Sono nato a Orvieto il 21 agosto 1985. Laureato in filologia moderna all'università della Tuscia. Sono giornalista pubblicista. Le mie passioni sono musica, letteratura e cinema. Amo le contaminazioni e la ricerca di nuovi stili da adattare a questa assurda modernità. Ho scritto anche un libro: Inverni. La città che muore, Sette Città editore

“No, ovviamente, probabilmente sarete tutti delle teste di cazzo che la televisione ha trasformato in pagine bianche, scritte ogni giorno e subito cancellate la notte”.

Comincia così il difficile rapporto tra Sandro e il suo interlocutore.
Il lettore può conoscere il mondo ultras, gli stadi, il calcio e tutto quello che c’è dietro. Può anche essere una persona che non ne sa niente e che magari vede quei ragazzi come feccia della società. Può, ancora, essere all’oscuro della loro esistenza.
In ogni caso, per leggere “Io, Ultras”, è importante liberare la mente da qualsiasi pregiudizio.

Sandro parla alle persone comuni. In pochi lo capiranno e lui lo sa. Il suo essere politicamente scorretto, a volte maleducato, assolutamente non diplomatico e fin troppo diretto, sono tutte prove da superare. La costruzione di un rapporto confidenziale. E per questo non c’è spazio per il pregiudizio. Dobbiamo leggere con l’umiltà di poter prendere qualcosa e accendere una riflessione.
Chi ha questo libro ha già superato la prima prova. Il resto verrà strada facendo.

Andando per citazioni cominciamo ad entrare nella logica di un protagonista che si posiziona su un piedistallo e parla ai comuni mortali da un mondo che non conoscono.

“Non sapete quello che c’è dietro, prima, durante e dopo ogni fottuta partita di calcio”.

Si arriva a parlare anche di violenza e di odio. Curioso l’episodio in cui si parla di un’opposizione nata da un malinteso. L’episodio scatenante si perde nel ricordo collettivo. Quello che rimane è una rivalità che deve essere onorata.
“Ve rendete conto ragazzi? L’odio tra noi e loro è nato da uno sbaglio!”

Da qui parte una riflessione che non solo comincia a collocare gli ultras nella società ma li rende, a volte, anche specchio della stessa società.
Sandro è un trentacinquenne veterano della curva Nord dello stadio Olimpico. Ultras della Lazio dagli anni ottanta. Racconta la sua storia fino al duemila. Anno del Giubileo di Roma e della vittoria dello scudetto. Ma le vittorie sono altre. L’amicizia prima di tutto. La lealtà e una che può sembrare dissonante ma che, alla fine trova il suo significato, la purezza.

“Non me dispiaceva stare dentro, ma se non fossi uscito non avrei mai incontrato Lei e allora la mia vita sarebbe stata veramente una merda”.

C’è sempre una Lei. Qui c’è Sara. Amata, rinnegata, amata. L’amore che è sempre pronto a fare una lista delle priorità. Cosa è più importante? Stare in pace tra le mura della propria storia individuale o vivere fuori, dove la pace non esiste?
A ognuno la sua scelta.

“Io sono quella storia e quella storia è me”.

La lettura scorre ed è sempre più importante cercare di capire senza giudicare.

“Verrà anche l’ora in cui gli altri parleranno di voi e, quando sarà, non vi piacerà per niente. Tutti, prima o poi, vengono giudicati”.

Si parla di calcio e, come spesso capita, per un ultras la parte di storia più esaltante coincide con il periodo più difficile della squadra.

“Sì, ragazzi, quello fu l’anno del -9. L’unica Lazio che riuscì ad esaltarmi (ero troppo piccolo per godere dello scudetto del 1974) e che anche adesso ricordo con grande nostalgia”.

 

Vicende paragonate a poemi come l’Eneide e l’Iliade. Un viaggio continuo nelle tenebre affrontando prove sempre più dure. Un cammino sempre ostacolato dal potere e per questo ancora più esaltante.

“Braveheart è come la parabola di Davide e Golia , per capirci”.

Nove punti di penalizzazione e se poi la Lazio ce l’avesse fatta a salvarsi loro, da perfetti falsi quali sono, avrebbero applaudito fino a scorticarsi le mani. Se invece la Lazio fosse retrocessa, gli stronzi avrebbero detto: “Visto? Noi l’avevamo detto”.
Fottuti bastardi, eh?
Ma trovarono un gruppo di stronzi ancora più stronzi di loro.

Quell’anno, nonostante Sara, avevo fatto tutte le trasferte, mi ero subito innamorato di quella squadra, così poco spettacolare ma così folle e ribelle da ribellarsi al potere dei Più Forti.

Prima ci siamo ripresi la serie B con le nostre mani e nient’altro, Noi a mani nude, voi con i manganelli e gli scudi, i lacrimogeni e le pistole. Noi con i nostri ideali, voi con i vostri soldi e i vostri sporchi giochi.

Poi vi abbiamo dimostrato che anche sul campo ci meritavamo la serie B. Ci siamo salvati con la nostra squadra di uomini veri e non di mercenari”.

