Giuseppe Manitta ha pubblicato due antologie sulla narrativa italiana per la casa editrice Mursia. Ha tenuto convegni in università italiane e in diverse università dell’Est dell’Europa. Ha pubblicato monografie e curatele su Boccaccio, sul petrarchismo del ‘500, su Leopardi e su Carducci. Recensioni sono apparse sulle pagine culturali di numerosi quotidiani (Corriere della Sera, La Stampa, Il Mattino, Avvenire, Repubblica ecc…) e su riviste specialistiche di italianistica come “Quaderni d’Italianistica” (Official journal of the Canadian Society for Italian Studies), “Annali d’Italianistica” (University of North Carolina a Chapel Hill), “Giornale Storico della Letteratura Italiana”, “La Rassegna della Letteratura Italiana”, "Oblio". Di poesia ha pubblicato “L’ultimo canto dell’upupa” (2011, con premessa di Giorgio Barberi Squarotti e introduzione di Carmine Chiodo), “Il giullare del tempo” (2013, con prefazione di Francesco D’Episcopo) e "Gli occhi non possono morire" (2018, con prefazione di Corrado Calabrò). Per la poesia e per la critica ha ottenuto vari riconoscimenti in alcuni premi letterari: Premio Borgo di Alberona, Premio Città di Adelfia, Premio Ercole Patti, Certamen Apollinare, Premio Tulliola, Premio Tra Secchia e Panaro ecc… È caporedattore della rivista “Il Convivio”, è stato caporedattore e tra i fondatori della rivista "Cultura e prospettive" (Classe A dell'Anvur) e collabora, inoltre, a varie riviste di italianistica tra le quali “La Rassegna della Letteratura Italiana”. Cura la bibliografia leopardiana per il Laboratorio Leopardi dell’Università La Sapienza di Roma.

Di Giuseppe Manitta

Alberto Pellegatta, “Ipotesi di felicità”, Milano, Mondadori, Lo Specchio, 2017, € 18,00.

Esiste in Ipotesi di felicità di Alberto Pellegatta uno scontro di forze che continuamente prendono forma, cambiano direzione, creano immagini e ossimori. Eppure il riferimento alla muraglia cinese descritta da Kafka, che l’autore fa propria all’inizio del libro a mo’ di premessa, può essere l’indicazione di un’arte che, tra solide fondamenta e piccole proporzioni, diventa un’indagine complessa. Si medita sull’inizio e sulla fine, sui rapporti umani, sulle tensioni, si considera la scrittura come necessità non solo estetica, ma anche biologica, sotterranea: “Invece che lasciare a altri – / invidiosi o stregati – il compito / di scrivere una motivazione / preferisco dirvi io stesso perché / prendere in considerazione il mio lavoro. / Non solo questo travestimento finale. / Magari gialla, come un fiume interrato, ma potabile”.

La metafora dell’interramento è simbolo di questa esplorazione nascosta, complessa, oltre l’apparenza e la superficie. Tale valutazione conduce da un punto di vista stilistico alla caratteristica principale di Ipotesi di felicità, ovvero la capacità di cambiare prospettiva, di piegarsi su se stessa o di estendersi e di condurre altrove rispetto a quanto si potesse ipotizzare. Questo avviene sia attraverso un capovolgimento di prospettiva in campo tematico, sia attraverso la chiosa ad effetto, in alcuni casi anche ironica. La frammentazione dei temi, e alle volte dello stile, diventa indicativa di un modo di vedere il mondo, cioè in Pellegatta avviene qualcosa di raro: l’essere consustanziale alla propria scrittura.

Ogni quadretto, o per lo meno quello che potrebbe sembrare tale, ogni prosa poetica (mi riferisco alla sezione Zoologiche), ogni parte è la rappresentazione di un esserci e di un essere. Questo procedimento, come potrebbe risultare ovvio dal dato stilistico, è chiaro in testi come Orsi, dove una descrizione apparentemente faunistica così si conclude: “Nonostante l’aspetto truce si fa accarezzare facilmente. Pur essendo un solitario, con il sopraggiungere dell’inverno diventa inquieto, perde l’appetito e si mette alla ricerca di una discoteca. Come ripetono le questure, è goloso di miele. Appena si accorge che cominciano a scarseggiare i ragazzi, non esita a intraprendere lunghe migrazioni”. Dalle strutture ora analogiche ora oppositive deriva l’effetto straniante, ma il risultato di lettura del mondo e dell’Io, come si diceva, vuole condurre proprio a questo: “menzogna e metafora usano lo stesso dizionario”, scrive Pellegatta. Chiara, dunque, la congiuntura: “mi guardi come fossi un imbecille / quando nelle stazioni di servizio / maturano i bulbi dei rimorsi. L’aria / cattiva circonda le verande in resina. / Un sorriso su tutti i bicchieri del mondo / ripara i nervi dal tartaro della mia generazione. / Non c’è coincidenza, è finito anche l’ultimo intanto”.

Nell’ultima sezione del libro, che ripropone testi giovanili, si scrive che siamo complessità elementare e l’indole visionaria prosegue anch’essa per legami analogici o per opposizioni. Questo carattere pregnante, indicativo, forte si manifesta in due occorrenze nelle quali si riportano frasi simili, legate alla felicità del titolo: “Per scrivere un numero sufficiente di versi / bisogna essere stati nervosi molti giorni // in ulcerata gioia”; e poi un’altra, tratta dai testi aggiunti in appendice: “…Siamo / spire ulcerate di felicità, siamo il calco / di cose prive di vantaggio”. Ecco l’incendio della poesia.

Ipotesi di felicità Book Cover Ipotesi di felicità
Collana Lo Specchio
Alberto Pellegatta
Poesia
Mondadori
2017
120., Brossura