Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

Il genere poliziesco è, sicuramente, tra i più amati dai lettori di narrativa. I motivi di tale successo sono molteplici e, probabilmente, sono da rintracciare nelle diverse chiavi di lettura, nei diversi registri narrativi che possono, di volta in volta, essere messi in primo piano dai lettori. Ma è indubbio che tra i maggiori elementi di interesse vi siano i protagonisti. O alcuni di loro. Ed è su questo aspetto che ci vogliamo soffermare in questo scritto. Lo faremo prendendo in considerazione tre figure di poliziotti, protagonisti di libri estremamente diversi tra loro, accomunati solo dal fatto di essere, appunto, classificati come polizieschi.

Sto parlando del commissario Adamsberg, del commissario Wallander e di Fabio Montale. Il primo è la figura attorno a cui ruotano i libri della scrittrice francese Fred Vargas, Wallander è il nordico commissario al centro dei libri di Mankel, scrittore svedese recentemente scomparso. L’ultimo è il poliziotto protagonista dei libri di J.C. Izzo, scrittore francese, anch’egli purtroppo scomparso, che ci ha regalato alcune delle pagine più struggenti e potenti su Marsiglia.

Perché concentrarsi su queste tre figure di poliziotti, decisamente poco canonici? La risposta è tanto semplice quanto, forse, poco letteraria: perché mi piacciono. E perché, pur nella loro profonda diversità, sono accomunati dal fatto di essere figure di poliziotti estremamente ricchi di sfumature, dai contorni psicologici quasi indefinibili eppure potenti e dalla personalità fortissima.

Diciamo subito che tutti e tre sono protagonisti non di un singolo libro ma di una serie. E questo, come è facilmente immaginabile, contribuisce già di per sé a creare una sorta di legame con il lettore. Ma la cosa, a mio avviso, estremamente interessante è il fatto che la personalità di queste figure appaia in modo forte e chiaro anche leggendo uno solo dei libri che li vedono protagonisti. Io li ho letti tutti ma, oggi, mi concentro solo su tre testi. Non perché siano particolarmente esemplari del loro modo di vivere e lavorare ma perché, come appena detto, sono comunque sufficienti per delinearne la psicologia. E per delineare un modo di costruire polizieschi e poliziotti che va molto al di là del genere letterario. I libri presi in considerazione sono “Tempi glaciali” edizioni Einaudi (l’ultimo letto in ordine di tempo e quindi dall’impressione più recente) per quanto riguarda Adamsberg; “Casino totale” edizioni e/o per quanto riguarda Montale e “Cani di Riga” edizioni Marsilio per quanto riguarda Wallander. La scelta dei testi è del tutto arbitraria. Diciamo che la lettura di “Tempi glaciali” mi ha fatto venire in mente gli altri libri e questo gioco di confronto.

In “Tempi glaciali” Adamsberg è alle prese con una serie di omcidi che attraversano tempi e luoghi diversi. Dall’Islanda a Parigi. Una Parigi però che acquista un particolare sapore storico grazie ad una strana società storica che si occupa di Roberspierre. L’intreccio non starò a raccontarvelo per non rovinarvi il gusto di leggerlo. Ma quello che è importante è che, anche in questo libro, Adamsberg si trova a muoversi, in un certo senso, in mezzo alla passione per la storia che la Vargas non abbandona mai. Eppure la storia, intesa come periodo storico lontano, non solo diviene un registro narrativo per essere critica critica sociale e chiave di lettura, ma anche l’arena in cui Adamsberg meglio riesce a mettere in luce la sua personalità. Non certo perché sia un amante della storia (anzi il suo vice, il tenente Danglard, mostro di cultura, spesso dice che il commissario di cultura non ne ha per niente ma ha molto intuito) ma perché  essa funziona benissimo come palcoscenico del suo modus operandi: prima l’azione poi i pensieri. Adamsberg è un poliziotto che sembra rappresentare la più assoluta mancanza di conoscenza, mancanza che invece di essere un ostacolo per le sue indagini è proprio il punto di forza. Lentezza, tendenza a meditare, atteggiamento antitecnocrate e senza ansia, lo portano quasi a usare gli elementi storici, che ignora, come involontari mattoni per le sue scorribande intuitive. Lui quasi non ha bisogno di sapere chi sia Roberspierre per intuire gli agganci con gli omicidi commessi nella lontana Islanda. Anzi sembra essere proprio quel suo ignorare la chiave per aprire altre strade.

Svagato, trasognato, spalatore di nuvole (come viene definito da uno dei personaggi di un altro libro della Vargas) Adamsberg si muove nella vita e nel lavoro con un’arma che sembra l’antitesi del poliziotto più classico: l’indifferenza. Che non è mancanza di sensibilità ma, anzi, la sua apoteosi. Si potrebbe dire che sia proprio con l’indifferenza che Adamsberg risolve i suoi casi.

