Anita Mancia, nata a Roma, ha lavorato 20 anni presso l'Istituto Storico della Compagnia di Gesù come assistente bibliotecaria ed Archivista. Ha collaborato con la rivista storica dell'Istituto con articoli sulla Ratio Studiorum, la pedagogia dei gesuiti, i gesuiti presi prigionieri dai pirati e recensioni. Presso l'editore Campanotto di Udine nel 2007 ha pubblicato un volumetto di poesie.

Questo libro, La notte della sinistra, agile eppure profondo per gli interrogativi e le analisi che propone, appartiene a quel filone piuttosto variegato della riflessione sulle sconfitte della sinistra in questo ultimo trentennio, (penso per esempio a Orizzonti selvaggi di Carlo Calenda), tanto in Europa che in America con un importante excursus sulla storia e sulla politica dell’Etiopia contemporanea (Sempre colpa dell’Occidente: ombelico del mondo pp. 29-41).

Benchè i libri si leggano dal principio alla fine, consiglierei di leggere questo dalla conclusione, che lo mette in piena luce. Rampini inviato di “Repubblica” da New York, ricorda il suo articolo Alla mia sinistra che cominciava così: “Dove abbiamo sbagliato? Questa domanda mi insegue da anni ed è diventata più incalzante nell’estate del 2011. Mi viene imposta con forza dall’attualità in America dove seguo quotidianamente le difficoltà di Barack Obama. Più lo osservo, più mi convinco di questo: l’affanno del presidente che ha fatto sognare il mondo intero ha un significato generale. Mi costringe a fare i conti con la storia della mia generazione, con trent’anni di errori e di sconfitte della sinistra di cui sono partecipe e con la fine di un modello economico e sociale. Dall’America all’Europa….. non vedo emergere una via d’uscita progressista, equa, rassicurante, al nostro declino. Da nessuna parte al mondo. Stiamo attraversando qualche cosa di più serio di un semplice “ciclo negativo” dell’economia. È la Grande Contrazione: questo termine dà l’idea di un disastro che rimpicciolisce il mondo a cui eravamo abituati… Oggi esiste una risposta di sinistra a questa crisi?” (Conclusione p. 161).

La risposta a questa domanda in cui Rampini è coinvolto per ragioni biografiche dato che dagli anni settanta del secolo scorso ha militato nel partito comunista prima e poi nella sinistra che trova espressione fra l’altro, in “Repubblica”, è positiva, a condizione che la sinistra riprenda il contatto con il popolo, con quella che era un tempo la classe operaia, che esiste ancora anche se con un nuovo volto ( i fattorini di Amazon, le commesse negli ipermercati, i vigilantes, le infermiere negli ospedali, il personale di sicurezza degli aeroporti, la polizia, p. 11). Perché queste classi medio basse devono essere lasciate alla destra sovranista? Perché il popolo appartenente all’Italia e alle classi sociali più povere non è oggetto della stessa attenzione agli umili, agli immigrati spesso nordafricani, perché le periferie sono lasciate alle destre e la sinistra è sensibile solo agli ultimi da un lato, alle esigenze ed alla politica delle élites, all’establishment ed alle banche, ai top manager come Marchionne, invece che al suo tradizionale bacino di consensi?

Perché in Italia si è esterofili ed europeisti, e si è lasciata l’idea e la sostanza della nazione alle destre sovraniste, continuamente accusate di  essere portatrici di fascismo? In realtà l’Europa è formata di nazioni stabili e di antiche origini, mentre lo stato italiano si è formato tardi, nella seconda metà dell’ottocento ed è debole dalla sua fondazione, al contrario di quanto è avvenuto in Francia e in Germania. Perché la sinistra riacquisti forza e dignità occorre che si inquadri in uno stato forte (non necessariamente uno stato forte ed autorevole si identifica con il fascismo) e che i partiti politici che lo compongano e vi operano si legittimino a vicenda e si ascoltino (non come accade oggi ed è accaduto per il partito comunista e per la Democrazia Cristiana).  

