Carmine Maffei (Avellino, 1981). Musicista, autore e compositore, fonda la rock band Inseedia con cui pubblica Oltre il Muro (2005) e Secrets From The Room (2007 - Nomadism Records). Nel 2008 dà vita al suo attuale progetto musicale, gli Ordita Trama. Nel 2010 esce il disco "Ordita Trama" e nel 2017 Basta Soltanto Resistere, oltre al singolo L'Ignoto Ideale (Label Music). Appassionato da sempre di letteratura, ama leggere e collezionare libri, soprattutto romanzi. Attratto da tutto ciò che significa "cultura", ha un debole indiscusso per gli scrittori. Vive a Solofra (AV) con la moglie e due bimbi. Lavora nel settore conciario. Collabora con L'Ottavo dal novembre 2017.

David Bowie – L’arte di scomparire
di Francesco Donadio

Recensione di Carmine Maffei

“Certe volte è imbarazzante scoprire che il corpo non vuole, o non sa mentire a proposito delle emozioni”
Ian McEwan

Ebbene sì, per presentare un lavoro di siffatta natura, come il libro che stiamo per scoprire, c’è bisogno di un incipit forte, d’autore considerevole e che rientri con eleganza e con energia struggente nei canoni di un contesto naturale e allo stesso tempo complesso che dovremmo affrontare per comprendere al meglio ciò che ci aspetta a breve.
Non basterebbe quindi una scialba considerazione ancor prima di calarci nei misteri a volte oscuri, a volte speranzosi, di questa storia ricca di vuoti, spesso incolmabili ma anche satura di ciò che ha reso grande il suo protagonista, sebbene molto spesso all’oscuro dei consueti fedeli spettatori, ma un ingresso trionfale, come tale sembra essere la riuscita del suo autore.
Questa storia parla di un’assenza, come le tante nella recente escalation di ritiri dalle scene di illustri personaggi del mondo dello spettacolo o della cultura (meglio se insieme!) che di punto in bianco calano il sipario sulla propria vita, che anziché come tale, è vista troppo spesso come una sceneggiatura studiata, in cui sovente si perdono di vista i punti fondamentali che fanno autentica l’umanità dei suoi individui.

Abbiamo imparato a conoscere alcuni esempi più famosi, tanto quanto i suoi protagonisti, di personaggi che hanno reso ancor più grande questo mondo. J.D. Salinger, l’autore del romanzo cult Il Giovane Holden, è rimasto letteralmente chiuso in casa per tantissimi anni fino alla morte, evitando quasi sempre tutti, nonostante i successi ottenuti.
Lucio Battisti, dopo la mancata riuscita di nuovi promettenti progetti attraverso gli ultimi album sperimentali, dal ’94 al ’98, l’anno della sua morte, è praticamente scomparso e nessuno l’ha più visto.
Greta Garbo, dopo l’insuccesso del suo ultimo film come protagonista, si ritira dalle scene e sebbene ancora giovane, rifiuta qualsiasi tipo di approccio professionale fino al 1990, l’anno che ci ha lasciati.

E c’è David Bowie.

Qualcuno ha subito voluto far breccia nella sensibilità di chi ha scritto questa stupefacente inchiesta definendola “maniacale”, probabilmente sfondando già una porta aperta, ed ecco spiegato il perché attraverso alcuni nobili esempi perpetrati negli anni che più ci hanno condizionati: non è forse “maniacale” la ricerca di Fernanda Pivano nei confronti di Edgar Lee Masters, a tal punto da inscenare un’ intervista immaginaria all’autore dell’Antologia di Spoon River?
Per non parlare dell’editore Ugo Mursia, che di “maniacale” ha la sua passione nei confronti di Joseph Conrad, arrivando di lui a tradurre e a sapere di tutto, fino a recuperare la celebre imbarcazione, l’Otago, di cui l’autore britannico di origini polacche era capitano quando vagava per i mari.
Charles Baudelaire ha invece una tale ammirazione “maniacale” per lo scrittore americano Edgar Allan Poe da scrivere prima lettere di entusiasmo a sua madre per averlo scoperto, poi si inoltra nelle traduzioni e fa conoscere all’ Europa l’inedito mondo dei racconti del mistero e del macabro.

E c’è David Bowie.