Non era una questione di categoria, spettacolo e prestigio della Lazio. L’orgoglio del popolo laziale era quello di avere in campo una squadra folle e ribelle.

 

Il racconto è un fiume in piena. Una scrittura schietta, decisa e minimale con qualche punta di romanesco giusto per ricordare il contesto.

“Sapevo che potevo anche andare in prigione, non ero mica stupido. Vi dirò di più, ragazzi: non avevo paura di finire dentro. Non ho mai avuto paura di niente, nella vita, soltanto della morte (e, vabbè, della retrocessione della Lazio)”.

Ma volete mettere cari eterni annoiati? Secondo le vostre menti addormentate dovrei rinunciare a questi rischi? Rinunciare a questi rischi, ragazzi miei, vorrebbe dire anche rinunciare alla mia vita: all’adrenalina che scorre a fiumi, alla splendida emozione di girare per l’Italia inseguendo qualcosa in cui si crede e insieme alla gente che si ama, ai propri fratelli.

Ultimi romantici e puri in una civiltà schifosa che vorrebbe la clonazione del persone e delle idee”.

Questa è la purezza a cui fa riferimento il protagonista narratore. L’essere veramente se stessi, senza farsi influenzare e senza ipocrisia. Questo potrebbe essere un problema per i sostenitori dello status quo, qualunque esso sia. Avere un’idea propria, non clonata, potrebbe diventare pericoloso.

“I giornalisti fanno il loro lavoro, sono pagati per mentire e per tirare su la notizia anche dove non c’è: li posso anche sopportare”.

E’ una storia di ultras e non possono mancare gli scontri. I gruppi possono essere legati o ostili tra loro. Uniti o separati da un ideale. Uniti o separati da amicizie comuni. Uniti o separati dal caso o, come abbiamo visto, da un errore. Una cosa è certa, se sarà necessario nessuno esiterà di fronte allo scontro fisico.
Nel caso degli scontri con la polizia, però, Sandro ci rivela che la prima mossa viene fatta dallo Stato. I casi sono due: incapacità o premeditazione.

“Ovviamente quello è solo l’inizio della fine: una manganellata sparata in faccia a un camerata – ma anche a un compagno o più in generale, a un ultras – DEVE essere vendicata- E allora ecco che parte il casino. L’ultras non è carne da macello, l’ultras è uomo, l’ultras risponde agli abusi, non abbassa la testa”.

 

Da questo momento in poi si entra in un circolo vizioso in cui alcune persone vengono collocate al di fuori della società. Nell’immaginario dell’opinione pubblica i ribelli devono essere messi ai margini.

“Noi non siamo il male della società, noi siamo una parte della società stessa”.

Questo è il punto in cui il discorso di Sandro comincia a far riflettere il lettore. Il calcio e la parte estrema del tifo è una metafora.

“Il mio sogno è vedere la gente unita per combattere per i propri ideali, senza paura. Anche se poi non si ottiene niente, non è importante: l’importante è combattere, alzare la voce, non scendere a compromessi.

Per me le vittorie sono altre. La mia vittoria è la vittoria della gente laziale, la mia vittoria è quella di vincere sugli spalti e sulle barricate. Combattere contro chi ce mette i piedi in testa e prenderci quello che ci tolgono i prepotenti.

Noi ce ne freghiamo di quello che dice la gente, noi andiamo avanti per la nostra strada, senza farci intenerire né influenzare. Chi si ferma è perduto.

Questo clima di caccia alle streghe sta rompendo le palle a tutti.

Dietro di noi ci sono valori importanti. La lealtà, per esempio”.

C’è anche un momento di scontro con gli hooligans inglesi. Una di quelle immagini viste e riviste del centro di Roma trasformato in campo di battaglia.
Qui uno dei più significativi aneddoti sull’amicizia dove gli amici si preoccupano l’uno per l’altro, si cercano e si difendono a vicenda.

“Solidarietà tra sfigati” direte voi. E io vi dico che siete i soliti superficiali del cazzo. Perché, esiste la solidarietà tra fortunati? Trovate solidarietà nel vostro Tennis Club o nella vostra discoteca alla moda?

Se sei ultras non sarai mai solo”.

Essere messi ai margini dal sistema non è solo un problema di comunicazione e di opinione pubblica. Vuol dire anche essere vittima di soprusi.

“Quella volta abbiamo dovuto abbozzare, non abbiamo potuto rispondere con le nostre armi e per un po’ mi sono anche sentito impotente e frustrato nei confronti di chi, invece di calmare gli animi, non fa altro che accenderli”.

In questo caso Sandro parla di un episodio grave vissuto in prima persona. Un episodio violento voluto e messo in pratica da chi dovrebbe rappresentare le istituzioni.

“…adesso, dopo che avete saputo tutto quello che vi ho raccontato, siete ancora felici di vivere in Italia, in questo paese dove l’ingiustizia la fa da padrona? Spero che vi cominci a venire qualche dubbio: su quello che fate, su quello che vedete in televisione, su quello che leggete.

