Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

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Good Marriage è un film tratto da una short story scritta da Stephen King e inserita nella raccolta Notte buia, niente stelle. E, dallo stesso King sceneggiato. E si vede. Il Re riesce sempre a creare quella commistione di elementi che rendono una storia semplice qualcosa di speciale, di teso. Come nel caso di questo film in cui una apparente normalità, quasi una felice normalità, si scopre essere molto fragile, provvisoria, pronta a sgretolarsi in un solo istante.
La storia, in questo caso, è quella di Darcy, una donna della più tipica middle class americana, che dopo 25 anni di matrimonio scopre che il marito Bob è un serial killer. Lo scopre una notte in cui, del tutto casualmente, nel garage di casa trova una scatola contenente i documenti di una delle ragazze vittime del killer. E lì crolla tutto. Al ritorno del marito, in una scena tesa come una corda di violino, marito e moglie si parlano. Lei cerca di tergiversare ma lui sa che lei ha capito. Tra realtà e incubi Darcy deve decidere, in poco tempo, cosa fare, se fare finta di nulla, assecondando il marito che le giura di non volere mai più ascoltare la voce nella sua testa che gli dice di uccidere.
Ed è proprio nella decisione della moglie, nella sua paura (che è anche paura di vedere completamente stravolta la propria vita) che si gioca, non solo tutto il film ma la insuperabile maestria del Re. La sua sapienza nel ritrarre, con semplicità e lucidità in questo caso le psicologie dei due personaggi, con la moglie che ha in mano il bandolo della matassa e il marito che crede di avere messo a tacere tutto e di vivere una seconda chance, come se nulla fosse successo.
Scene di vita quotidiana, il prossimo matrimonio della figlia della coppia, una vita che apparentemente continua come prima. Ma, sottesa, una tensione e un preludio di qualcosa che sta per accadere. La sceneggiatura di King ben si integra con la regia di Askin che trova le giuste corde per mettere insieme la storia, senza prevalere, senza far sentire troppo la regia appunto ma, anzi, lasciando briglia sciolta ai due attori (Anthony La Paglia e Joan Allen) molto bravi nel rendere due personaggi entrambi, ciascuno a suo modo, dilaniati. Cosa deciderà la moglie? Salvare le apparenze? Salvare la comunità e la sua famiglia? Ma come. Il piano che la donna riuscirà a realizzare non ve lo dico, naturalmente. Ma arriva quando lo spettatore non se lo aspetta. E qui, ancora una volta, la mano di King si dimostra il demiurgo perfetto, il deus ex machina che scompiglia lasciandoti la sensazione di averti comunque messo a disposizione tutti gli elementi per capire che sarebbe arrivato proprio lì, dove in effetti arriva.
Un film in cui, in fondo, gli ingredienti non sono nuovi e che, proprio per questo, possono trovare nello spettatore una maggiore capacità di immedesimazione: una vita che sembra una cosa e non lo è, la sostanziale incapacità di conoscere chi ci sta di fianco, il burrone che si apre quando capiamo che i nostri giorni si srotolavano come se non ci appartenessero fino in fondo e la decisione che da tutto ciò consegue, qualunque essa sia.
Ricordiamo che King ha tratto ispirazione per il suo racconto da un fatto reale, da una storia vera; quella del serial killer Dennis Rader che, tra la metà degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’90, agì nella più totale inconsapevolezza della moglie, che nulla aveva sospettato. Ed è questo l’elemento che, in un certo senso, commuove oltre a colpire nel film. Commuove l’idea di questa donna che davvero non aveva sospettato, non aveva capito. E come avrebbe potuto in effetti? Quanto ci si può nascondere l’uno con l’altro anche in una vita fatta di vicinanza e condivisione? Ottima, soprattutto in questa ottica, la scelta del titolo che in quel semplice Good Marriage racconta davvero tutto

Good Marriage Book Cover Good Marriage
Peter Askin regista
Thriller
2014