Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

Non posso definire in altro modo questo film di Nicolas Hytner, film del 2015, riadattamento cinematografico di una commedia di Alan Bennett, che ne scrive anche la sceneggiatura. Un film che racconta una storia vera, quella dello stesso Alan Bennett che, negli anni ’70 si trasferisce a Londra, e di Miss Shepherd, anziana signora che vive in un piccolo furgone. Siamo nel quartiere di Camden Town, abitato dalla tipica classe media londinese, persone ammantate da perbenismo e un poco di retorica, la cui vita viene, in un certo senso, “sconvolta” dalla presenza di quella strana donna. L’unico che l’aiuterà, tra discreti slanci affettivi e fame di storie da scrivere (Bennett è uno scrittore e ogni evento della vita può, per lui, diventare materia di scrittura) sarà proprio Alan Bennet, che le consentirà di parcheggiare il furgone nel viottolo di casa sua. Per quella che doveva essere una soluzione di poche settimane e che, invece, sarà una sorta di buffa convivenza per ben 15 anni. Questa la trama di un film che vede protagonista una superlativa Maggie Smith, un perfetto Alex Jennings e una breve apparizione dello stesso Bennett.
Un film in cui l’umorismo britannico si mescola perfettamente al lucido disincanto a cui Bennett ci ha abituati con i suoi libri, una pellicola nella quale vita, scrittura e letteratura si fondono in un elegante equilibrio. Sorretto anche dall’idea di inserire una specie di sdoppiamento nel personaggio dello stesso Bennett che, nel film, sarà uomo che vive quella bizzarra presenza e alter ego scrittore che la narra. Impossibile separare le due cose, impossibile per lui non farsi coinvolgere e, nello stesso tempo, impossibile non cercare nella scrittura il necessario “distacco”. E, anche solo per questo, la pellicola è fonte infinita di considerazioni e analisi che si possono fare proprio su questo aspetto, sulla scrittura come lettura, prima di tutto, di ciò che accade, a noi stessi prima di tutto. Non a caso, ad un certo punto del film, Miss Shepherd ricorderà a Bennett come in fondo lui non metta sé stesso in ciò che scrive ma ritrovi sé stesso.
Una storia che dura 15 anni e, durante la quale Bennett (e lo spettatore) conosceranno pian piano tanti dettagli della vita dell’anziana signora, del suo passato, del suo essere stata suora, musicista e chissà quante altre cose. Un passato non certo facile che si disvelerà totalmente solo alla fine, quando Miss Shepherd morirà e Bennett ne potrà scrivere la storia. Come se fosse impossibilitato a farlo fino al momento in cui, qualcuno o qualcosa, non avesse metto un punto. Proprio come nella scrittura in cui il punto è il necessario intervallo, l’inevitabile stacco ritmico oltre che narrativo.
Una pellicola che può essere definita malinconica e spiritosa, ironica e amara. Sostenuta dalla recitazione di una Maggie Smith semplicemente sublime e da una fotografia leggera, da una dinamica di dialoghi assolutamente perfetta. Tutto nella cornice di un Londra mix di tolleranza e ipocrisia, di freddezza e cortesia, perfettamente descritta da una frase pronunciata dallo stesso Bennett per cui: “It,s London, nobody thinks nothing”.
La rivista Cinematographe definisce, secondo me giustamente, questo film come una old fashioned comedy tipicamente inglese, con i tic e gli stereotipi che però diventano il necessario filo rosso, la necessaria lente attraverso cui guardare le vicende narrate. Può sembrare banale dire che questa storia non poteva che nascere e svilupparsi in una città come Londra, ma banale non è se si considera la storia stessa come il prodotto di una specifica cultura, di un ben preciso modo di stare al mondo.
Un film a tratti cinico, ma nel senso etimologico del termine, filosofico, che significa seguire una propria morale, rigorosa assai e, non secondariamente, cosmopolita. Cinico, sempre in questo senso, il proedere dello scrittore che, in fondo, trae materia per un libro proprio dalle vicende di questa anziana signora a cui starà più vicino di quanto faccia con sua madre, destinata ad una casa di riposo. Anche se, alla fine, con il figlio che le tiene la mano. C’è tanto in questo film, molto più di quanto si veda. La sua genesi letteraria infatti, consentirebbe di “guardarlo ad occhi chiusi”. Un meraviglioso inno alla letteratura e al suo potere di far prendere il giusto tempo e la giusta distanza da ogni cosa. Che poi è il modo migliore per stare vicino ad ogni cosa e persona

The lady in the van Book Cover The lady in the van
Regia di Nicolas Hytner
Commedia
2015