Carmine Maffei (Avellino, 1981). Musicista, autore e compositore, fonda la rock band Inseedia con cui pubblica Oltre il Muro (2005) e Secrets From The Room (2007 - Nomadism Records). Nel 2008 dà vita al suo attuale progetto musicale, gli Ordita Trama. Nel 2010 esce il disco "Ordita Trama" e nel 2017 Basta Soltanto Resistere, oltre al singolo L'Ignoto Ideale (Label Music). Appassionato da sempre di letteratura, ama leggere e collezionare libri, soprattutto romanzi. Attratto da tutto ciò che significa "cultura", ha un debole indiscusso per gli scrittori. Vive a Solofra (AV) con la moglie e due bimbi. Lavora nel settore conciario. Collabora con L'Ottavo dal novembre 2017.

Esistono delle analogie.
E molto spesso riguardano una, due o più cose che mai avrebbero collimato, né si sarebbero mai figurate nello stesso tempo o nello stesso luogo: esistono e basta.
Ciò di cui parlerò oggi mi interessa personalmente, perché nell’insieme di tutto ciò che si è appena finito di leggere, ci si è consumati nelle rimembranze di quello che potrebbe accomunarmi all’esperienza letteraria appena vissuta, e per questo mi spiegherò meglio.
Nel mezzo del mattino parigino del 1 gennaio 2006, mi ritrovai al Père Lachaise, dinanzi una tomba di umili fattezze, costituita da un blocco squadrato di granito, da cui si allungava un piccolo rettangolo di terreno incolto e brullo e su di esso, qualche bottiglia di cognac, vuota.
Quella sepoltura apparteneva al cantante, autore di una delle rock band più famose al mondo che, ovviamente conoscevo ma, non del tutto, perché proprio lui, il personaggio bizzarro che riposava a pochi centimetri da me non era riuscito, negli anni dell’adolescenza, a sedurmi a tal punto da interessarmi, e questo semplicemente perché ero della convinzione che fosse un tipo matto. Punto.
Fatto sta, però, che al ritorno a casa riascoltai L.A. Woman, e poi Waiting for the sun e poi lessi biografie e vidi esibizioni su esibizioni…fino a che la seduzione avvenne, e fu molto più violenta di ciò che avrebbe potuto rapirmi da teenager.
Ventuno anni prima, sempre in Francia, ma a Nizza, un ragazzo di diciotto anni si trova al Westmister Hotel, nel cui ascensore incontra un tipo bizzarro anch’egli, un po’ avanti con gli anni, vestito malaccio, non proprio pulitissimo, capelli raccolti in un codino, sguardo trasognato, una sigaretta tra le labbra. Appena si riaprono le porte e i due sconosciuti si separano, il ragazzo corre subito a prendere informazioni sull’uomo, il cui inspiegabile fascino lo ha soggiogato, e non si sbaglia: è un cantante famoso, en France e in tutto il mondo, una star vera e propria, impegnata nel tour del suo ultimo album. Perciò corre a comprare il suo lavoro discografico, Love on the beat, e da lì scoppia un sentimento incontrastabile, forse inevitabile, perché altamente, del tutto concepibile, comprensibile.
La star francese è Serge Gainsbourg.
Il ragazzo con Love on the beat sul piatto è Boris Battaglia.
Oggi Battaglia è un uomo di cinquant’anni, e il ricordo di quell’esperienza a Nizza gli ha cambiato l’esistenza, di certo non introducendolo nel mondo della musica, di cui è già un appassionato davvero temibile, ma arricchendo quello di cui sopra potrebbe davvero essere pensato come un percorso con tappe obbligate, nei cui steps corrispondono delle date, dei compositori, degli eventi, delle storie che lui stesso ci racconta con un’ottima dose di entusiasmo, nato dallo studio musicale, teorico e pratico che ha elevato la qualità della sua scrittura, che realmente tocca punti al di sopra di ogni aspettativa.
Gainsbourg. Niente è già tanto (Armillaria Edizioni), questo saggio storico/musicale/biografico è un piccolo tesoro che dovremmo custodire con gelosia, perché potrebbe sempre far parte della nostra più preziosa collezione dei volumi che hanno diffuso preziosissime informazioni, formandoci nel bene.
Il libro parte con un’introduzione da applausi: uno studio dettagliato di ciò che ha evoluto la musica; il famoso salto di generazione in generazione che ha estirpato questa disciplina dalle proprie radici classiche, catapultandola nei territori moderni di oggi.
Sono citati il pianista David Tudor e John Cage, con la sua opera costituita da 4’33’’ di silenzio in sala, il cui mormorio del pubblico insospettito rende chiara la musica che c’era da aspettarsi; George Gershwin e la sua Rapsody in blue, che fonde la musica classica a quella moderna; la musica che sentiamo è una nostra creazione, chiarisce Battaglia, dipende dall’interpretazione che il nostro cervello ne fa, e poi ancora, onde meccaniche create dalla vibrazione degli strumenti che, attraverso il sistema uditivo, vengono tradotte in onde elettriche che i neuroni del cervello traducono in informazioni. Informazioni che, attraverso l’interfaccia cognitiva del nostro vissuto psichico, fisico e culturale, vengono interpretate in strutture complesse di significati e concetti..
Ragionamento che fila perfetto.