Perché è importante l’excursus sull’Etiopia? Perché è l’unico stato dell’Africa che non ha subìto una colonizzazione da parte dell’Occidente, ma solo una occupazione al tempo  di Mussolini e si è schierato poi  con la Russia e la Cina. L’Etiopia ha messo in pratica una sua politica di dominio (dall’antichità è stata un impero) di neri sui neri. Oggi il suo capo politico Abyi è interessante per il suo avvicinamento alla Cina che si è impegnata a costruire infrastrutture in Etiopia alle sorgenti del Nilo, mentre ha chiesto all’Italia di impegnarsi nella realizzazione della ferrovia da Addis Abeba a Massaua, sempre che l’Italia sia favorevole a questa richiesta, altrimenti subentrerà la Cina che sta entrando in Etiopia a due livelli, cinese filo-governativo e di emigrazione individuale dalla Cina di persone che entrano in contatto diretto con il popolo etiopico(p. 39).

La politica dell'”aiutarli a casa loro” non è sinonimo di egoismo. Se Abiy non avesse successo e lo sviluppo e l’equilibrio etiopico si frantumassero è prevedibile che degli etiopi andrebbero a ingrossare le file degli emigranti dal paese e richiedenti asilo, mentre per ora accolgono quattro milioni di immigrati di stati subsahariani. Rampini esamina a fondo gli slogans e fake news di cui la sinistra si nutre in un contesto quanto mai ampio, dall’America all’Europa, a Francia, Germania e Italia. Fra le pagine più interessanti  quelle dedicate ai social network di Facebook e più in generale di internet (Internet ha sempre ragione pp. 111-123). Rampini osserva che “di sicuro oggi c’è un calo generalizzato e costante della nostra capacità di concentrazione, astrazione, riflessione, approfondimento. Alcuni prevedono che stia per tradursi in un abbassamento collettivo del quoziente di intelligenza” p. 119).

Anche la politica di Trump è fatta oggetto di indagine e spesso l’autore lo considera come un toro innanzi al quale la sinistra sventola un drappo rosso a seconda delle situazioni che si producono (per esempio i bambini separati dai genitori che tentano di entrare oltre frontiera in territorio statunitense). Non sempre queste situazioni sono il prodotto della politica di Trump che è stata gridata, ma anche di quella di Clinton e di Obama, più discreta, ma più ipocrita perché anche durante la loro amministrazione i bambini erano separati dai genitori. L’immigrazione non solo può, ma deve essere regolata, pena il disfacimento della natura degli stati soggetti al fenomeno migratorio. I poveri non perché poveri devono entrare negli stati senza rispettarne le regole. Infine va ricordato il bel capitolo sull’ecologia Ambientalisti con la Tesla da centomila euro (pp. 125-139). Rampini ci traccia un ritratto aperto di una sinistra moderata, non portatrice di luoghi comuni (per esempio quello che gli immigrati pagheranno le nostre pensioni, e che fanno i lavori più umili, quelli che gli italiani diplomati non vogliono fare). Un libro serio, aperto, libero da schemi ideologici finché possibile. Ci disegna così il modello di intellettuale impegnato:” l’intellettuale impegnato, per essere utile a qualcuno, non dovrebbe essere prevedibile, scontato, sempre schierato dalla stessa parte, cioè fazioso e rituale nell’invettiva o nell’elogio” (conclusione, p. 163).

Esempio di questo carattere ora piuttosto raro in America è Toni Morrison, presidential medal for freedom al tempo di Obama. Scrive Morrison”Tutto ciò che ho fatto nel mondo della scrittura puntava a espandere l’articolazione, non a chiuderla; ad aprire porte… a lasciare il finale aperto per la reinterpretazione, la rivisitazione, l’ambiguità… Non scrivo manifesti o volantini”. (p. 163). Questo è l’ideale anche di Rampini che ci lascia in un libro aperto e non fazioso. Utile perché la sinistra, per quanto sconfitta, è sempre parte del patrimonio culturale comune europeo ed americano. Sicché vale la pena occuparsene.

La notte della sinistra. Da dove ripartire Book Cover La notte della sinistra. Da dove ripartire
Federico Rampini
Politica
Mondadori
2019
168 pp.,