Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

Fila dritto, gira in tondo. Segreti e bugie

Di Geraldine Meyer

Continua il grande lavoro di Prehistorica Editore per proporre ai lettori italiani i libri e gli autori francesi meno noti nel nostro paese. E sembra davvero non sbagliare un colpo. Nemmeno con questo Fila dritto, gira in tondo, di Emmanuel Venet, scrittore e psichiatra, classe 1959, di Lione.

Questo libro potrebbe anche intitolarsi Il giorno del giudizio, titolo della postfazione di Eric Chevillard (altro autore tradotto e pubblicato da Prehistorica) perché, in un certo senso, di questo si tratta. La voce narrante è quella di un uomo, affetto dalla sindrome di Asperger, il girono del funerale della nonna. Ma cosa fa scattare quella che è a metà strada tra la lucida confessione e il rinnegamento delle convenzioni? Leggiamo le parole che, nel romanzo, lo psichiatra che ha in cura il narratore fin da bambino pronuncia su questa sindrome: “ […] una variante umana non solo non patologica, ma addirittura vantaggiosa, perché garantisce, al netto di una asociognosia talvolta invalidante, una rettitudine morale alquanto apprezzabile, in quest’epoca di canaglia.” E ancora, questa volta è il narratore: “Posso del resto affermare che solo ciò che è immaginario produce questo effetto: dal reale non si può ricavare altro che una dolorosa sensazione di assurdità”.

Forse si può partire da qui per comprendere da quale ruolo sembra sentirsi investito il protagonista. Che è quello di colui che non può accettare che la verità non venga detta. Ma quale? Quella sottesa all’ipocrisia, alle convenzioni sociali e familiari, quella sbiadita e nascosta sotto una patina di bugie e di omissioni, di letture distorte, di interpretazioni di comodo. Che poi sono tutto ciò di cui è fatta la vita di ciascuno. In un precario equilibrio in cui, spesso, la solitudine fa più paura di ciò che accade quando si accetta di sciogliere la colla che tiene insieme gli esseri umani.

Proprio per la rettitudine morale che gli deriva dalla sindrome, il narratore, senza freni ma anche senza acrimonia, ci racconta la verità. La sua verità. E lo fa ricostruendo la sua vita e quella degli altri suoi familiari, immergendoci in un dubbio, in una domanda che è quella che si fa anche Chevillard nella postfazione: “Come si costruisce una vita? E’ una successione di fatti e avvenimenti tangibili o un tessuto di interpretazioni, di illusioni più o meno coscienti e di riletture abusive”?

Ci starà dicendo la verità il narratore dunque? La verità su una famiglia non “migliore ne peggiore delle altre”. Una nonna che non è quella dipinta durante l’omelia funebre tenuta da una parrocchiana che nemmeno la conosceva, un nonno costretto a un ruolo che non era il suo, incesti, meschinità, versioni di comodo. Perché, in fondo, è così umano aver bisogno di credere alle bugie.

E allora cos’è il narratore di questa storia? Un cinico carnefice che urla al mondo la sua versione? Un bugiardo a sua volta? Forse entrambe o nessuna delle due cose. E’ semplicemente “senza pietà”. Lucido, chirurgico, libero di parlare perché completamente solo. La sua solitudine gli consente di raccontare come stesse facendo una cronaca, senza astio, senza rancore. Forse è questo che più colpisce. Siamo al giorno del giudizio eppure la sua voce non ci arriva giudicante. Ce lo immaginiamo quasi sorridente, svagato e stupito, a raccontare come se non potesse non farlo. E ciò a cui arriva è farci sentire umana compassione sia per la sua “verità” sia per le debolezze dei suoi familiari.

Chevillard definisce questo Fila dritto, gira in tondo, un “gioco al massacro”. Perché di questo si tratta. Come sempre nei rapporti umani in cui il numero di vittime è dato, più che dalla contabilità, proprio dal modo con cui tale massacro lo si racconta. Se non lo si racconta, non ci sono vittime. Un libro davvero notevole, sorretto da una scrittura la cui sobrietà diviene ricercatezza quasi da scultore, più a togliere che a aggiungere. E davvero molto ben tradotto da Lorenza Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco.

Fila dritto, gira in tondo Book Cover Fila dritto, gira in tondo
Emmanuel Venet. Trad. di Lorenza Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco
Letteratura
Prehistorica Editore
2021
174 p., brossura