Indifferenza che, invece, sembra proprio non possedere Fabio Montale, poliziotto poco poliziotto, protagonista di “Casino totale” uno dei tre libri di Izzo che vanno a costituire la cosidetta trilogia di Marsiglia. In questo libro viene fuori tutta la malinconia di Montale, quel suo essere perso quasi quanto i delinquenti con cui deve avere a che fare. Al punto che, lui stesso, si definisce più educatore di strada che poliziotto. Una differenza fondamentale nell’approccio del suo lavoro e che lo rende quasi tutt’uno con la Marsiglia in cui si muove. Sì, Montale non potrebbe fare il poliziotto in nessun’altra città a pensarci bene. Il suo cuore dolente, vivo ma frantumato, è lo stesso della sua città, che poi è anche la stessa città dello scrittore che lo ha inventato. Per questo motivo Montale è un poliziotto che diventa, forse senza volerlo, il cantore di una fortissima critica sociale e politica. Montale, nel suo muoversi nel mondo, di politica ne fa moltissima. Nel senso più autentico della parola. In questo libro che, in edizione originale è del 1995, compaiono alcune considerazioni su immigrazione, Fronte Nazionale, razzismo e miseria che potrebbero essere state scritte oggi. E questo proprio perché Montale è il poliziotto che è: perso, quasi sconfitto. In balia di un dolore immenso procuratogli dalla morte di suoi amici di giovinezza Manu e Ugo, dalla perdita di Lole, donna amati da tutti e tre gli amici, dalla morte di Leila, innamorata di lui e che lui non ha saputo salvare né come amante né come poliziotto. Montale, a differenza di Adamsberg (che non sa pensare perché del pensiero non riesce a reggere la logica) è immerso nei pensieri. Forse, in parte, questo dipende dal fatto che i libri in cui si muove sono scritti in prima persona; mentre quelli che vedono protagonista Adamsberg sono scritti in terza persona. In un certo senso si può dire che sia proprio l’essere fatto della stessa materia di cui sono fatti i delinquenti a portare Montale a trovare il filo delle indagini, mentre Adamsberg sembra trovare il filo perdendosi dentro la matassa, ma con distacco.

Wallander, in questo caso tra le pagine del libro “I cani di Riga” si muove tra la svedese cittadina di Ystad e la Lettonia. E veniamo trasportati nel suo carattere un po’ burbero e un po’ scomodo, come il freddo dei luoghi in cui vive. Anche in questo libro Wallander porta in giro il suo corpo pesante e sgraziato con disincanto, lucidità, comprensione del male e pensieri. Oltre a tanta solitudine. Forse è questa la parola che più affiora alle labbra quando pensiamo a questo poliziotto. Wallander non ha amici, lo troviamo spesso (quando non lavora) nella sua piccola casa, intento aprepararsi pranzi congelati o a trascorrere la domenica facendo le pulizie di casa. In questo libro la novità è rappresentata da una donna di cui finalmente Wallander si innamorerà. Sembra essere questa l’unica concessione ai sentimenti. E non perché Wallander non ne abbia, anzi. Sembrano solo congelati, come le strade di Ystad. In un certo senso Wallander ha, come Montale per Marsiglia, una sorta di legame e somiglianza con il luogo in cui vive. E anche Wallander, come Montale, si trova alavorare in mezzo a scenari molto più ampi e articolati della cornice narrativa poliziesca in cui si muove. Se Montale è Marsiglia con la sua malavita, gli arabi, il mare e le puttane, Wallander (in questo caso) è un uomo, oltre che un poliziotto, che si trova immerso nella Lettonia post Unione Sovietica in cui le contraddizioni della storia non si sono risolte. Un uomo “piccolo” in una vicenda grandissima. Anche lui, in un certo senso, figura politica. Così diverso da Adamsberg, figura che non si riesce proprio ad avvertire come coinvolto nel presente.

Perché definirli tre poliziotti particolari? Perché, a pensarci bene, il loro essere poliziotti sembra quasi non essere l’elemento principale. E questo, al di là della costruzione narrativa in cui sono stati creati, funziona proprio come elemento di forza del loro lavoro. Per tutti e tre la loro forza sembra essere proprio ciò che, per molti, potrebbe essere la loro fragilità: per Adamsberg l’impossibilità di seguire un pensiero, per Montale la sua malinconia e per Wallander la sua solitudine. Tutti e tre conoscono i lati più oscuri dell’animo umano e riescono ad affrontarli proprio perché avvertono molto bene, da qualche parte nella loro testa, che tali mali potrebbero riguardare anche loro. Per tale motivo si muovono sempre con un atteggiamento che più che giudicante è, in Montale e Wallander quasi amaro, mentre in Adamsberg è indifferente.

Nessuno di loro è un supereroe e, tantomeno, un superuomo. Nessuno di loro ha un rapporto disinvolto con le armi, anzi. Sono altre le loro armi. Molto più difficili da usare rispetto ad una pistola

Tempi glaciali Book Cover Tempi glaciali
Super ET
Fred Vargas
Poliziesco
Einaudi
2015
402