Emulando il famoso spot pubblicitario dell’etichetta RCA della seconda metà degli anni Settanta: C’è la Old Wave, c’è la New Wave e c’è David Bowie.
A dire il vero c’è Francesco Donadio, l’autore di David Bowie – l’arte di scomparire (Arcana), che firma la sua seconda fatica dedicata al grande eclettico trasformista, avanguardista, musicista rock inglese.
Attenzione però.
Questa non è la classica biografia di un autore che abbiamo imparato a conoscere meglio, soprattutto nell’ultimo paio di anni, proprio grazie alle continue martellanti opere letterarie, forse fin troppo agiografiche a lui dedicate, che spesso hanno dato spazio più alla star che all’uomo.
Qui invece è tutto magnificamente diverso.
Qui la regola è stata quella di indagare sugli ultimi dodici anni di vita di Bowie, dei quali almeno una decina lontano dalle scene, in cui la rockstar smette di essere tale e diventa sempre più cosciente dei propri limiti, che siano stati di salute (ahinoi col triste epilogo), o di motivo personale legato all’età che avanza, a una presa di coscienza in cui il fascino dell’artista camaleontico che ha costruito c’entra davvero poco, e il raggio di luce che lo irradia da più di trentacinque anni (nel 2004) si è lentamente spostato verso dei valori più autentici di un elegante signore inglese che volge verso l’età di un meritato riposo.
L’inchiesta davvero magistrale di Donadio è esempio tangibile di ciò che un abile giornalista, ricercatore e scrittore musicale come lui potrebbe far nascere: un’inchiesta unica e originale.
A dir la verità ha ricordato un’altra bellissima inchiesta letteraria: quella di Mario Campanella, autore di Syd Diamond, un genio chiamato Barrett (Arcana) in cui si scoprono, oltre le mitologie, anche le cause biologiche legate a una forma di autismo che generarono la pazzia del genio fondatore dei Pink Floyd.
Tornando a noi, questa nostra discussione sul libro interessato non vuole essere l’analisi di una già completa analisi, o un riassunto di ciò che è stato già meticolosamente riassunto, ma un plauso, il tripudio di un’opera unica nel suo genere, e un elogio alla follia fruttifera di Donadio, che mette in scena quasi passo per passo il periodo di presunta inattività dell’artista interessato, in realtà inanellato in un’evolutiva e proficua concatenazione di eventi, via via a prolificare, come un crescendo di storie, emozioni, esperienze e reazioni che culminano negli eventi finali.
Ed è così quindi che il nostro Major Tom, l’eroe dei due pianeti, Terra e Marte (Life on Mars? – The Spiders from Mars) trova rifugio nella sua Caprera, in Lafayette Street, nel quartiere di Manhattan, New York.
Dopo la disarmante esperienza, per lui, pronto a calcare i palcoscenici di tutto il mondo per tanti anni ancora, quanto per i suoi fan, dello spiacevole episodio avvenuto in Germania durante un concerto del Reality Tour in cui è vittima di un infarto, David Bowie decide che per lui gli anni in cui la fiammata del successo ha irradiato la sua luce innanzitutto attraverso gli spettacoli dal vivo volgono al termine.
La stessa Iman, la moglie ex super modella dichiarerà che divide la sua vita con David Jones (nome originale del musicista), certo non con Bowie, che neanche crede di conoscere bene.
David, ripresosi dopo i primi dolorosi eventi, conduce una vita familiare pacata: si alza molto presto al mattino per girovagare indisturbato per le strade di New York, accompagna la piccola Lexi a scuola, frequenta alcune famose librerie, oltre ai negozi di dischi, incontra gli amici al caffè, a casa dipinge, ascolta musica, fa ginnastica e si nutre di cibi sani.
Spesso di sera lo si vede con Iman ad alcune serate di gala, partecipando spesso ad eventi di beneficenza. Gli piace andare a vedere i musical e cresce la sua curiosità nei confronti della nuova scena musicale che esplode proprio in quegli anni denominata spesso come la New New Wave.
Esplorare ciò che si respira in materia di novità musicali è stata sempre una delle sue passioni più forti, sia durante i tour con gli Spiders from Mars, in cui dedica il resto della notte a scoprire talenti che lo stimolassero in futuro, sia durante il suo lungo soggiorno a Berlino in cui, oltre a comporre tre degli album sperimentali più essenziali della storia, si interessa al kraut rock tedesco e assorbe influenze dalla musica elettronica.
A New York, nel frattempo, collabora con gli Arcade Fire, la sua band preferita, oltre cui spiccano nomi importanti come Franz Ferdinand e Arctic Monkeys, tutti molto ammirati da lui.
Tuttavia le ambizioni davvero difficilmente vengono messe a freno nella sua mente sempre in fibrillazione e, per dirla con le parole del nostro poeta Alfonso Gatto:
Non darti pace se non l’hai, grida
Il grido da raggiungere dei gridi…
…sferza l’inesprimibile che cade
nel suo frastuono, resterà il silenzio
del mondo fisso a questi gridi un giorno.

