Diploma maturità classica – Laurea in Giurisprudenza in 3 sessioni e mezza – Pratica legale – Pallavolista di successo – Manager bancario e finanziario – Critico musicale dal 1977 – 6 mesi esperienza radio settore rock inglese ed americano – Studi continuativi di criminologia ed antropologia criminale – Lettore instancabile – Amante della letteratura noir e “gialla “ – Spietato con gli insignificanti. Fabio è venuto a mancare nel maggio del 2017. Ma noi abbiamo in archivio molte sue recensioni inedite che abbiamo deciso di pubblicare perché sono davvero parte della storia della critica musicale italiana

Di Fabio Valchera

Sentire questo disco a marzo 2017 (il giorno 15, per l’esattezza)  e dopo un solo ascolto, inserirlo subito ne “I MONOLITI” probabilmente, non capiterà più. Ma questo disco, non solo è un capolavoro vividissimo, ma spinge il jazz avanti di 10-15 anni, come solo Miles Davis sapeva fare. Per chi non lo conoscesse, Dave Douglas è un trombettista nato a East Orange, nel New Jersey, il 24 marzo del 1963, già intestatario di dischi straordinari, ma qui si è assolutamente superato.

Dopo  l’ascolto, ho dato un’etichetta a questa musica straordinaria,  assolutamente da ascoltare e vivere: POST INDUSTRIAL JAZZ ELETTRONICO. E vado a spiegarvi perché. Per ideare ed eseguire (suonare) siffatta opera, Douglas ha convocato presso di sé i seguenti musicisti: Mark Guiliana, sicuramente uno dei tre batteristi jazz migliori in circolazione, americano, nato il 2 settembre 1980. un ragazzino, ma già capace di incidere un grandissimo disco assieme al pianista, il n°1 allo strumento, BRAD MEHLDAU, da me visto l’anno scorso in concerto. Guiliana suona batteria acustica ed elettronica. Gli altri due sono  Jonathan Maron, bassista elettrico che qui suona pure i bassi elettronici ( nel senso di basso sintetizzato), più volte nominato e premiato al Grammy di categoria, giovanissimo alfiere dell’acid jazz ed infine l’americano Shigeto, dalla fisionomia orientale, ma nato in Usa, musicista che si occupa di elettronica.

Questo per chiarire il quadro. E questi quattro fanno una musica futuristica, ma umana! Douglas li dirige da par suo. Prima dell’analisi dei 7 pezzi , che comportano una durata ragionevolissima di 40 minuti, parliamo di cosa c’è dietro il disco. Il libro di Fred Kaplan Dark territory : the secret history of Cyber War. All’interno del booklet è riportata una frase di Robert Gates, Segretario alla Difesa Usa, che dice che andiamo incontro a spionaggio cibernetico e guerre cibernetiche. Oggi è la normalità, ma Gates pronunciò questa affermazione, appena Bush finì il suo secondo mandato e stava per governare Obama.  

Veniamo al disco. Si parte con Celine , percussioni elettroniche e suono notturno e cupo, da post industrial, sul quale va ad innestarsi la tromba magnifica di Douglas. Ci sento dentro, negli intenti, oltre che nei suoni, tanto Miles Davis, ma non  potrebbe essere altrimenti. Douglas è bravissimo e pure originale, Guiliana alla batteria un uragano. Grandissimo brano. All the pretty horsepower sono 7 minuti aperti ancora da suoni e percussioni elettroniche. Qui il basso è esuberante e cupo. Musica che viene da galassie misteriose, dal futuro.

La tromba di Douglas aumenta la suspence e la tensione del brano, già notevoli. La scansione ritmica è meccanica e “rotolante” . Le note afferrate da Douglas, strepitose. Questi due primi brani, così come gli ultimi due, sono del solo trombettista, i successivi tre rispetto a questa ultima selezione di cui ho parlato, vedono la presenza come compositori sia di Maron che di Guiliana, assieme a Soginaw e Wall.

Let’s get one thing straight è una song sintetica, sincopata, di avanguardia purissima. Post industrial jazz livido, insidioso, notturno, buio. Fascino pazzesco, capolavoro inusitato. Douglas spinge l’avanguardia dove erano arrivati i primi Weather Report ed il primo Bill Frisell, come suoni. Ma lo fa in maturità, senza prostituirsi al mainstream. Mission Acropolis ne è la dimostrazione evidente. Tema bellissimo suonato da quattro “Mostri”.

Suoni alla Star Trek e tromba alla Davis. Ridge Hill fa sì che tromba e synth sembrino dei calabroni cazzutissimi. Tema contorto e spaziale. Neural è post industrial jazz, ancora una volta. Brano nervoso con la tromba di Douglas scatenata, assieme al basso, a creare scenari lividi e minacciosi. Infine, Loom Large, la mia preferita in mezzo a cotanto splendore, è un funky elettronico  dell’Anno 3000 della Madonna! Douglas spinge il jazz avanti di 10 anni con questo disco, che DEVE essere ascoltato pure da coloro cui il jazz tradizionale non piace.