Pubblichiamo, per gentile richiesta e disponibilità, alcuni Pezzi di Ippolita Luzzo, la regina della litweb. Gli articoli che leggete qui, sono raccolti nel libro Pezzi. Dal regno della litweb, Città del Sole Edizioni, 2018

Regina di un regno che non esiste – La letteratura Web
Già Fortini lo scriveva nel 1960 – I luoghi dell’opinione e del gusto letterario sono stati sorpresi nel giro di pochi anni dall’insorgere di forme per noi nuove dell’industria della cultura che hanno mutato aspetto e funzione agli organi di mediazione fra scrittori e pubblico – All’apparir del vero tu misera cadesti… La società letteraria all’apparire di internet si è erosa, oppure è esplosa, e trasformata in pulviscolo è diventata una delle prime cause dell’inquinamento atmosferico. La letteratura web, croce e delizia di tutti noi, utenti di un pc. Emanuele Trevi, nel suo Istruzioni per l’uso del lupo (1), lamenta la fissità marmorea e un po’ demente delle istituzioni. Macchine sociali produttrici di consenso…noi cercavamo altro, abbiamo trovato internet, abbiamo il web. Sarai regina e regnerai, le cose che tu sognerai diventeranno realtà – cantava Moustaki, un tempo lontano. Perché non crederci? Così anche io, a un anno a questa parte, pigio frenetica i tasti di un pc, iscrivendomi ai siti letterari, così è scritto su Google. La Recherche, Neteditor, Alidicarta, Descrivendo, Altramusa… una infinità di siti dove, senza sbarramento, tutti possiamo iscriverci, tutti possiamo scrivere, tutti possiamo leggere e commentare. Liberi tutti. Scriviamo tutti, molti, numerosissimi. Scriviamo e scriviamo, poi litighiamo. Le risse diventano furiose come in un salotto letterario vero, per una virgola, per un commento, per come e per quanto un romanzo possa chiamarsi romanzo.

Io, nel mio sito di allora, divento la pietra dello scandalo, io canticchio, faccio collage di canzoni, parole e opere, di poesie, di film, un minestrone e i classici si impuntano, ne nasce un bellissimo dibattito e vengo incoronata regina della Litweb da dissidenti dell’ordine costituito. Mi aprono un blog, mi invitano in un altro blog, divento una blogger e tutto si trasforma sotto il regno del nuovo millennio. Evviva questo mondo, evviva noi, in fondo siamo in tanti a crederci, però, una volta tanto vorrei che fossi tu a dirmelo, lo sai. Tu… che non ci credi veri, Tu che non ci leggi mai, Tu, editore, scrittore, Tu giornalismo di prestigio, Tu premio letterario, Tu Università Il tu tu tu tu sempre occupato, una linea intasata da tante richieste. Ma noi leggiamo e scriviamo, poi litighiamo, senza stancarci, Senza annoiarci, perché Nel regno della Litweb non tramonta mai il sole, Come potrebbe? Manca il cielo in questo regno, A dir la verità manca anche la terra.

(1) Emanuele Trevi, Istruzioni per l’uso del lupo, Roma, Elliot, 2012.

Fiorirà l’aspidistra. 1936 Orwell
Fiorirà il nostro mondo domani. Ne siamo certi, lo vogliamo. Con Orwell noi vogliamo un socialismo democratico, la libertà di poter scegliere, e con Orwell diciamo: – Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.

Caro Orwell ti scrivo così mi distraggo un po’ e siccome sei tanto lontano più forte ti scriverò. L’anno che è arrivato non mi piace nemmeno un po’. Sento strani discorsi, sento nuovamente folle oceaniche e saluti marziali. Sembrano solo risate e invece sono scherni. Mi sono riletta te e la fattoria degli animali (1), mi sono spaventata perché tu e tanti altri profetizzate con favole, con film, con canzoni, l’anno che verrà con dettagli minuziosi. Profetizzate e ci richiamate a svegliarci. È Primavera, svegliatevi bambine, alle cascine, che festa di colori… Possibile che non possiamo svegliarci e impedire un corso della storia pericoloso? Possibile che il corso delle cose ci trascini come un fiume inarrestabile travolgendo argini e steccati? Possibile che risucceda, come Vico, corsi e ricorsi, e tutto venga di nuovo a galla? Razzismo, fascismo, saluto romano, organizzazioni militarizzate, odio sociale, povertà, spregio della cosa pubblica, irrisione, e urla. Chi urla di più vince? Fiorirà l’aspidistra in estate, fioriranno altri fiori a primavera e non vogliamo che i nostri fiori si bagnino di sangue. Fiorirà ancora una volta negli uomini di buona volontà la speranza di essere forti nella unica certezza di esser deboli, da San Paolo a noi. Orwell, in quel suo libro, raccontava di quanto fosse stato difficile per lui ribellarsi al conformismo. Non è facile, infatti, ma alcuni scrittori ci tentano e, oltre a ribellarsi, lo scrivono affinché anche gli altri sappiano.

