Gianrico Gualtieri è nato a Napoli il 10 febbraio 1962. Dopo aver conseguito la maturità artistica (1979), ha frequentato la Facoltà di Architettura e l'Accademia di Belle Arti. A partire dagli anni '80 avvia una ricerca artistica sulle tecniche della pittura antica, formandosi dapprima alla scuola del '600 italiano e in seguito, alle scuole fiamminga e olandese. Esegue numerose copie e lavori personali, con una predilezione per i generi della natura morta e del paesaggio.

La modernità e l’ambivalenza del mito: Van Gogh & Co

Di Gianrico Gualtieri

Se potessimo analizzare la sostanza di cui è fatta la modernità, come se si trattasse di un qualcosa di fisico-chimico, troveremmo che è fatta di una sorta di antimateria rispetto alle epoche antiche, cioè di una sorta di rovesciamento astratto e speculare delle categorie di pensiero, valori, idee e via dicendo del mondo antico.

Circoscrivendo la nostra analisi al problema del giudizio di valore sull’arte e sugli artisti, occorre in primo luogo notare che a tale rovesciamento speculare non sfugge il mito, che per gli antichi era una verità rivestita di finzione, dove per finzione si deve intendere, etimologicamente, il fingere, il plasmare una forma per tale verità, in maniera tale che possa essere colta dal pensiero simbolico che procede, com’è noto, per associazioni. Dal racconto si sprigionano dunque una serie di percorsi ermeneutici e la loro interconnessione più o meno vasta dà luogo alla verità del mito che trascende il tempo e la Storia, come dice anche la Scrittura : « com’era in principio ed è sempre ».

I miti della modernità, inversamente, sono proprio miti nel senso di fandonie, di costruzioni intellettuali, culturali, sociali senza alcun fondamento che si fondano unicamente nel fatto che qualcuno è riuscito a crearli e ad imporli fino a farne « patrimonio comune ». La loro « verità » nasce e muore nella sfera del tempo, del fattuale, dell’empirico, senza legame alcuno con qualsivoglia principio.

I miti particolari, individuali, che la modernità crea hanno comunque le loro giustificazioni, perchè la modernità è razionale : le vicende personali e artistiche dei singoli artisti si giustificano in virtù di assunti generali che sono veri e propri stereotipi e clichés intorno alla natura e al compito dell’arte e dell’artista : il mito del genio, l’idea di genio e sregolatezza, l’idea di arte come completamente indipendente da ogni bisogno funzionale e dunque « libera » ricerca dell’artista… e la lista potrebbe continuare, con idee e asserzioni tutte invariabilmente distorte e false, tanto che ribaltandole si ottengono altrettante verità sugli artisti e sull’arte.

Una definizione della natura e del compito dell’arte e dell’artista e un’analisi, anche succinta, dei fuorviamenti teorici e pratici con le conseguenti distorsioni etimologiche, che hanno portato a gravi deviazioni e snaturamenti dell’arte e dei manufatti artistici nella civiltà occidentale, esula dai limiti di questo breve scritto ; sarà eventualmente oggetto di altra trattazione, più estensiva.

Qui intendiamo solo mettere in luce come personaggi come Van Gogh, Gauguin, gli impressionisti, i cubisti e via discorrendo per altrettante figure e correnti della modernità avanguardistica e non, siano, per quanto ormai consolidati e indiscussi nell’establishment culturale e sociale, creature mitiche nel senso di immaginarie, senza alcun fondamento reale.

Vincent Van Gogh: 1888, Ritratto di giovinetta, disegno

L’artista del mondo antico, che poi è l’artista tout court, colui che risponde alla definizione di artista che non è antica né moderna, si inserisce in un contesto sociale entro il quale l’arte esiste in maniera ben definita e viene trasmessa attraverso un sistema di apprendistato che è sia tecnico in senso stretto che di gusto e di cultura. Ha una spiccata predisposizione e talento per il disegno e per la pittura, che si manifesta attraverso la capacità di recepire e assimilare il linguaggio e la maniera dapprima del suo maestro diretto poi eventualmente di altri artisti, procedendo così gradualmente alla elaborazione di un suo linguaggio personale. La sua arte risponde peraltro ad un bisogno sociale e essere artista non è una cosa campata in aria ma è un mestiere, con regole ben precise, che richiede requisiti ben precisi e che si basa su un gusto e su una visione del mondo e della vita comune a tutti, che l’artista non fa che interpretare al meglio nella forma specifica delle sue creazioni, nel legame con le altre sfere del pensiero filosofico, teologico, scientifico etc.

L’artista-mito della modernità, che è sicuramente il caso di Van Gogh ma che potrebbe anche essere Gauguin, Modigliani, un impressionista, un cubista etc., è dotato di caratteristiche inverse e speculari : ha una concezione dell’arte « tutta sua » che la società dovrebbe accettare « accantonando i pregiudizi » e comprendendo il suo genio ; già, perchè lui è un genio e dunque non ha bisogno di imparare come i comuni mortali, non va perciò ad imparare da nessuno, fa da sé. La sua arte non risponde ad alcun bisogno sociale ma è il bisogno che deve adattarsi a lui per comprendere la sua genialità. Essere artista non è perciò un mestiere ma una non meglio precisata aspirazione dell’individuo, che al di là di superficiali sinestesie si interessa solo all’arte e naturalmente solo a quella che fa lui.

Vincent Van Gogh: 1888, Ritratto di giovinetta, dipinto

Gli artisti-miti così creati sulla base di anti-verità sull’arte e sull’artista, una volta creati si autoalimentano con un sistema che ricalca il modello propagandistico dei sistemi delle ideologie totalitarie : alla base c’è una petitio principii, cioè l’affermazione che tale o tal’altro sistema è un assoluto e che non può essere rimesso in discussione, la Storia l’ha affermato e dunque il sistema X è necessariamente il sistema di vita e di governo migliore e fa gli interessi del popolo etc. etc.

Analogamente si pretende che l’artista X sia un grande artista perchè lo si dice, anche se ogni evidenza dimostra il contrario : X è autodidatta, mediocremente o per nulla dotato, le pretese giustificazioni teoriche alla base della sua visione e del suo lavoro convincono poco etc.

D’altra parte man mano che si è andati avanti nella modernità e poi nella contemporaneità, il carattere del mito-fandonia si è sempre più rivelato per quello che è : qualcosa che non ha alcun fondamento. Se inizialmente ci si è sentiti in dovere di fornire qualche discorso ed elemento razionale che « giustificasse » quello che l’occhio, la cultura, il gusto e il buon senso continuavano a rifiutare, come è il caso della filosofia di Merleau-Ponty che ebbe un suo ruolo nella formazione del cubismo, col tempo si è lasciata cadere ogni giustificazione per lasciare solo quella del mercato, dei critici e dei galleristi che fanno e disfano a loro piacimento.

Questo rovesciamento speculare del senso e del valore del mito si traduce in una inversione, in un chiasmo tra l’artista e il valore della sua opera : nell’arte antica, è il valore eccezionale dell’opera a « creare » il valore dell’artista e a trasmetterci il suo nome ; nell’arte moderna, l’opera acquista valore e reputazione in virtù della « genialità » dell’artista, per cui al limite non è tanto il valore del lavoro che conta, ma solo chi l’ha fatta e il suo « pensiero ». Concezione figlia di un malinteso idealismo di derivazione neoplatonica, alla base delle deviazioni del pensiero della nostra, ormai solo pretesa, « civiltà ».