Carlo Molinaro è nato a Vercelli nel 1953. Terminato il liceo classico, nel 1972 si è trasferito a Torino per gli studi universitari, e da allora è sempre rimasto ad abitare nel capoluogo subalpino dove, dopo la laurea in Lettere con indirizzo linguistico-semiologico, è stato impiegato come redattore per ventisei anni (dal 1977 al 2003) alla UTET, dove ha collaborato a lungo al Grande Dizionario della Lingua Italiana. La poesia è una sua vocazione costante: ha pubblicato numerosi libri di versi a partire dal 1981. Citiamo i più recenti: La parola rinvenuta (Genesi Editrice, Torino 2006), Una città (Manifattura Torino Poesia, Torino 2010), Rinfusi (Genesi Editrice, Torino 2011), Le cose stesse (e-book, Matisklo Edizioni, Savona 2013), Nel settimo anno (Genesi Editrice, Torino 2016), L’effimera commedia (Miraggi Edizioni, Torino 2016). Ha scritto anche due romanzi, Io sto come mi pare (Delos Books, Milano 2008) e L’odore delle gambe delle donne (Miraggi Edizioni, Torino 2015); e si dedica con una certa passione a produzioni di immagini fotografiche e video.

Di Carlo Molinaro

POSTAMORE

Resti comunque la prima persona

che cerco se succede qualcosa

di brutto o bello, se c’è da condividere

qualcosa di bello o brutto

o solo di curioso.

Resti comunque l’unica persona

che se per un giorno non sento mi manca,

quella che se qualcuno mi confida un segreto

lo avverto che con te non garantisco.

Hai sempre avuto cento unicità

– tranne quella che forse tu volevi

(avevo, all’inizio, sperato di no):

l’unicità che vogliono tutte

e a me pare banale.

Così l’amore che straccia i capelli

(e i coglioni, e il cuore, e molto ancora)

s’è rarefatto, diradato, è finito:

non so se ancora io lo cercherò

in altre: sono vecchio, le ragazze

è meglio forse guardarle soltanto

sedute in treno o ai banconi dei bar:

sul ridicolo del baccaglio senile

c’è satira già ai tempi di Catullo.

Resti comunque la prima e l’unica donna

a cui parlo senz’ansia, io che verso le donne

non l’odio-amore del poeta su citato

ma un amore-terrore ho sempre avuto.

È finito o cambiato. Ma se noi

la teniamo da conto questa strana

preziosa relazione e ci diciamo

le cose e spesso ridiamo e all’occorrenza

con le mie dita di pranoterapeuta

tolgo il dolore al tuo collo e alla schiena,

siamo sicuri poi che sia di meno

che certe coppie nelle nozze d’oro?


AMORE MIO

Che stanchezza, amore mio, in questa dolce

sera di maggio, tu sei nella tua casa e io

guardo fermarsi il treno, a Vercelli, ci salgo.

Quanta gente sul treno, quanti treni

e quanto tempo, amore mio, che bravura

per dirlo buono, il tempo, per cogliere

queste altre rose, questo ennesimo crepuscolo

che lentamente scompare sui denti dei monti

alla mia destra, mentre il treno corre.

È per te che vorrei sentire buona

questa stanchezza, serbarci una voglia

d’abbraccio inerme. C’è l’ultima luce

sulle risaie, nel tempo che lo scrivo

non c’è già più. Ho faticato a conservare

bellezza in vasi che ho poi rovesciato

dalle finestre, pensando che fosse

mia missione, servizio generoso,

mia redenzione. Amore, che stanchezza:

la gente sale e scende, cerca posto

per sé e le valigie. Io senza bagagli

mi rannicchio vicino al finestrino,

vorrei darti le cose che non ho.


BELL’AMORE

Una ragazza – non imparziale, lo ammetto, perché

mi vuole bene e gliene voglio – guardando

una tua foto ha detto:

«Bella Eva e bello il tuo amore per lei».

Ecco, ho pensato in un breve sospeso

commosso sogno o delirio: se tu

trovassi bello non me – che è impossibile – ma

il mio amore per te, che gioia sarebbe!

Se tu trovassi bello questo amarti

che ha preso in me misura di respiro

ti ci potresti specchiare, sorridere:

non ricambiare l’amore, sorridere.

Sorrideremmo, ed è tanto. Non credere

a chi dice che non avrebbe senso.

Nella muta vacuità dell’universo

l’unico senso lo creiamo noi.

L’immagine di copertina è In viaggio, un’opera del pittore albanese Lin Delija, presa da albanianews