(1) George Orwell, La fattoria degli animali, Milano, Mondadori, 2016.

La pianta grassa. Una storia chiusa di Clara Sereni (1)
Al cellulare: – L’amicizia è una pianta grassa. Non ha (quasi) bisogno di acqua – mi dice la mia amica da Recanati, in gita con i suoi allievi, e continua – Sì, ho visto le tue telefonate, tranquilla, io ci sono sempre. Mi ritrovo a dover spiegare che: – Pensato avessi perso il telefonino, ho pensato che lo avessi rotto, ho pensato che… Ma non l’ho detto che del cactus io sento solo le spine. Molto probabile che siano solo spine difensive, solo spine involontarie, solo tempo che non c’è. Clara Sereni, giornalista e scrittrice, un tempo fece un tentativo. Inventò un luogo dove chi avesse avuto bisogno di compagnia, di aiuto amicale, sarebbe potuto andare. Il marito, fiducioso, pronosticò il successo. Lei era convinta del contrario e così chiarì all’ignaro e ingenuo uomo: – Vedi, tutti siamo disposti ad aiutare, vi sono infatti moltissime associazioni di volontariato in tal senso, aiutano le ragazze madri, i carcerati, i tossici, gli alcolizzati, gli ammalati, aiutare ti fa sentire forte, grande, ma nessuno è disposto a far vedere quanto lui abbia bisogno di uno sguardo, di compagnia, quanto lui sia vulnerabile. Amicizia, strana parola, rara trovarla, più rara viverla insieme. Bisogna accontentarsi che essa esista nel deserto arido del deserto. Clara Sereni decise a un certo momento di andare a vivere in una casa di riposo. Una stanza chiusa. Una stanza da dove, impercettibilmente, il mondo del fuori sparirà, senza spine, e nel chiuso di un nuovo ordine ognuno ripercorrerà i sentieri dei nidi di ragno, raccontandosi storie che avrebbe voluto raccontare a quella amica, alla sua amica. Non ha bisogno di acqua l’amicizia, mi sembra la stessa frase dell’uomo che ti dice: – Sono dentro te – mentre è lontano mille miglia, con nella mano un’altra, un altro. Abbiamo tutti bisogno di acqua, senza acqua non si vive. Dirlo non è debolezza, è solo una forza. Noi non siamo cactus

(1) Clara Sereni, Una storia chiusa, Milano, Rizzoli, 2012.

