Nato a Viterbo il 25 ottobre 1991, laureato in  lettere (Università della Tuscia) e appassionato di musica (jazz, prog, elettronica).

Tutto quello che viene concepito dopo il 1977 prende il nome di “post punk”. Come la psichedelia del Sessantotto simboleggia l’edonismo e l’espansione della mente, dieci anni dopo si rappresenta il mal di vivere misto alla violenza sociale.
Oltre alle creste e alle borchie si viene a contattato con l’intellighenzia del movimento. Non si formano esclusivamente band capaci di quattro accordi rumorosi, ma si trovano anche personaggi colti, consapevoli dell’arte e dell’avanguardia. This Heat, Cabaret Voltaire, Pere Ubu e Tuxedomoon sono soltanto alcuni nomi.
Un esempio lampante è il guru Johnny Lydon. Bandiera del punk e nello stesso tempo distruttore di tale movimento. Si sente sempre più in gabbia, deve espandere velocemente la propria concezione. Conosce il dub, la Giamaica e vuole vivere un futuro diverso rispetto all’effetto meteora dei Sex Pistols.
I Public Image Ltd. nascono nel 1978 a Londra. L’esordio con “First Issue”, nello stesso anno, forma immediatamente una nuova scuola di pensiero. La new wave e il post punk prendono piede nel giro di poco tempo, iniziando a convivere con le influenze afro dei Talking Heads, le tastiere degli Ultravox e l’anarchia sfacciata dei Devo.
Il primo live dei geniali Public Image Ltd. giunge nel 1980. Il progetto più azzeccato che Rotten poteva creare dopo i Sex. Sfornano esilaranti concerti con classe e professionalità, come se suonassero già da vent’anni.
Fondamentali per il sound e per l’idea stilistica sono il bassista Jah Wobble e il chitarrista Keith Leven. “First Issue” è un grande passo in avanti per lo scarno punk che vi era fino a quel momento. Con “Metal Box” si arriva al miracolo. Basso dub profondo come pochi, linee sbilenche di chitarra e mood di batteria infallibili.
Anche la voce di Lydon non si limita solamente a urlare “No future”. Rotten inizia a crescere, a individuare un timbro oscuro e alienante, spingendosi addirittura sui lidi esotici/tribali dei Can.
I brani del concerto parigino sono riprodotti fedelmente agli originali, anche se possiedono il classico fascino del live. Propongono tutti i pezzi da novanta dei primi due lavori, pur scartando “Memories”, “Albatross”, “Death Disco” e “Public Image”.
Si parte con la triviale “Theme”, famoso incipit dell’esordio, dove ci si appresta subito a convivere con l’esilarante muro di suono. Un oscuro stato di trance viene dato dalla chitarra, paralizzata nei feedback, e dal lamento angosciante di Lydon. Una prova che si assesta velocemente su alti livelli.
Non hanno paura di farsi staccare la corrente.
Il secondo brano è “Chant”, il tunnel di malsanità gratuita che chiude il favoloso “Metal Box”. Poche note, stesso ritmo, mazzate sul rullante e deliri teatrali.
“Careering” è l’altro saggio claustrofobico. Un trip ispirato al terrorismo nordirlandese, dove Levene si accinge a suonare il Prophet 5, precoce e costoso sintetizzatore polifonico. Lydon non sembra aver cali di voce, il resto della band si diverte cinicamente a stuprare il suono ed il pubblico francese è molto più che ipnotizzato e shockato.
Consapevoli della grandezza che stavano raggiungendo passo dopo passo concludono l’opera con la dolce ironia di “Poptones”. Un album non da sottovalutare. Qui tutto è perfetto.

Paris au printemps Book Cover Paris au printemps
Public Image Ltd
Post punk new wave