Giovanni Pannacci ha scritto per la pubblicità e il web, tiene corsi di scrittura creativa e insegna lingua e cultura italiana agli stranieri. Come autore ha curato varie antologie e suoi racconti sono stati tradotti anche all’estero. Ha pubblicato la biografia di Paolo Poli “Siamo tutte delle gran bugiarde” (Perrone) e i romanzi “La canzone del bambino scomparso” (Perrone) e “L’ultima menzogna” (Fernandel).

Che Alessandra sia una bambina speciale lo si capisce subito, non tanto per come appare (è grassoccia, porta i capelli corti e spesso la scambiano per un maschio) ma per come guarda il mondo. Dentro la sua testa è tutto uno scoppiettio di idee e pensieri poco convenzionali che la portano a mettersi costantemente nei guai. Di lei colpisce soprattutto il candore e la naturalezza con cui si infila in situazioni esilaranti per il lettore ma un po’ meno per i suoi genitori. Ecco, i genitori. Siamo nel pieno degli anni ottanta e io non so che avrei dato per avere un padre sosia di Magnum P. I. e una madre che sta a metà fra Jane Fonda e Sabrina delle Charlie’s Angels, Alessandra, invece, si sente costantemente inadeguata rispetto a questi genitori così perfetti e brillanti, che pure la amano profondamente. Le cose cambiano per tutti quando il padre decide di accettare un lavoro da dirigente e la famiglia lascia Roma per trasferirsi a Torino, o meglio, alla periferia di Torino, in una zona residenziale di nuovissima costruzione che ad Alessandra pare un villaggio Mattel. È in questo mondo dell’alta borghesia, fra giovani incartati nei loro Moncler fluorescenti e signore addicted all’aerobica, che Alessandra si aggira inventandosi come può strategie di sopravvivenza, sempre più consapevole di essere un elemento dissonante in tutta questa patinata e finta bellezza. Si capisce subito che Alessandra ha una marcia in più e che ce la farà alla grande, in fondo lo sa anche a lei, perché nonostante le umiliazioni le delusioni e gli inevitabili momenti di sconforto, non perde mai quel suo piglio un po’ eversivo di ragazza coraggiosa e determinata. A non capire le sue potenzialità sono invece i compagni e le compagne, specie le due Elena, una coetanea e una più grande, di cui Alessandra – in momenti diversi del romanzo – si innamorerà, cominciando così a capire anche qualcosa in più di quello che sarà il suo orientamento sessuale futuro. Alessandra è un personaggio indimenticabile, a tratti goffo, a tratti tenero e saggio, capace di farti fare sonore risate e anche di commuoverti. Vorresti dirgli qualcosa tipo: tranquilla, Ale, un giorno tutto questo dolore ti sarà utile, diventerai una ragazza coi fiocchi e io lo so, lo so benissimo, perché la tua storia futura la conosco, l’ho già letta, sta in un libro che si chiama “Non ci lasceremo mai”, e che racconta di te da grande…
Ecco, allora la prima cosa che vorrei chiedere all’autrice è proprio questa.

Nel romanzo di debutto (vincitore, fra l’altro, del premio John Fante opera prima) racconti la storia di Alessandra già giovane adulta, come è nata l’idea di scrivere questo prequel?

