Nato a San Benedetto del Tronto nel 1975. Ha pubblicato in molte antologie poetiche e su blog letterari e ha collaborato con alcuni caffè letterari. Tra le sue pubblicazioni "Complicazioni di altra natura" (2020, Puntoacapo) - "Ammessi al paesaggio" (2019, Calibano) - “Orario di visita” (2016, Schena) - "Poesie di un giorno nullo” (2015, Vertigo) - "In dirittura" (2013, Vertigo) - "La parete viva" (2011, Aletti) - "Al tempo della poesia" (2011, Aletti)

Di Gianni Marcantoni

Stanza – 2
Il pensiero dell’abisso è asfissiante,
il suo fluido insidioso scende arido
a travolgere come valanghe;
giù in fondo alla fossa, dove da sempre
viene raggiunto l’ultimo istante.
Una pioggia ritmica si amalgama
lungo le scoline, l’occhio si alterna
allo sguardo incline alla notte.
In una tormenta il gettito del vento
inghiotte lo spirito – esausto di ricomporsi.
Dalle ruvide gole le ossa pulsano rotte,
sono rotule danzanti in un mare ingrossato,
così un pensiero dall’abisso torna
a spezzare un crepaccio che si espande;
giù in fondo alla stanza in tempesta
dove la corrente impugna e sradica l’ora funesta.


Lamento segreto
Non oso galleggiare tra le onde
calme ed infedeli, tu che hai confuso
il mio ossigeno di quando solo respiravo
con la testa rivolta sul pavimento.
Nessuna luce torna ai desideri sconfitti,
nessun limite rispecchierà questo
lamento segreto, che torna
con un soffio primaverile ai suoi statici fiati.
Ho rincorso qualcosa che era tuo,
qualcosa di incompreso
che nella vita perdemmo in due,
e una polvere cadeva sempre
sopra un canto di lettere sapienti.
Un rumore si alzava distorto
dalla dogana adiacente i caduchi scenari
mentre raggelavano i nostri occhi commossi
davanti agli innocenti morti.
Le ragioni sembravano falangi che si toccano
quando temono di colpire al buio.


Ci sono stragi
Ci sono stragi di cuori e stragi solitarie,
fuochi che consumano
quel che solo di un brusio rimane.
I campanili sbattono gridando all’ultima fuga
mentre il mondo esplode in solitudine,
sospeso come un terrapieno scintillante.
Ma le persone attendono sedute,
le persone attendono nude
e sconsolate nelle loro tiepide vasche.
Il silenzio è solo un tentato sabotaggio,
stragi di sembianze annegano nei cimiteri
bianchi, spogli nei fiori giganti
deceduti nel sonno.
Siamo vite distratte dal niente,
mentre muoiono i ragazzi fatti a pezzi
nei palazzi occupati dagli scarafaggi.
E non splende il sole
se non lo guardi dolcemente,
se non alzi gli occhi esso non riflette,
e neppure la notte…
perché tu credevi che non potesse splendere.


Sopra la vita
Gli antichi scorci nascevano
dalla coda raggelata di marzo,
scendevano su una strada del centro
e gli orli si aprivano dai sedili
seppelliti fra gli oleandri.
Le persiane – con meraviglia – lacrimavano
una luce verde dal fondo delle regressioni serali,
la notte rispecchiava l’anello angoscioso
dei lumini opachi
e il giorno tornava ai suoi fruscii,
alle correnti insaponate e spumose.
Era stanco quel lamento di sbriciolare
come un ferro bollito nell’olio,
il terreno sfilava incolto all’apparenza
di uno spasmo addomesticato.
Sui boschi assetati una cometa spargeva
la sua materia grigia e sottile,
non v’era più spazio per l’eterna risalita,
ma gelida al tatto continuava
ad appoggiare la pietra sopra la vita.

Dalla prefazione di Alessandra Paganardi

La poesia, se non può curare, obbliga a una riflessione sull’uomo che forse ha pochi altri confronti. In essa il linguaggio, articolandosi nelle infinite possibilità del sentimento e del desiderio, denuncia con una lucidità
persino intollerabile quella nostalgia d’interezza che forse mai, in nessun luogo e in nessun tempo, l’essere umano ha davvero posseduto. Che sia proprio questo il compito dei poeti oggi: svegliare con garbo, con furore
o con scaltrezza dall’universale distrazione?
Alessandra Paganardi