Sono nata a Vicenza, città che ha visto la mia partenza e il ritorno, dopo anni passati a Roma, prima all’università e poi a confrontarmi con il mondo del lavoro. Ho fatto l’attrice, la presentatrice televisiva, l’adattatrice dei dialoghi per il doppiaggio. Sono passata sulle tavole dei palcoscenici, negli studi televisivi, tra le scenografie di Cinecittà, sono entrata nelle case di grandi maestri, conosciuto la vita di artisti e di piccoli artigiani, percorso le strade della città eterna. Ho avuto molti giorni felici nella capitale, incontrato tante persone, dalla più umile alla più boriosa, respirato l’aria di una città elefantiaca e affascinante, guardato mille tramonti con la quinta di un colle punteggiato di pini dagli alti fusti o attraverso archi e fori della sua grandezza. Ho fatto progetti, mi sono disperata, ho stretto amicizie, le ho perdute. Fino al momento in cui è diventato tutto più chiaro: abbandonare Vicenza significava abbandonare un’idea di creazione attraverso la scrittura. Non so perché ma è stato così. Oggi tutti desiderano scrivere, molti lo fanno, sembra facile, meno semplice è crearsi gli strumenti adatti, far crescere un talento mai affinato. Così ho lasciato Roma per Milano e Milano per Vicenza, la mia città. Ora esploro le mura del mio studio. Il resto lo trovate sul suo sito rossellapretto.com

Karen Blixen, Il racconto del mozzo

Di Rossella Pretto

Sembra arrivato il tempo giusto per parlare de Il racconto del mozzo, contenuto nei Racconti d’inverno della Blixen. Sembra giunto il momento di andare per mare e farsi trascinare dalla malia delle onde, dalle notti chiare su cui spira la brezza salata, e affacciarsi giù dalla nave, insieme a Simon, per incappare nella ragazza ideale, quella che si trova quando meno la si cerca; quella che, ferma al di là di una siepe, alla domanda “Chi stai aspettando?” risponde: “L’uomo che sposerò, naturalmente”.

Tredici o quattordici anni, smilza come un’anguilla, il visetto lentigginoso e due trecce che le corrono per il collo. E’ un incontro del destino che ha le ore contate; i ragazzi si vedono due volte appena. Ma è quella promessa tragica e romantica di un bacio rubato – e subito i corpi si separano perché Simon, preso dalla frenesia di raggiungerla in tempo, ha ucciso un uomo e ora deve fuggire -, è la promessa di non sposarsi mai che incanta. Una vita impastata di sortilegi, quella di Simon, che deve fare i conti con presenze arcane, mitologiche, che tessono nodi e snodi della sua esistenza. Era ancora un bambino quando, la prima volta, vide a pochi passi da sé un falcone pellegrino. La seconda volta lo sciolse dai cordami della nave, ricevendone l’impressione che l’uccello fosse sempre lo stesso. La terza, il falcone assume fattezze umane, salva Simon dal linciaggio e si spiega: “Non mi hai ancora riconosciuta?”, gli dice la lappone, un donnone dall’atteggiamento maestoso, “Ma non puoi aver dimenticato il falcone pellegrino che si era impigliato nella drizza della tua nave, la Charlotte, mentre attraversava il Mediterraneo. Quel giorno il vento squassava la nave, e il mare era in tempesta, ma tu ti sei arrampicato sulle sartie dell’albero maestro per aiutare quell’uccello a liberarsi. Quel falcone ero io. Noi lapponi voliamo spesso a quel modo, per vedere il mondo. La prima volta che ti ho incontrato stavo andando in Africa a trovare mia sorella, la più giovane di tutti noi, e i suoi figli. […] Io ti ho beccato il pollice, quando tu mi hai presa; è giusto, quindi, che stasera mi ferissi il pollice per te”. 

Difficile che, nei racconti della Blixen, ci sia un genio benigno che unisce le mani degli amanti; quelli possono solo sfiorarsi e perdersi, ricordarsi e intrecciare i quieti fili del racconto di una vita eroica, in qualche modo, vissuta lungamente per non dimenticare; di una vita che lotta, affascinante, mortale e silenziosa. Berne bisogna, berne con Sunniva, la lappone, l’animale guida che sentenzia: “Hai ingollato un po’ di saggezza, perciò in futuro i tuoi pensieri non si perderanno tutti come gocce di pioggia nel mare salato”.Per sollevarsi sopra il caldo delle città si guardi il portento del mare, se ne segua la nenia: “La sera pallida lo circondava da tutti i lati, il cielo era lievemente roseo, il mare, calmissimo, pareva latte annacquato, soltanto lungo la scia delle imbarcazioni che andavano a riva si frantumava in striature di un vivido color indaco. Simon continuava a suonare: ma dopo un po’ quella musica cominciò a parlargli con tanta veemenza che lui s’interruppe, e alzandosi in piedi levò lo sguardo al cielo. E allora vide che la luna piena era già alta”. 
La luna del desiderio cui dare libero sfogo; qualunque conseguenza si debba poi affrontare. Ne vale la pena.