Con “Non ci lasceremo mai” avevo la sensazione di non essere andata abbastanza in profondità nel senso botanico del termine, avevo cioè la sensazione di non aver toccato le radici: come si forma l’identità di un essere umano? quali sono i modelli di gender che ci ispirano o che ci respingono? a quali regole obbediamo e a quali ci ribelliamo, spesso senza esserne consapevoli? come accade che il nucleo pulsante delle nostre reazioni emotive si cristallizza in un carattere?
Io sono una grande appassionata del “Catcher in the rye” di Salinger (Il giovane Holden, nella traduzione italiana): è un libro che mi ha formata, ma non ho mai pienamente accettato che il protagonista finisca in un ospedale psichiatrico. Forse è un po’ naive da parte mia, ma quel finale mi lascia l’amaro in bocca: perché le persone ipersensibili devono per forza finire male? perché la diversità non può essere vista come una risorsa?
Anche io sono stata un soggetto “a rischio”. E anche io, come Holden Caulfield, mi sono giocata l’infanzia e l’adolescenza in una guerra senza fine con i coetanei, i genitori e i professori, ma poi ce l’ho fatta a trovare il mio modo per stare in questo mondo. Avevo insomma bisogno di un riscatto, sia per Holden Caulfield che per tutti i suoi lettori (pare che sia il libro più letto dai sociopatici). Un riscatto, però, che non passasse tanto per l’happy end quanto per il suo significato etimologico: re-ex-capto, ovvero recuperare pagando. C’è sempre un prezzo da pagare per il riscatto, e quel prezzo, quella moneta, è il valore che tu ci metti dentro. È il valore che vedi nelle cose che fai, nei passi che ti hanno portato a essere quello che sei, c’è un valore là dentro, e se lo vedi puoi riscattarti, cioè puoi riportarti a casa. Alessandra all’inizio non riesce a vedere il suo valore. È soffocata dai cliché culturali, dal fascismo dell’estetica e delle griffe anni 80, dai modelli di gender in cui lei non viene riconosciuta (prima ancora che non riconoscersi), eppure lei una sua forza ce l’ha, una sua bellezza ce l’ha. Tutto il libro è la strada che percorre non per formarsi (come nei classici romanzi di formazione), ma per vedere il valore che c’è in lei. Qualcuno la aiuta: una professoressa che scommette sulle sue abilità narrative, un compagno di banco un po’ geniale (e quindi altrettanto sociopatico) con cui inizia un album di figurine con storie e curiosità sugli animali, un maestro di tennis che in lei vede la grinta giusta, e poi vari estranei gentili che sono figure ricorrenti nella mia vita (come in quella di chiunque, anche se di solito non fanno notizia).

In effetti Alessandra incontra nel romanzo diversi adulti, sia uomini che donne, un poco strampalati e non convenzionali, eppure tutti sono molto amichevoli e protettivi con lei, ben più dei suoi coetanei, che invece le causano diverse sofferenze. Quanto possono essere pericolosi i bambini per gli altri bambini?

I bambini sono crudeli: possono spezzarti il cuore e riderci sopra senza sospettare minimamente che cosa ti stanno facendo. Questa è quella che noi chiamiamo purezza dei bambini. La troviamo anche negli animali, che infatti vivono sempre all’erta, sempre con le orecchie tese, con grandi falcate per la difesa e l’attacco. I bambini non sono mai al sicuro quando stanno fra bambini, perché fra bambini vigono le stesse regole della giungla: il più forte vince, il più debole perde. I belli hanno successo, i brutti vengono allontanati dal gruppo, quasi nel timore di un contagio. Ma non si tratta di cattiveria innata, piuttosto è il risultato di una serie di pressioni che angosciano moltissimo i bambini, privi come sono di strumenti di difesa e di elaborazione: parlo della pressione sul dover essere, di cui Salinger è stato l’interprete più brillante dei nostri tempi. Una pressione che prende forme diverse a seconda della cultura e dell’ambiente famigliare, dei gruppi di appartenenza, ma per tutti esercita lo stresso straniante potere. Lo stesso vale per i modelli maschile/femminile, che altro non sono se non la declinazione di gender del dover essere.

In questo romanzo affronti il tema della sessualità dei bambini, ne parli senza reticenze, con molta naturalezza e in modo estremamente efficace. Sei pronta ad affrontare le polemiche delle varie sentinelle qualora un insegnante ti invitasse (come mi auguro) a parlare del libro in una scuola?

Se devo essere sincera, io provo rispetto per le sentinelle in piedi. Mi piace la forma rituale del loro riunirsi, quell’ordine, quella calma, quella candela accesa, mi piace il fatto che leggono libri (anche se di sicuro non leggiamo gli stessi libri), e mi piace il silenzio delle loro manifestazioni. Quello che non capiscono è che i bambini hanno il diritto di sapere che le regole a cui obbediscono non sono affatto naturali, ma sono il prodotto di una convenzione culturale: i maschi e le femmine che sognano di diventare sono un sogno preconfezionato, un binario tracciato non dalla natura del loro essere ma da ciò che la società, la religione e la cultura si aspettano da loro. Ma non si può nemmeno andare in classe a dire che quei modelli sono una bugia: forse l’unica cosa che possiamo fare è accostare a quei modelli altri modelli, e poi lasciare che i bambini ci guardino, che vedano le differenze, che a poco a poco ne saggino i contenuti, ed è per questo che il multiculturalismo è così importante. Quindi sì, sono pronta ad andare nelle scuole. Ma se non mi ci hanno voluta con Panino al prosciutto, il più bel libro di Bukowski, quando lo proponevo agli insegnanti tramite i Piccoli Maestri: tu dici che Alessandra ha qualche chance in più?

Più veloce dell'ombra Book Cover Più veloce dell'ombra
Federica Tuzi
Narrativa italiana
Fandango Libri
2018
254