E lui finalmente, dentro, fortissimo grida, rompe gli argini di una forzatura forse durata troppo tempo, richiama a sé le forze e ricomincia a mettere insieme i pezzi di un intricato puzzle lasciato lì troppo presto a prendere polvere, in balìa del prossimo vento che avrebbe spazzato via gli ultimi rimasti, finendo così per distruggere le speranze di chi ancora credeva che un giorno sarebbe tornato tra la foschia di un sogno troncato di netto dalle nefandezze del destino.
E’ proprio l’idea di un musical che apre le porte ad un nuova era di novità che sembrano imperterrite, ma corrono decise verso il cono di luce che si intravede all’inizio, poi pian piano diventa sempre più definito, fino a riesplodere nella violenta illuminata imposizione personale.
L’idea iniziale, nata dall’ammirazione verso la poetessa Emma Lazarus, lo porta ad un colloquio con lo scrittore Michael Cunningham per progettare la sceneggiatura dell’opera.
Donadio indaga con attenzione questa parentesi fondamentale della vita del musicista, perché è considerata come la prima svolta decisiva che lo porterà a intraprendere i primi passi verso i nuovi traguardi.
Lo fa con tale passione da pubblicare nel libro alcune mail che ha scambiato con Cunningham, in cui gli chiede particolari dei loro incontri e a cui lo scrittore con gentilezza risponde.
Tuttavia, accantonato il progetto primordiale, che però si svilupperà in maniera diversa, di nuovo di lì a qualche anno, Bowie raccoglie ciò che con la musica aveva creato per arricchire le sonorità del musical e con lo storico amico e produttore Tony Visconti, oltre alla band, incomincia a incidere le sue idee che lo porteranno alla realizzazione della prima entusiasmante concretezza, nove anni dopo il suo ritiro dalle scene, l’album The Next Day.
Come l’inarrendevole Don De Lillo che si ostina ancora all’uso dell’arcaico quanto affascinante oggetto di fatica intellettuale come la macchina da scrivere, Bowie usa nuovamente l’archetipo dello sviluppo degli anni berlinesi, richiamando un passato glorioso che non tornerà più, e il primo singolo Where are we now? richiama appunto una malinconia, oltre alla struggente bellezza di un’ombrosa giornata di fine anni settanta.
Ma la vera sorpresa resta l’intero album: è l’inizio del tanto atteso ritorno.

Eppure proprio lui, che tra la fine degli anni Sessanta, fino alla prima metà degli Ottanta, aveva sperimentato le sue idee di avanguardia come precettore di futuri generi, adesso richiama il passato ora con struggente bellezza, ora quasi facendosi beffe di una vita da star che ha pesato tanto sulla sua coscienza.
Intanto la nuova Bowiemania rinasce più viva di prima, trovando il suo culmine nella mostra David Bowie is, inaugurata al Victoria & Albert Museum di Londra, dove è in pratica esibita tutta la sua vita, con i costumi di scena innanzitutto, oltre che foto, video, documenti fondamentali, filmati, e che lui personalmente visita con la famiglia un mattino del luglio 2013, prima dell’apertura del museo.
Bowie è tornato, ma il pubblico può perdere le speranze di rivederlo di nuovo in tour.
Intanto, dopo la promozione dell’album collabora con la jazzista Maria Schneider (eh sì, omonima dell’attrice di Ultimo tango a Parigi) e la sua band per il singolo Sue, che anticipa al mondo che il Bowie sperimentatore sta tornando, e se torna, porta con sé fantastiche novità nel campo della musica studiata più che come forma di intrattenimento, come strumento di apertura verso orizzonti inesplorati.
Riprende anche l’idea del musical, accantonato un attimo, ma ora più forte che mai, chiamando a collaborare con sé l’autore Enda Walsh.
Purtroppo però in quest’ultimo periodo la malattia terribile prende il sopravvento: ha un cancro.
Porta avanti sia il progetto di un nuovo album che quello del musical e lo fa con una forza tale da spiazzare qualsiasi avversario d’ infallibile coraggio, tra una seduta e l’altra di chemio, tra una session e l’altra di tracce vocali, tra un colloquio e l’altro con il regista e l’autore della sua futura opera teatrale, il musical Lazarus, ispirato al film, oltre che al libro L’uomo che cadde sulla Terra, nel cui lungometraggio del 1975 ha interpretato l’extraterrestre Thomas Jerome Newton.
A proposito: poc’anzi non avevamo parlato per caso di situazioni maniacali?
Qui tutto torna, sì, perché il protagonista del film lo influenzerà nella sua vita personale oltre che artistica a tal punto che Bowie gli dedicherà tra il ’75 e il ’77 ben due copertine dei suoi album.
Intanto, dopo la pubblicazione del singolo Sue, nel 2015, che lo porta di nuovo alla ribalta delle sperimentazioni che lo hanno reso celebre e innovativo, richiama il Donny McCaslin quartet, la jazz band proposta dalla Schneider, e ritorna in studio, insieme all’immancabile produttore e amico storico Visconti e dà vita a un mélange di colori tendenzialmente scuri, accompagnati da sonorità davvero preziose, originali e all’avanguardia, mescolando elementi di jazz col rock, dando a tutto una contaminazione di un industrial dalle tendenze futuristico-dark.
In tutto ciò aleggia un sentimento inesorabile di morte.

