Diploma maturità classica – Laurea in Giurisprudenza in 3 sessioni e mezza – Pratica legale – Pallavolista di successo – Manager bancario e finanziario – Critico musicale dal 1977 – 6 mesi esperienza radio settore rock inglese ed americano – Studi continuativi di criminologia ed antropologia criminale – Lettore instancabile – Amante della letteratura noir e “gialla “ – Spietato con gli insignificanti. Fabio è venuto a mancare nel maggio del 2017. Ma noi abbiamo in archivio molte sue recensioni inedite che abbiamo deciso di pubblicare perché sono davvero parte della storia della critica musicale italiana

Ma come fanno? Come possono, dopo 40 anni, uscire con un disco così sontuoso? Eppure lo fanno. A dispetto degli anni (tra 63 e 65 per Colin Newman e Graham Lewis, le due menti superstiti, dato che Bruce Gilbert è fuori dal 2006, sostituito dal giovane Matthew Simms). Qualcuno ha detto:”Aplomb melodico e nervosismo cerebrale” e questa mi sembra una definizione perfettamente centrata. E’ il loro 15° disco ed esce dopo il recente capolavoro di otto pezzi “Nocturnal Koreans“. Ma per chi ha prodotto roba della levatura di “154” (prima di tutto e tutti) e poi “Pink Flag“, “Chairs missing“, “Ideal copy“, “A bell is a cup.…”, “Read and burn“, “Object 47“, “Wire“, “Change become us“, non c’è da meravigliarsi. Sicchè, qui, possiamo dire che Lewis, in questo album, è più cupo ed ispirato di Newman e canta benissimo nei brani 1-4 e 7 da lui composti da solo, tra i quali, l’iniziale vapore di “Playing harp for the fishes” diventa aria spessa e travolgente nella progressione successiva che lascia di stucco; “Forever & A day” ha una cadenza suburbana e notturna che impressiona, attraverso un cantato cupo ed uno sviluppo melodico che non ti saresti mai atteso, dopo le asprezze post industrial iniziali e la musica oscilla come un pendolo implacabile nella tua psiche, attraverso gli attacchi cuspidali della chitarra di Newman, i loops ed i synth magistralmente orchestrati ed il basso e la voce di Lewis, come detto, perfetti. Chiude la terna, “This time” e fa venire i brividi solo come Lewis dice “This time” nel corso dello svolgimento del brano. Già perché la musica, beh, quella è insuperabile, come lo era già quarant’anni fa nei loro schemi onirici ed avanguardistici. Qualcuno li ha definiti “I Pink Floyd degli anni Ottanta e Novanta”, ma permettetemi di non essere d’accordo. Questi sono più grandi ma poco pubblicizzati, sono sfuggiti alle masse che ancora si masturbano sulle quattro noterelle del panciuto Gilmour, bollito almeno da trent’anni. Questa è musica vera, che si rinnova in continuazione e, da elettronica avanguardistica, è divenuto rock e pop sublime, ricco di svisate oscure e di scazzi sempre estremamente lucidi e coerenti. “Short elevated period” di Newman, come tutte le altre, composte da solo o col gruppo, è un pop con una brillantezza che fa gridare al miracol, mai scontato e sempre ricco di trovate strumentali. “Brio” e “An Alibi” corredano un disco sorprendente, sin qui il migliore da inizio 2017 a oggi, cosa che capita spessissimo con loro e che fa diventare gialli dalla bile tutti gli altri rockers, incapaci di un’ispirazione appena vicina alla loro. “Diamonds in cups” distilla veleni consapevoli con nonchalance incredibile e la conclusiva “Silver/Lead” congiunge la linearità di un pop evoluto con le genialità elettroniche che sono nel loro inimitabile corredo stilistico. Un grande disco ancora per i WIRE. Non mancatelo se già non lo avete preso

Silver/Lead Book Cover Silver/Lead
Wire
Rock alternativo
2017