Rocco Carbone. Per il tuo bene
L’unico libro che ho letto di Rocco Carbone è Il Padre Americano(1), pubblicato postumo nel 2011. Il solo libro che ancora viene stampato, mi dice il libraio, nel prenotarlo. E gli altri? – domando – Non sono in ristampa – mi viene risposto. E ora? Come leggerò Agosto (2) e Per il tuo bene (3)? Non ho mai saputo di lui, fino a quando un articolo della Gazzetta del Sud non riporta una intervista a Romana Petri, (ma non sono sicura) scrittrice sua amica e finalista al premio Strega. Ora so ancora pochissimo e moltissimo: scrittore nato a Cosoleto in provincia di Reggio Calabria – del segno dei pesci? – nato a febbraio del 1962 e laureato alla Sapienza di Roma con tesi sui Malavoglia. Scrittore che io ora stringo nelle mani, leggo convulsamente in questo ventilato pomeriggio di fine luglio, e amo infinitamente conoscendolo. In ogni foglio mi dico: – Ecco – e ci sono le pagine che mi illacrimo e ci son le pagine che inghiotto a vuoto e ci son le pagine che accarezzo. Come una cretina. Lo sento che lui è Ernesto, che si nasconde nel personaggio dell’amico. Sento sempre quando i personaggi sono vivi, sono noi, sono nostri pensieri, nostre sofferenze, irruenze. Febbrilmente me lo bevo questo romanzo, ne resto scossa, mia sorella mi vede turbata e ci rinuncia, rinuncia a riportarmi a un usuale. Vero è quello che poi leggo di lui e cioè che lui era esageratamente entusiasta nei rapporti con quelli che erano esagerati uguali, ci dice Chiara Gamberale, nel suo blog Sentimentalisti anonimi. Ma io questo blog suo lo leggo solo ora, dopo che ho parlato di lui, per molto tempo, con la poetessa, mia amica, che non lo conosce. Il padre americano è un bellissimo romanzo, postumo, mi ripeto. Lui morì nel luglio del 2008 e il suo romanzo è nato nel 2011. Postumo come i grandi. Tutti i grandi sono postumi, da Pessoa a Carbone. Una scrittura lineare, lucida, visiva, immaginativa e discorsiva. Ci parla, ci scrive, ci fotografa, ci, surrealmente, prende per mano, nel suo narrare a pezzi, nel suo interrompere e ripartire. Certo questo raccontare non mi è nuovo, certo riprendere da dove si era lasciato, dal padre a Reggio Calabria, dal nonno in America, da lui che vince il posto di Italianista e… È una tecnica di altri scrittori, tiene desto e sveglio lo sguardo. L’altra tecnica si chiama sincerità, verità. Romanzo verità sui nostri giorni, una vita, tante vite, incroci, bivi, ed Ernesto che scrive. Scrive agitato e fremente, non sta mai fermo, si agita, si taglia, si esalta, si infastidisce. Ha successo. Ha successo perché due critici letterari si scontrano – uno parlandone bene, uno denigrandolo – per il loro narcisismo, la vogliono vinta. Creano il caso. Ernesto è già bravo, anche senza di loro, però con la schermaglia diventa visibile, un personaggio. Vedo sorridere sornione Rocco. Io che vorrei leggerlo tutto, ora che ho capito che lo amo, poeticamente, letterariamente, non posso non abbassare la testa e pigiare i tasti convulsi per dirlo a tutti: Leggete Rocco Carbone. Vi innamorerete della sua arte.

(1) Rocco Carbone, Il padre americano, Cavallo di ferro, Roma 2011.

(2) Rocco Carbone, Agosto, Roma-Napoli, Theoria, 1993.

(3) Rocco Carbone, Per il tuo bene, Milano, Mondadori, 2009.

