Luca Morettini Paracucchi, nato il 24 febbraio 1988. Lucchese da tutta la vita, Viterbese da qualche tempo. Ho una passione molto forte per ciò che riguarda il cinema, la letteratura, la musica, il mondo dei fumetti e dell'arte in generale. Tra le mie passioni hanno un posto di rilievo il mondo del punk e certi aspetti della cultura cosidetta nerd. Scrivo da quando avevo otto anni, recentemente ho ripreso dopo un periodo di stop. Spero sia la volta buona

Si dovrebbe iniziare a tener presente che un nome, benché noto ed importante, non è sempre sinonimo di qualità, ma che questa qualità va rappresentata e dimostrata. Il caso di Dario Argento in questo senso è emblematico: il suo nome è subito seguito dall’appellativo “maestro del brivido” e se alla mente e nel corpo echeggiano i bellissimi sussulti paurosi di capolavori quali “Suspiria”, “Quattro mosche di velluto grigio” e, ovviamente, “Profondo rosso”, in effetti tale titolo sarebbe pienamente meritato. Ma questo significherebbe non prendere atto del fatto che lo stesso Argento non azzecca più un film da quasi trent’anni e, non pago, ha infangato il suo nome di opere imbarazzanti o, quando le cose sono un pelo migliori, ridicole.

Sembra quasi la triste e ritrita storia di un qualsiasi artista, sia esso in ambito cinematografico, letterario o musicale, di cui solo gli esordi sono migliori, belli e colmi di genio e che con il passare del tempo perde smalto, originalità e trascorre il resto della sua carriera a non avere più niente da dire o a dirlo male, ma se così fosse qualcuno dovrebbe fornire spiegazioni esaurienti e convincenti su “film” quali “Il cartaio”, “Giallo” o “La terza madre” perché io, onestamente, non riesco a non descriverli con aggettivi poco simpatici.
Capirete quindi che certi pensieri mi sono passati nella testa quando sono andato ad acquistare il numero 383 di “Dylan Dog” dal titolo “Profondo nero” che riportava, sulla copertina luccicante nel suo effetto argentato (ovviamente), con fare molto fiero, “scritto da Dario Argento”. Perché una volta che stringi il volume tra le mani e la curiosità che ti ha spinto ad acquistarlo svanisce tanti sono gli interrogativi a riguardo, uno su tutti il seguente: ce l’avrà fatta, almeno questa volta, il vecchio Argento a scrivere qualcosa di, se non bello, decente?

Senza alcun indugio lo possiamo urlare a squarciagola, meglio ancora se appena finito di leggere l’ultima pagina: SI! Sarà che di per se un fumetto non è un film e che quindi, sulla carta, la fantasia si concede il lusso di certi voli a briglia sciolta che su grande schermo, solo certi ampi budget possono permettersi, ma è anche vero che quando c’è una buona scrittura e una buona storia tutti gli effetti speciali di questo mondo non possono rimpiazzare le belle idee. In questo numero Dylan Dog finisce per caso dentro ad una mostra di foto a tema bondage e sadomaso, rimane folgorato dalla modella ritratta che di nome fa Beatrix e una volta saputo della sua scomparsa decide d’indagare per ritrovarla e scoprirà una verità contornata da quelle che sono alcune classiche tematiche Argentiane, ovvero le deviazioni sessuali e il feticismo. Il tutto ben evidenziato dai disegni di un veterano importante del mondo “Dylan Dog” quale è Corrado Roi, il cui tratto caratterizzato da ombre nerissime e disegni scuri è l’ideale per una storia come questa in cui Dario Argento se la gioca bene e strizza l’occhio al modus operandi degli ultimi trent’anni del suo cinema riuscendo persino a piazzare, ogni tanto, qualche cosa che ricorda l’atmosfera dei bei tempi che furono tramite segmenti e sensazioni veloci.

Quasi un miracolo se si pensa alle enormi delusioni di chi si è apprestato ad ogni suo film recente con la speranza, naufragata alla fine della visione, di non assistere ad uno spettacolo peggiore del lavoro precedente. Scusate ma, per chi scrive, cose come “Il cartaio” o “La sindrome di Stendhal” rimarranno sempre come un groppo in gola difficile da digerire.
Ad ogni modo, per descrivere al meglio questo “Profondo nero” nulla mi torna più utile di un paragone che può apparire distante anni luce, ovvero la trilogia di film “I Mercenari”: un film di pura azione tamarra con attori simbolo di quel genere quali Stallone, Willis, Schwarzenegger, Norris, Van Damme, Gibson e chi più ne ha più ne metta sarebbe stato il capolavoro assoluto di tutti i tempi se solo realizzato negli anni’80 nel periodo di massimo splendore dei suoi protagonisti. Peccato non averci pensato prima. Vale lo stesso per questo numero di Dylan Dog. Peccato non aver pensato prima di far incontrare due grandi pilastri della storia dell’horror italiano, seppur rappresentato in due modi totalmente diversi. Sarebbe potuto nascere un qualcosa di veramente indimenticabile. Pazienza. L’importante è che questo incontro sia finalmente accaduto e, non mi stancherò mai di ripeterlo, che il risultato di ciò sia stato all’altezza di quelle speranze che solo chi è appassionato del cinema di Dario Argento sa quanto siano difficili da risollevare.

Profondo Nero Book Cover Profondo Nero
Dylan Dog
Soggetto: Dario Argento; sceneggiatura: Dario Argento, Stefano Piani; disegni: Corrado Roi; copertina: Gigi Cavenago
fumetti
Sergio Bonelli