La musica è qualcosa che dovrebbe essere interpretata come una delle esperienze più ovvie e naturali che esistano, perché inevitabilmente legata, con l’autenticità delle canzoni, a momenti particolari della nostra esistenza, che è composta da piccole, medie, grandi parentesi, ognuna di esse sottolineate dalla varietà di canzonette, ossia composizioni che lasciano il tempo che trovano, poi s’impongono, poi scompaiono, ma alla fine restano, allo stesso tempo, nelle menti di chi non può mai più dimenticare, perché indelebili, insostituibili.
Una sorta di concetto capitalistico a cui Serge Gainsbourg non intende sottomettersi e, nell’occasione propizia della creazione del suo alter ego indemoniato denominato Gainsbarre, rinuncia ai dettami tradizionalisti e fonde l’eccesso con l’irreversibilità, arrivando a ricrearsi come un filosofo punk, che è più di un Mister Hyde, più di Ziggy Sturdust…è soltanto sé stesso senza freni ideologici di massa.
Beh, però diciamoci la verità: Jane Birkin, la sua musa, lo aveva abbandonato.
Jane è l’altra interprete del famosissimo brano Je t’aime…moi non plus, che regalò a Gainsbourg il meritato successo, che comunque sarebbe inevitabilmente arrivato qualche anno prima, perché la stupenda composizione fu in origine interpretata da Brigitte Bardot, simbolo sessuale dell’epoca, con cui ebbe una storia intensa, ma che terminò tutto nel giro di pochi mesi, quando l’attrice non diede il consenso alla pubblicazione, perché impegnata in una relazione a dir poco importante.
Eppure Serge Gainsbourg, nome d’arte di Lucien Ginsburg, figlio di esuli russi di origini ebree, nato a Parigi nel 1928, non ha, prima di allora, il giusto riscontro, perché sono proprio il suo forte ego, la sua personalità unica e combattiva che lo portano a confrontarsi con il disinteresse di un pubblico forse troppo giovane, figli di Tous les garçons et les filles e Love me do; oltre che, sull’altro versante, di una schiera di ascoltatori troppo maturi e tradizionalisti, poco pronti per ascoltare un artista troppo esplicito, volgare e ubriacone, che con i suoi testi infangava gli ascolti più raffinati.
Ma infine, senza essere ripetitivi, è nel brano Je t’aime…moi non plus, che Gainsbourg concretizza tutta la teoria nell’interpretazione della sua opera omnia, dove non sempre ciò che si ascolta è esattamente ciò che il pubblico crede di aver inteso, bensì è il senso ermetico delle frasi che differenzia un poeta dotato da uno semplicemente scontato, combattendo e vincendo così sugli stereotipi radiofonici, o meglio ancora, stereofonici a cui vorremmo per forza essere abituati.
Ci spiega ancora Boris Battaglia:
In questa canzone, in cui la parola amore è l’unica che non trova mai una rima se non con sé stessa, Gainsbourg usa magistralmente quella che è l’essenza della musica pop: la capacità di concretizzare in una struttura narrativa iperlinguistica e ultrarazionale gli aspetti istintuali, alogici e prelinguistici, sentimentali se vogliamo, che appartengono alla natura dei nostri comportamenti. E lo fa cantando quello dei nostri comportamenti che è il più irrazionale e al contempo iper-razionalizzato attraverso il linguaggio: il sesso.
Quindi la negazione della canzone popolare per antonomasia, fusa all’interpretazione/cristallizzazione di un testo che riduca all’osso tutto ciò a cui saremmo abituati a sentire, soltanto per il nostro benessere pudico, danno vita alla creazione pop e antipop più interessante che possa esistere, facendo leva sulle ossessioni sessuali che accomunano i comuni mortali, suscitando curiosità, svaghi, amplessi consumati in fretta, arrivando addirittura a immaginare i due artisti i quali, mentre interpretano il testo, sussurrando, si palpeggiano e iniziano un rapporto sessuale.
Apoteosi di una carriera.
Ma Gainsbarre, l’alter ego che tanto alter proprio non era, prende il sopravvento, e Serge fuma sempre più, ed è sempre più ubriaco, fatto, sfatto, stanco, furioso, depresso, quindi più intelligente, più sensibile.
Il suo è un lentissimo suicidio.
Difatti, sei anni dopo l’incontro in ascensore con Boris, il nostro eroe ci abbandona.
Boris, difatti, incontra già il suo fantasma, la sua ombra, probabilmente l’ombra del suo sepolcro creativo e terreno.
E anche io incontrai, durante quel freddo Capodanno, a Parigi, al Père Lachaise, colui che mi scrutò tra le assi della sua cassa, al di sotto di quel terreno incolto e duro, tra i riflessi di bottiglie sporche e vuote, e che si rivelò come mai avevo pensato di immaginare: un culto.

Gainsbourg. Niente è già tanto Book Cover Gainsbourg. Niente è già tanto
Boris Battaglia
Biografia, biografia musicale
Armillaria Edizioni
2018
170, ill