Uomini visti da donne
Una signora va a fare la spesa in un grande supermercato della città. Nello spazio antistante vi è un ampio parcheggio e alcune ragazze marocchine vendono fazzoletti – chiedono un euro. Un uomo distinto, conosciuto, si avvicina alle ragazzine. Parla con loro e poi convince una delle due, forse la più piccola, a salire in macchina, la sua macchina. La signora osserva incuriosita, perplessa, sulle prime avrà pensato che l’uomo si propone di aiutare le ragazze, ma deve ricredersi. Lui ha il classico atteggiamento dell’adescatore, l’occhio torbido, la voglia stampata sulla faccia. Così turbata la donna rimane indecisa e torna a casa. Sarebbe creduta? No, lei stessa si risponde. Lo racconta a un’amica. Anche l’amica non crede. Questo uomo è un uomo devoto. Non può aver fatto, pensato di usare minorenni, senza difesa, per un piacere personale. Sembra assurdo. Zitta. Zitta. Passa il tempo. Poi stranamente all’amica scettica viene raccontata la medesima storia dalla moglie dello stesso uomo. Oh no, la moglie non può dire: – Sai, mio marito… – Non può. Però racconta, racconta storie di violenze, di uomini adulti, molto adulti, rispettabili, rispettabilissimi, con sessualità non risolte, con mogli invisibili, che non toccano più, uomini che desiderano toccare o farsi toccare da bimbette marocchine, ucraine, o semplicemente da bimbette facilmente avvicinabili e indifendibili quando si sarebbero messe a raccontare. Chi crederebbe a queste bimbette? La moglie continua nel suo sfogo addolorata, mortificata, – Certo – spiega – non si fa così. – Sta bene attenta a non dire – Sai è mio marito questo uomo, sai è lui che torna a casa con questo odore un po’ così, di selvatico, addosso come un lupo. – Non dice così. Chi la crederebbe? Continua a chiedere questa moglie che venga scritto, che venga scritta la vergogna di uomini ammantati da spirito cristiano, di uomini che hanno figlie, figli giovani, che vanno con bimbe. Quando ho letto che Simenon si vantava di essere andata a letto con
una ragazzina, che Gandhi voleva una bimbetta nel letto la sera, che Montanelli aveva avuto in dono in Etiopia una bella bimba profumata, ebbene allora ho cercato di mettere su foglio una stranezza. La donna non è uguale all’uomo. Le bimbe poi sono più fresche. La donna non cerca bimbetti da infilarsi in macchina. Se lo fa è una maniaca, una pazza pericolosa. L’uomo è uomo. – Mio marito è un signore – disse sempre la stessa moglie una volta a chi le domandava se il marito la soddisfaceva sessualmente. Ma che risposta è? È la risposta giusta. Più i mariti sono indegni più le moglie incensano. Le donne non sarebbe credute. Visionarie. Si meravigliano con gli occhi increduli, non vogliono capire, ma come? Simenon se ne vanta e lei moglie ne soffre? Ma va! Nel libro di Giuseppina Torregrossa, alcune moglie siciliane parlavano delle zoccole dei loro mariti, se ne vantavano, una ne lodava la bellezza, con orgoglio affermava che suo marito sì che aveva gusto, avevano visto quanto era bella, quanto era appariscente la zoccola del marito? Mi sembrava anche questo inverosimile. Ma nel mio raccogliere le tante storie che voi donne mi raccontate ormai convinte che io le trasformerò in letteratura, una donna colta, intelligente, critica, analizzando anni accanto a un marito femminaro, è questa la parola giusta?, osservava che lei avrebbe accettato qualsiasi donna purché tante donne accanto al marito, e anche ora che lui ne aveva scelta un’altra, avrebbe capito se questa nuova fosse stata più bella di lei. Strana competizione. La nuova però non è più bella – non è più intelligente – non esiste. Le donne sono sempre in lotta fra loro per il possesso di un individuo ana – senza. Uomini visti da donne. – Io sono sempre la moglie – mi dice una gentile ed elegante signora – dicono tante falsità su mio marito! Ci vogliono male – E così continua, lei che può, a camminare imperterrita al braccio di questo uomo che manifesta, malgrado le tante donne avute, così dicono, una devozione encomiabile verso la sposa. Sarà vero? Voglio credere che fra noi possa ancora esistere la possibilità di guardarci negli occhi. La sessualità è uno strano miscuglio di desideri, di appagamento, di potere, di risentimento, di violenza, ingabbiarla in un matrimonio è un artificio ormai logoro. Per le donne, per la maggior parte delle donne, questo artificio era la loro difesa, era l’unico spazio possibile. Io penso ancora che sia per l’uomo che per la donna possa essere una bellissima opportunità di conoscenza. Ci saranno pure uomini e donne umani o è solo letteratura? Nella conoscenza solo letteraria della mia vita, ho filtrato la realtà sempre attraverso le parole dei miei libri, ho creduto possibili amori e interessi, ho percepito poi un malessere soffocato, tra quello che si vuole e quello che si ha, tra quello che si crede giusto e quello che è giusto. Ho visto poi la grande differenza tra vita e letteratura. Un uomo visto con gli occhi di una donna è solo un marito – un figlio – un padre – prepotente ma ancora potente. Che sciupio di forze! Quanta energia per reggerli! Ma senza di loro la vita sembra che non abbia sapore, odore, senso, senza di loro la vita non è vita, è un’altra cosa.



Pezzi. Dal regno della litweb Book Cover Pezzi. Dal regno della litweb
Ippolita Luzzo
Critica letteraria, pensieri, letteratura
Città del Sole Edizioni
2018
168 p.,