Il singolo Blackstar, che anticipa l’omonimo album però non fa ancora intuire che qualcosa non va, che questo vorrebbe essere il testamento artistico e spirituale tra i più importanti e incisivi mai conosciuti, perché la malattia è tenuta segretamente nascosta a tutto il mondo tranne che ai suoi più stretti collaboratori, una cerchia davvero confinata di perone fidate, oltre cui non trapela nulla.
A noi sembra piuttosto il ritorno trionfale del Major Tom in una veste nuova, che nel videoclip del singolo Lazarus chiude le scene camminando a ritroso, indietreggiando e scomparendo in un armadio, nel cui gesto oggi, ritrovandoci senza il suo illustre protagonista, interpretiamo come un’uscita fisica ancor prima di essere sostanzialmente figurativa.
Chi scrive non vuole anticipare ai futuri e numerosi, meritati lettori il piacere della scoperta di un’ opera gradevole e ricchissima di elementi che colmano fin quasi nei minimi dettagli parentesi che avremmo invece
ignorato, perché ovattate nel frastuono del tragico epilogo che si sarebbe mostrato di lì a poco, il 10 gennaio 2016, con la morte del musicista, in tutta la sua improvvisa drammaticità.
Sì, perché Francesco Donadio assume le qualità ineccepibili di un abile artigiano, restauratore che diligentemente, con pazienza mette con cura gli innumerevoli pezzi dell’intricato mosaico al posto d’onore che spetta ad ognuno, regalandoci un’opera d’arte che nell’insieme finalmente realizzata ci regala ancora una volta emozioni che riportano in vita il compianto Bowie, nei cui gesti, abitudini e consuetudini si ripropone come mai prima d’ora svelato agli ammiratori nelle sue debolezze, nei suoi limiti di star senza più troppe “impersonificazioni”, soltanto la cruda realtà dei fatti, in cui nasce, poco prima di morire, il personaggio Button Eyes, l’ultima struggente creazione dagli occhi fasciati, su cui lascia soltanto due bottoni che facessero intuire i bulbi oculari.
Terribile…
Ma quanto è stato elegante il suo modo di dirci addio?
Chi è qui a spiegare, seppur riuscendoci anni luce dall’eleganza nei dettagli di Donadio, non cerca un epilogo a ciò che si è spiegato fino ad ottenere una frase di commiato, un gesto che faccia intuire che si è arrivati anche alla fine di una lunga, influente, struggente storia in cui le speranze restano certe nella concretezza di chi credeva, crollando su se stesse come castelli di carta, generando un black out emotivo prima, e un’esplosione di materie affettive dopo.
Chiudiamo quindi come abbiamo cominciato, così come quando con la poesia, con una preghiera si spera che chi non è più possa guardarci da lontano a abbozzare un sorriso, in cui è descritta la fine della sua sofferenza.
Mick Jagger, che parte di ciò recitò in un concerto estivo ad Hyde Park nel ’69, dedicando tutto a Brian Jones, amico, componente, ideatore dei Rolling Stones deceduto qualche giorno prima, ne sarebbe felice.
Noi, intanto, non siamo rockstar, ma faremo del nostro meglio:

E io sono sospinto oscuramente
paurosamente lontano
mentre bruciando al pari di una stella
nel più intimo velo dei Cieli
l’anima di Adonais rifulge
nella memoria in cui stanno gli Eterni.
Percy Bysshe Shelley.

David Bowie. L'arte di scomparire Book Cover David Bowie. L'arte di scomparire
Francesco Donadio
Biografie, musica
Arcana
2017
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