protezione di qualche nobile, ci vanno soli e diffidano di tutti, soprattutto dei loro connazionali.

In effetti ci troviamo di fronte, nell’antinomia « sud/nord », a due accezioni diverse della conservazione : immobilismo, privilegi, poteri consolidati, potere della Chiesa e degli ordini ecclesiastici da un lato ; e aspetti positivi del medioevo, interesse scientifico e naturalistico, emergere di nuove prospettive, nuove ricchezze, nuove classi emergenti dall’altro. Un po’ semplificatorio ma nelle grandi linee rispondente a verità. Basta pensare alla controversia del Parmigianino con l’ordine dei frati che gli aveva commissionato gli affreschi di S. Maria della Steccata : i frati che pagavano poco e male e volevano che facesse in fretta, l’artista immerso e anche un po’ perso nella sua ricerca astratta di perfezione formale. La vicenda si concluse tristemente con la fuga del Parmigianino che morì in esilio a Casalmaggiore.

La committenza fiamminga e olandese è più aperta ed apprezza anche i cosiddetti « generi minori » perchè descrivono gli aspetti di una vita quotidiana che, seppure fastosa, si è conquistata con fatica e si vuole giustamente celebrare : ecco fiorire le tavole imbandite che sono anche un monito, ricchezza e prosperità sono destinati a passare, come il pasto è destinato a concludersi.

La grande novità che si profila molto presto nel nord è che la ricchezza non è più qualcosa di statico, non è più legata allo statuto o ai privilegi ma è il risultato di una capacità operativa, di scambi, di commerci, di produzione di beni e di ricchezze : ecco che in questa prospettiva anche l’arte, pur restando regolamentata in maniera formalmente medievale, acquista un senso e un valore nuovi. È uno degli aspetti positivi della « modernità » di questi paesi.

Proprio come si sono create le prime borse, come si è creato il mercato dei tulipani, delle porcellane cinesi, delle lacche, delle conchiglie e curiosità esotiche di ogni genere, così si forma anche il mercato dell’arte. L’artista si sente stimolato a creare perchè sa che potrà proporre le sue opere sul mercato, e con ogni probabilità le venderà se sono di buona qualità. La qualità dell’arte diviene così non più una specie di quintessenza con quest’aura di prestigio del quale bisogna, alla fine, accontentarsi ; ma è qualcosa di concretamente valutabile e anche monetizzabile : l’arte è un mestiere come un altro e non una specie di ricerca mistica dell’assoluto e della perfezione.

Prendiamo il caso di Ambrosius Bosschaert che riassume bene le due scuole in quanto nacque ad Anversa nel 1573, dunque in territorio fiammingo, e morì a La Haye in Olanda, nel 1621. Bosschaert è stato tra i pionieri e primi maestri della pittura di fiori. Fu maestro di Balthasar van der Ast (Middlebourg 1593-94-Delft 1657) che aveva sposato la sorella di Bosschaert. Mentre la produzione di Van der Ast è cospicua, quella di Bosschaert è molto ridotta ; difatti oltre ad essere pittore era anche un mercante d’arte. Era tenuto in grandissima considerazione e addirittura esiste un suo dipinto con un’iscrizione forse più tarda, in francese, che loda la sua « mano angelica » :

Ambrosius Bosschaert il Vecchio, vaso di fiori

Considerevole fu anche l’importanza di Van der Ast, non soltanto per la qualità della sua produzione, ma anche per il fatto che ebbe come allievo Jan Davidsz. de Heem, uno dei maggiori specialisti di fiori e natura morta della seconda metà del secolo.

L’artista se era un bravo professionista poteva costruirsi una fortuna considerevole e vivere come un ricco commerciante, comprare una casa e acquisire dei beni e anche collezionare opere d’arte o altre rarità. Una cosa difficilmente immaginabile in Italia dove addirittura il Domenichino pare che morì avvelenato per essere inviso all’ambiente locale di ascendenza rigorosamente naturalista e anticlassica.

Per finire un ultimo esempio, per mostrare come all’arte si attribuisse una importanza reale che andava addirittura al di là dello statuto e della posizione sociale ; ne è un esempio la figura del gesuita Daniel Seghers (Anversa 1590-1661) , pittore di fiori che fu allievo di Brueghel dei Velluti e che sviluppò, portandola a livelli di eccellenza, la tipologia della ghirlanda di fiori da sola o come cornice di un’immagine sacra in trompe-l’oeil. Come Bosschaert, Seghers era tenuto in grandissima considerazione e gli era concesso di dipingere, anche se non poteva trarre alcun profitto dalla sua arte ; i suoi dipinti ornavano chiese o erano offerti in omaggio ai potenti delle corti d’Europa che mostravano di apprezzarli grandemente ricambiando con omaggi, è il caso di dirlo, principeschi : tavolozze e appoggiamani in oro con iscritte dediche come « À Daniel Seghers, peintre de fleurs, fleur des peintres ». Omaggi che sono ancora conservati nella casa dei Gesuiti di Anversa.

Corona di fiori di Daniel Seghers. Le figure probabilmente di altra mano

Una storia delle resistenze o al contrario, dei terreni favorevoli allo sviluppo della natura morta sarebbe forse un libro interessante da scrivere, che dalla storia dell’arte sconfinerebbe quasi in quella delle mentalità, tanti sono i fattori sociali e culturali da tenere presenti nell’analisi. Quello che è certo, e che vorremmo stabilire nelle grandi linee a conclusione di questa breve ricognizione, è che la natura morta si è affermata ovunque ma non ovunque nello stesso modo né con la stessa rapidità : nelle culture con un fondo idealista e « neoplatonico » che svalutano il lavoro manuale e l’esperienza del quotidiano si è affermata, in un tempo più lungo, malgrado tali resistenze. Mentre è stata favorita, se non quasi generata, dall’intensificarsi degli studi naturalistici e della scienza nascente, nonché dei commerci e degli scambi, che hanno preso il posto, tra ‘500 e ‘600, delle vecchie economie « statiche » basati sugli statuti consolidati, sui privilegi e sulla proprietà terriera.