Io vivo in stato di assedio e come me ci sono migliaia di persone nelle mie condizioni”.

 

“Fatti e personaggi del romanzo sono di pura fantasia…” si legge all’inizio. Ma la prepotenza e le ingiustizie esistono e sì, per chi non lo sapesse, è anche lo Stato a commetterle. Qualunque sia la chiave di lettura, l’importante è cogliere gli elementi e accendere la riflessione.

Arriviamo al finale. E’ il duemila, l’anno del Giubileo. La Lazio si gioca lo scudetto all’ultima giornata. L’avversaria è la Juve e quei Gobbi che hanno sempre la strada spianata e che sono lì grazie a favori arbitrali. Ma il punto è un altro. Sul tetto d’Italia o negli inferi della retrocessione, gli ultras non cambiano di una virgola.

“A me del risultato non me frega un cazzo, anzi, vi dirò che preferivo il pubblico di quella Lazietta che veniva umiliata in ogni stadio d’Italia che quello di adesso, che s’è imborghesito perché abbiamo una squadra forte e si permette pure di non tifare.

Il terzino che si rompe il culo sulla fascia e che ha due piedi come due ferri da stiro, me piace molto di più della punta da quaranta gol che poi in campo se nasconde”.

Nell’ultima pagina il rapporto tra Sandro e il lettore è finalmente solido. Il protagonista saluta il proprio interlocutore con un abbraccio.
Nelle ultime righe si esce anche dalla metafora calcistica.
Perché non è una squadra. Non è il calcio. Non è quello che succede fuori. L’importante è essere uomini fino in fondo. Cercare la verità. Lottare.

“Adesso siamo campioni d’Italia, tutti stanno a godere e a Roma sono tutte feste e bandiere alla finestra. Lasciateli godere per qualche mese e poi torneranno da dove sono venuti. La domenica andranno al cinema o a Fregene, oppure a scopare con le loro pischelle. Mentre noi, invece, andremo a Bergamo in cinquanta, a Brescia in trenta, a Napoli in quaranta. Senza ‘na lira, senza la sicurezza di tornare a casa tutti interi, senza gli applausi di nessuno.

Alla fine questa è la mia gente, non quella delle feste-scudetto con la porchetta in piazza, non quella che preferisce vedere la partita in televisione invece di andare allo stadio che magari c’hanno pure sotto casa.

Io appartengo a quelli che danno tutto per un’idea, dicono che siamo in estinzione, forse sarò uno degli ultimi romantici.

Ma statemi a sentire bene, anche se magari della Lazio e del calcio non ve ne frega un cazzo. Se ve mettono i piedi in testa, se vi sentite pronti a fare la vostra parte per rendere più puro questo mondo, allora venite con me. Fate come me, create un movimento, aggregatevi a qualcuno che la pensa come voi (non importa se nero, rosso o fucsia) e andate alla conquista del mondo.

La vostra vita non sarà migliore, non ve lo posso garantire. Però vi garantisco che sarà vera”.

ANDREA ARENA

Andrea ha scritto “Io Ultras. Padrone del pallone” a 23 anni.
Per Stampa Alternativa ha scritto anche “Botte e Risposte. Gli slogan del derby Roma-Lazio”.
Ci ha lasciato da pochi mesi all’età di 39 anni. Era un giornalista. Uno di quelli intolleranti alla banalità. Poteva scrivere di qualunque cosa riempiendo di significato ogni riga.
Andrea era genio e sregolatezza. Si chiudeva nel lavoro con estrema dedizione e si faceva in quattro per la buona riuscita e per i colleghi. Sempre attento al dettaglio. Poteva scrivere decine di articoli e nonostante arrivava allo stremo delle forze, il suo ultimo articolo della giornata emanava la stessa freschezza e genialità del primo. Preciso, ironico, provocatorio e sempre sul pezzo. Estremamente sensibile aveva un rapporto intermittente con la vita. Restando in tema di metafore calcistiche me lo immaginavo come il protagonista di “Febbre a 90”: “Dopo un po’ ti si mescola tutto nella testa e non riesci più a capire se la vita è una merda perché l’Arsenal fa schifo o viceversa…”

Con lui ho condiviso diversi anni di lavoro in redazione. E quante domeniche, dalla mattina alla sera, a seguire tutte le vicende sportive della provincia. E quante Tennent’s la sera, stanchi ma soddisfatti, a guardare il posticipo della serie A.
Genio e sregolatezza” è anche la raccolta di tutti i suoi articoli dell’omonima rubrica che curava mensilmente su Meltinpot e Move! Ogni articolo un personaggio o un episodio del calcio. A cura del comune di Viterbo in edizione limitata di 500 copie. Spero venga pubblicata perché sarebbe un bel regalo al mondo. Anche qui il calcio è una scusa per parlare della vita.

Ho voluto ricordare Andrea rileggendo “Io, Ultras” e ho scritto la recensione perché vorrei che lo leggessero in molti.

Io, Ultras. Padrone del pallone Book Cover Io, Ultras. Padrone del pallone
Andrea Arena
Sport, calcio
Stampa Alternativa
2001
98